Appunti Americani – La Silicon Valley

di camilla il 15 April 2012 viaggi 7 Commenti -->
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A  che altezza sta quel confine sottile e doloroso tra il “potrebbe essere così?” e il “poteva andare così”?

Ognuno di noi, durante questo viaggio, l’ha valicato da qualche parte di questa terra dagli orizzonti troppo ampi. Dove non c’è l’abbraccio di un Golfo, talmente bello da farti scordare quanto è stretto, a chiuderti la vista sulle infinite strade che passano attraverso infiniti punti.

Ognuno di noi si troverà a fare i conti con il pungolo del “poteva esser così” da qualche parte all’incrocio tra Via Google a Mountain View e l’attraversamento pedonale di Stanford mentre una studentessa corre sullo skateboard a piedi scalzi e infradito in mano.

Quando quella mattina in macchina abbiamo messo l’indirizzo “Infinite Loop – Cupertino”, sono spuntati fuori dalle tasche 5 iPhone a immortalare il momento. In quella macchina c’erano 5 persone, 5 iphone, 3 iPad, 1 MacBook Air.

C’è una storia, a proposito della Apple, che racconta sempre il Capo. Questa storia dice così. Lui aveva tipo venti anni e qualcosa e i computer non gli piacevano manco per niente. Li trovava complicati. Gli piaceva di più fare i gelati nel ristorante di famiglia. Soprattutto il gelato al cioccolato e poi raccogliere tutto quello che rimaneva sulle pareti e leccare la spatola. Poi un giorno vide un computer Apple ed era bello, semplice, potente. Anche se costava un botto di soldi. Ci cominciarono a piacergli i computer, ma tanto, tanto da deciderne di farne un lavoro, aprire una società ecc ecc.
La morale di questa breve storia è che Steve Jobs non fosse mai nato, o anche solo, se Steve Jobs fosse nato a Napoli (cit), Caprionline non sarebbe mai esistita e io, noi, chissà dove staremmo. Il Capo a fare i gelati, io a guadagnare 500 euro al mese scrivendo per qualche giornale e avvelenandomi la vita di telefonate. Di certo non 5 di noi in un Suv da quache parte della costa california a puntare il navigatore su Infinite Loop.

Quando ci arriviamo, a questo Infinite Loop, troviamo una via con tutti palazzi con molte vetrate. Per dare sfogo a tutti gli azzeccatti che si vengono a fare la foto davanti alla scritta Infinite Loop e fare una cosa di soldi in più,  loro hanno messo al piano terra un bel negozio dove ti puoi comprare le magliette col logo Apple. Mi dicono che questo posto è l’unico posto al mondo a vedere merchandising targato Apple.  Magliette+Apple+5 nerd=so dove passeremo la nostra mattinata. Mi metto pure io in mezzo ai nerd, ma voglio dire, non è che stiamo parlando di t-shirt con i teschi e le Madonne Incoronate, che sono l’unico tipo di t-shirt che mi spingono a stare più di 12 minuti davanti a uno stendino di magliette. Però. Però mi trovo a dovere riconoscere la superiorità del marketing Apple quando porto alla cassa una felpa. Una felpa. Io. “Vabbè, me la posso comprare una felpa, non ho proprio felpe io, poi è calda, me la metto per casa”. Ragionamento ineccepibile.

[Io fino all'anno scorso avevo una felpa di Hello Kitty a cui ero molto affezionata, poi un giorno l’ho messa nel forno perchè avevo letto su FB di gente che si scaldava il pigiama nel forno. Beh, mentivano, quella meravigliosa felpa di Hello Kitty si è tutta bruciata e io ora non ho più nessuna felpa. Prima di comprarmi questa felpa Apple. Che se l'è comprata uguale il Capo degli Sviluppatori. E ho detto tutto.]

Esco da lì con una felpa, una maglietta e un portaiphone fighissimo che da un lato ci metti l’iPhone, dall’altro la carta di credito, la patente, la tessera punti della Coop e venti euro, poi si chiude come un portafogli e ha il laccetto per portarlo al polso e puoi uscire solo con questo. Se non mi dovessi portare dietro anche chiavi di casa, chiavi della macchina, blocchetto, penna, occhiali da sole, sacchetto delle medicine, spruzzino per l’alito, caramelle per la gola, auricolari, bottiglietta d’acqua. Beh, cmq questo coso è fighissimo è un giorno sarò una ragazza così minimal da uscire solo con quello. E un tubino nero, of course.

Andiamo a pranzo nell’immenso pub dove va a pranzo tutta la gente Apple. In questo pub ci sta un megaschermo supergigante che fa vedere gli sport di tutto il mondo frammentati in un centinaio di schermi. Mi pare di aver intravisto anche una Juve Stabia – Cavese, ma non vorrei sbagliarmi. Cmq,  roba da mal e cap. Mi siedo con le spalle ai megaschermi. Io sto tutta contenta con la felpetta nuova, ma il Capo è un po’ ombritico.

“Capo, ma ti è piaciuta questa Apple?”
“Sì, ma mi ha messo anche un po’ di tristezza”

Eccoci. A me vedere tutte le tipe che entravano e uscivano con il bicchierone di caffà e il badge Apple appeso ai jeans non ha fatto nessun effetto particolare. E’ un lavoro, un lavoro figo, a 5mila chilometri da dove lavoro io, in un’altra lingua e in un posto molto ambito, ma è pur sempre un lavoro. Ed è una possibilità che –- per me, per il momento– è ancora là.  Se volessi, se mi impegnassi. Ma è ancora un se. (Ho 15 anni di meno, io).

Beviamoci una birra che poi voglio andare a vedere Facebook.

Ma prima passiamo a Mountain View. Dov’è che sarà il Google Plex? A via Google!

3 di noi che cerchiamo di mimetizzarci nel giardino di Google

Parcheggiamo nel parcheggio di Via Google e ci intrufoliamo nel giardino esterno. Il giardino esterno di Google sembra l’università di Fisciano ma è più figo. Ci sono i prati come là, solo che in più c’è un campo da beach-volley. E una scultura di dinosauro con fenicotteri rosa attorno. Finti. Molte sedie e molti tavolini dove sta gente coi portatili a lavorare. Pure qua, nessuno invidia particolare. Affinale questi stanno a pigliarsi un po’ di sole nel giardinetto. Io in pausa pranzo me ne vado giù Marina Piccola e mi bevo il daiquiri alla fragola sulla sdraio in fronte al Faraglione. E che tengo da vedere?
Forse che non lavoro a Google ma in una Web Agency (Trendy) di Provincia? Ma che tengo da vedere 2.

Andiamoci a cercare un motel per la notte. I Motel di Mountain View sono tutti molto costosi per essere Motel Americani. Roba da 90 dollari a notte. Ne troviamo uno molto bellino, con tutte le porticine rosse e i gerani alle finestre, sembra quasi di stare in montagna e non in mezzo a Mountain View che, diciamola tutta, è un cesso di paese.

Per la prima volta durante il viaggio facciamo il grande errore di non farci vedere la camera prima di pagare la stanza. Gravissimo errore ragazzi. La camera singola è nella parte del Motel visibile dalla strada, carina, con la porta rossa e i gerani alle finestre, le nostre due camere doppie invece sono dietro, nel ghetto, nella periferia suburbana in un palazzotto celeste scrostato. Fuori al balcone due ispanici fumano una canna, nel parcheggio un tipo che uno Scrittore Americano Postmoderno definirebbe “Feccia Bianca” cammina a piedi scalzi sull’asfalto con una lattina di birra in mano. Mentre portiamo dentro le valigie c’è una macchina della polizia che viene a farsi un giretto. Un posticino davvero accogliente, insomma.  Appena entrate nella stanza ci rendiamo conto che qua non c’è manco bisogno del Luminol per inviduare le molteplici tracce di residui organici, è meglio che dormiamo quanto più vestite possibili. Ma non è tempo di dormire.
Prima dobbiamo andare a Facebook.

Se anche voi volete andare a Facebook, ve lo dico subito, non prendete l’indirizzo che sta nel footer, quello dove sta scritto “Palo Alto”, là non c’è niente, è il loro vecchio ufficio, bisogna andare a un altro paese che sta là vicino che mo’ non mi ricordo come si chiama, ma comincia con la M. State attenti, perché se non ingarrate subito l’entrata del parcheggio poi andate a finire su un ponte lunghissimo che non finisce più e che dovete pure cacciare 5 dollari per farvela al ritorno.  In ogni caso, un po’ di benzina e cinque dollari in meno riusciamo a parcheggiare dentro a Facebbok e qua comincia il dramma.

Un dramma che vorrei evitare di raccontarvi ma che vi racconterò per Onore della Verità e del Come Sono Andate le Cose.

Parcheggiamo in questo Facebook e solo io scendo dalla macchina, perché là nessuno se ne fotte niente di Facebook. E’ gente che nega il consenso al trattamento dei dati personali, vi ho detto tutto.

Io invece voi lo sapete, io sono la reginetta di Facebook. Con tutto che mo’ non si porta più, è comunque il mio regno di sguazzamento naturale. Io DEVO entrare anche solo nella Hall di Facebook e avere una foto davanti a un’insegna di Facebook qualsiasi. Io glielo vorrei dire “Guardate che io 6 mesi prima che la gente facesse le rivolte contro il diario, mi ero installata l’app che ti faceva mettere in esclusiva la timeline” – Glielo volevo dire: “Guardate che io non mi sono mai iscritta a nessun gruppo Rivogliamo il vecchio Facebook” –Ma sopratttutto: “Guardate, io sono la vostra miglior Dispensatrice di Dati Personali e autorizzo sempre tutte le applicazioni”.

Niente. Tutte le porte sono chiuse ed entri solo col badge. Acchiappo una della security e le spiego che io “I wanna just take a picture”. Niente. Me la posso fare fuori al 6×3 col pollice alzata che sta fuori. Tipo al lato dell’autostrada che per farmi la foto a me il fotografo si deve mettere in mezzo all’autostrada.

Andiamo via, gli altri sono troppo stanchi e poco sensibili al mio desiderio di farmi una foto davanti a Facebook per fermarsi in mezzo alla strada davanti al cartello. E qua ve lo devo dire, prima che qualcuno lo dica nei commenti. Io in macchina mi sono messa a piangere. “Ma come piangi perché non ti sei fatta la foto davanti a Facebook?” mi chiedono. E io qua ve lo devo dire cosa ho risposto.  Cosa ho risposto io, senza nessuna telecamere di nessun programma di Maria de Filippi che mi stesse riprendendo. Ho risposto: “Quello ognuno ha il suo sogno”.

Muah ah ah, Risate pantagrueliche in macchina. Voi siete autorizzati a fare fuoco. Io vi dico che l’ho detto solo perché avevo la sindrome premestruale. Voi decidete un po’ voi.  Detto ciò, andiamo avanti.

spacer

Comunque, se vi interessa, questi sono gli uffici di Facebook

La sera ce ne andiamo a bere Margarita nell’animata Downtown di Mountain View e poi ce ne andiamo a dormire nelle nostre accoglienti stanze perché la mattina alle 11 dobbiamo stare a Stanford che c’è la Visita Guidata all’Università.

A me sinceramente ‘sto Stanford non mi diceva proprio niente. Un college di quelli dei telefilm. Poi ad un certo punto, in coda dietro al Senior che cammina per i viali alberati spiegandoci tutti i fatti di Stanford, ecco un pungolo doloroso al quadrante inferiore destro del cuore. Il pungolo del “poteva esssere” Una ragazza corre in bicicletta con i libri nel cestino. Altre coi calzettoni al ginocchio distribuiscono materiale da tifo per la partita della serata. Nel nostro gruppo della Visita Guidata per la maggior parte ci sono genitori con figli in età da “scelta del college” che cammino tenendogli una mano sulla spalla.  L’inglese del tipo è molto stretto, non capiamo granché e noi 3 restiamo indietro. E scopro che non è una sensazione solo mia. Non ci fatto tristezza Google, non ci hanno tristezza la Apple, sono posti di lavoro, dove si producono cose. Ma la conoscenza che è alla base di queste cose, queste cose che ci hanno cambiato la vita, nasce qui, in mezzo a questi viali alberati. Qui dove la rata costa più o meno quanto il mio stipendio annuale. E davvero non c’è alcuna reale possibilità che io me ne vada girando con la bicicletta in mezzo Stanford. E non diventerò mai quello che forse sarei potuta diventare studiando qua (anzi, alla Columbia, diciamola tutta). Ma a tutti tocca fare i conti con un “non potrà mai essere”.  A meno che non si postuli un mondo di infinite realtà parallele, voglio dire.

Quello che però vi voglio dire è che affinale Stanford è tale e quale all’Outlet di Valchiana e che sulle sedie della chiesa finto medievale al posto dei foglietti delle preghiere ci sono i fogli con le istruzioni su cosa fare in caso di calamità naturale. E no, non ci sta scritto “Dite un’Ave Maria”.

Si comprano tutti la felpa di Stanford, io anche no. Non ho nessuna intenzione di avere una felpa che mi faccia fare finta di essere qualcosa che non potrò mai essere. Dai, torniamo a San Francisco.

Continua…

Nelle puntate precedenti:

Cap 1: San Francisco
Cap 2: Le Sequoie Giganti
Cap 3: La Death Valley
Cap 4: Las Vegas
Cap 5: La Route 66
Cap 6: Hollywood
Cap 7: Il Mare della California

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7 Commenti su "Appunti Americani – La Silicon Valley"

  1. spacer Alex says:
    15 April 2012 at 12:05

    Non hai detto però che ti abbiamo chiesto N volte (lo stesso giorno e il seguente) di tornare davanti al pollicione di facebook a farti la foto e tu hai non hai voluto più.

  2. spacer camilla says:
    15 April 2012 at 12:08

    Il momento era sfuggito, la poesia era evaporata….

  3. spacer FdC says:
    15 April 2012 at 12:44

    “E’ gente che nega il consenso al trattamento dei dati personali, vi ho detto tutto.”

    E’ la più bela frase che abbia mai letto

  4. spacer Martina says:
    15 April 2012 at 13:38

    comunque coincidenza delle coincidenze ieri ho scoperto che il ragazzo a cui diedi il primo bacio, ormai 10 anni fa, un turco che poi anni dopo all’improvviso ha scoperto di essere gay ( si, è una storia vera ) lavora alla sede di Facebook di Dublino…. se vuoi ci metto una buona parola !!!

  5. spacer gattosolitario says:
    15 April 2012 at 14:13

    Io peró non ci credo troppo ai “io non potrei mai essere”, volendo si puó fare e si puó essere spacer Io a questo ci credo!

    Non li pensare a quelli di FB… chi non ti ama non ti merita. Anche se si, un pochino la reginetta di facebook mi sembri anche a me!

  6. spacer lidia says:
    20 April 2012 at 10:02

    cami, cami,
    so’ orgogliosa come se il corrieredelmezzogiorno.it avesse intervistato un mio congiunto e lo avessimo accolto ( sempre il corrieredelmezzogiorno.it) nel salotto buono. Peccato che il giornalismo, allo stato dell’arte, non manifesti interesse nei confronti del Tractatus de bipolaritate di mio fratello

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