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Levi Montalcini Rita

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Settore disciplinare
  • medicina
Caratteristiche
  • Accademica -
  • Allieva e/o collaboratrice -
  • Docente universitario -
  • Espulsa Leggi razziali 1938 -
  • Impegno civile, sociale e/o politico -
  • Laureata e/o insegnante -
  • Premio Nobel
Luogo/i
  • Roma -
  • Torino
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Nata: 22 Aprile 1909 (Torino)

Morta: 30 Dicembre 2012 (Roma)

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Rita Levi Montalcini nasce a Torino il 22 aprile del 1909. Insieme con la gemella Paola, è la più giovane della famiglia, composta da altri tre fratelli e da una sorella, Anna. I genitori, Adamo Levi e Adele Montalcini, appartengono all’ambiente della borghesia colta torinese. L’infanzia trascorre in un ambiente familiare tranquillo e amorevole. I giovani Levi Montalcini possono assorbire dai loro genitori il rispetto e la devozione per la cultura. Ciò nonostante, secondo uno stile di vita che Rita stessa definirà come «tipicamente Vittoriano», alla componente femminile della famiglia viene riservata un’istruzione «tradizionale», cioè rispettosa dell’ordinaria distinzione dei ruoli. A differenza dei loro fratelli, infatti, Anna, Rita e Paola vengono iscritte al locale liceo femminile: si tratta di una scuola finalizzata alla formazione di future donne di casa, verso la quale le tre sorelle vengono indirizzate dal volere paterno. Terminato il corso di studi, Rita trascorre un periodo di tre anni segnati dall’incertezza sul proprio futuro. A differenza della sorella Paola, che ha sviluppato negli anni una forte propensione per l’arte e che comincia a frequentare uno dei più importanti atelier di pittura d’Europa, non riesce a decidere quale strada intraprendere. Sente di essere attratta dalla filosofia, ma la scuola che ha frequentato non le consente di accedere a quel corso di laurea. La svolta avviene in coincidenza della morte per cancro dell’amata governante di famiglia: seguendo l’impulso di ciò che quel lutto ha messo in moto, Rita decide di iscriversi a medicina. In otto mesi la giovane recupera le sue lacune in greco, latino e matematica e ottiene il diploma liceale che le serve per iscriversi all’Università. Siamo nel 1930. Nel periodo della formazione universitaria Rita compie degli incontri importanti, che segneranno la sua vita. È il caso del professor Giuseppe Levi. Titolare della cattedra di anatomia umana presso l’ateneo torinese, nonché «personalità dominante nella scuola di medicina», Levi rappresenta una figura portante della biologia di quel periodo. Fra i suoi allievi, oltre a Rita, vi sono altri due futuri premi Nobel: Renato Dulbecco e Salvador Luria, entrambi colleghi ed amici della giovane studentessa. È un contesto stimolante quello in cui la giovane muove i suoi primi passi: un ambiente ben ritratto nel Lessico Familiare, libro con cui la scrittrice Natalia Ginzburg, figlia di Giuseppe Levi, ricostruisce la viva atmosfera culturale del tempo.Insieme con sua cugina Eugenia Lustig, anche lei iscritta a medicina in quegli anni, Rita segue con entusiasmo le lezioni del professore, appassionandosi in particolar modo allo studio del sistema nervoso. Inizialmente, tuttavia, manifesta qualche difficoltà nell’impadronirsi della tecnica istologica, tanto che – racconta - il suo maestro soleva aggrottare le ciglia e scuotere la testa ogni volta che ispezionava i vetrini da lei preparati. Le cose sarebbero presto cambiate. Nella ricerca assegnatale per la tesi di laurea, infatti, Rita riesce a dare il meglio di sé, mostrando le proprie capacità. Subito dopo essersi laureata con il massimo dei voti, nel 1936, la giovane decide di specializzarsi in neurobiologia e psichiatria e diviene assistente presso la Clinica universitaria. Nel 1938, a seguito della promulgazione delle leggi razziali, sia il maestro che l’allieva, entrambi ebrei, sono costretti a lasciare il paese. La destinazione, per entrambi, è il Belgio: Levi ripara a Liegi, mentre Rita si reca a Bruxelles, dove viene accolta dal Dr. Laruelle presso l’Istituto neurologico. Qui rimane fino a tutto il 1939. Nel 1940 la dottoressa fa rientro in Italia. La situazione non è certo delle più semplici, giacché non le è possibile svolgere ufficialmente alcuna attività. Decide tuttavia di non darsi per vinta e allestisce in casa propria un laboratorio di fortuna dove con il proprio maestro, nel frattempo rientrato in Italia, prende a svolgere alcuni esperimenti sullo sviluppo del sistema nervoso nell’embrione dei polli. Con il trascorrere degli anni le difficoltà dovute allo stato di guerra cominciano a farsi sempre maggiori e irrompono nella quiete del laboratorio domestico. L’Italia del nord, Torino in particolare, subisce massicce distruzioni a causa dei bombardamenti. La famiglia Levi, pertanto, decide di abbandonare la città, trasferendosi prima nell’astigiano e in seguito a Firenze, dove Rita assume identità clandestina sotto il nome di Rita Lupani e stringe rapporti di amicizia con alcuni membri del Partito d’azione. Deciderà poi di scendere in campo e di dare il proprio contributo alla guerra di liberazione svolgendo le funzioni di medico volontario delle forze alleate.Terminata la  guerra, la dottoressa ritorna a Torino e riprende il suo posto di assistente presso la Clinica psichiatrica dell’Università. Vi rimarrà fino al 1947, anno in cui, grazie anche alla mediazione di Salvador Luria,  riceve dallo scienziato di origine tedesca Viktor Hamburger l’invito a recarsi negli Stati Uniti per svolgere con lui indagini sugli embrioni di pollo già avviate negli anni del conflitto. È così che nel 1947 Rita lascia l’Italia e si stabilisce a Saint Louis, presso la Washington University. Il distacco non è del tutto indolore. Con queste parole la scienziata avrebbe in seguito ricordato la traversata oceanica a bordo della nave polacca Sobiewsky, sulla quale si era imbarcata in compagnia di Renato Dulbecco: «Per dodici giorni e dodici notti il piccolo Sobiewsky ci ha sguazzato dentro, e quell’acqua che aumentava sempre la nostra distanza mi metteva un grosso nodo alla gola, e Dulbecco faceva grande fatica a comunicarmi qualche briciola della sua felicità per controbilanciare la mia malinconia. Il viaggio tuttavia è stato ottimo». [Levi Montalcini, 2000, p.5] Doveva essere un soggiorno di massimo dodici mesi; si protrarrà invece per circa trent’anni. È infatti in America che la scienziata svolge le sue più impegnative e importanti ricerche, arrivando a scoprire l’esistenza di una sostanza che promuove lo sviluppo delle cellule nervose: il cosiddetto Nerve Growth Factor. Per questa scoperta riceverà nel 1986, in coppia con Stanley Cohen, il premio Nobel per la medicina. Nominata prima Associate Professor (1956) e poi Full Professor (1958) in Zoologia presso la Washington University di St.Louis, negli anni sessanta la scienziata comincia un periodo di intenso pendolarismo con l’Italia. Il suo impegno consente la fondazione presso il CNR del Centro ricerche di neurobiologia e del Laboratorio di biologia cellulare, di cui tiene la direzione dal 1969 al 1978. Il pendolarismo intercontinentale termina solo nel 1977, anno in cui la scienziata rientra definitivamente in Italia come Guest Professor presso lo stesso CNR.  Alla luce dell’ipotesi che il NGF svolga una sorta di funzione coordinativa dei sistemi nervoso, endocrino ed immunitario, la Montalcini, dopo il conferimento del Nobel, si è dedicata prevalentemente allo studio dei possibili impieghi terapeutici del fattore di crescita, impegnandosi altresì in attività di ricerca presso il CNR in qualità di superesperto, per discutere, collaborare e seguire diversi progetti. E’ membro di importanti istituzioni scientifiche, tra cui l’Accademia Nazionale dei Lincei (dal 1990 è Socio nazionale nella classe di Scienze fisiche, dopo aver rivestito la carica di Socio straniero dal 1976), l’Accademia Americana delle Scienze e la Royal Society.Animatrice di numerose iniziative scientifico-medico-assistenziali, non è inoltre estranea ad un forte impegno sociale e civile. Importante, a questo proposito, la sua attività di promozione della «Magna Charta dei doveri umani», il cui scopo è quello di affrontare con urgenza i problemi che oggi minacciano il globo: «salvaguardare la biosfera dalla degradazione a cui è esposta per l’inquinamento e l’uso indiscriminato delle risorse naturali; l’aiuto immediato dei paesi ricchi e tecnologicamente progrediti alle popolazioni della maggior parte della terra afflitte dalla fame, dalla miseria e dalle malattie; un nuovo ‘contratto morale’ tra le vecchi e le giovani generazioni». La scienziata è alla guida della Fondazione Rita Levi Montalcini Onlus, attiva sul fronte dell’accesso all’istruzione delle donne africane. In ambito culturale ha poi rivestito ruoli di grande prestigio e autorevolezza: fra questi, va ricordata la sua carica di presidente, dal 1993 al 1998, dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana.Nel 2001 è stata nominata Senatore a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

 

Insieme al suo collaboratore Stanley Cohen, Rita Levi Montalcini ha ricevuto nel 1986 il premio Nobel per la medicina e la fisiologia per le sue ricerche sul Fattore di crescita dei nervi (NGF). Le origini di questa scoperta vanno rintracciate nei suoi studi sullo sviluppo degli embrioni dei polli compiuti nel laboratorio casalingo di Torino, negli anni della seconda guerra mondiale.In questa fase della sua attività la scienziata mette a frutto le pionieristiche metodologie di coltivazione in vitro dei tessuti, sviluppate in Italia da Giuseppe Levi sull’esempio di quanto compiuto negli Stati Uniti da Ross Granville Harrison e Alexis Carrel. Si trattava di un metodo che apriva nuovi orizzonti alla ricerca biologica: secondo la definizione dello stesso professore torinese, esso consisteva in un «procedimento tecnico destinato a conservare viventi per lungo tempo parti separate da un organismo pluricellulare in un mezzo artificiale adatto per le sue proprietà fisiche e chimiche alla conservazione delle funzioni vitali elementari (…). Sebbene una coltura in vitro differisca per molti riguardi da un tessuto dell’organismo, gli attributi elementari delle cellule sono sempre gli stessi; e d’altra parte l’essere le cellule sottratte all’influenza perturbatrice del tutto, crea condizioni più favorevoli per lo studio delle loro proprietà». [G. Levi, 1937] È una formazione metodologica, quella di Rita, che si svolge con continuità, per quanto le condizioni avverse la rendano difficile, anche negli anni dell’ esilio belga: in questo periodo, ogni fine settimana, la giovane prende il treno che da Bruxelles la porta a Liegi, dove Levi ha installato un laboratorio nel quale continuare le ricerche in vitro avviate a Torino. Una volta rientrata in Italia, la Montalcini attrezza un piccolo laboratorio domestico, «à la Robinson Crusoé», nella propria camera da letto. Qui svolge con il maestro - che presto la raggiunge -  alcune ricerche sui meccanismi di sviluppo del sistema nervoso negli embrioni di pollo. Si rifà, in questa fase del suo lavoro, ad un articolo pubblicato nel 1934 su  una rivista americana da Viktor Hamburger, allievo del premio Nobel Hans Spemann (1935). In particolare, l’attenzione della scienziata si rivolge all’idea di un «centro di organizzazione»: un «fattore d’induzione» normalmente liberato nelle precoci fasi dello sviluppo embrionale, e in grado di regolarne il corso. I risultati di queste prime ricerche domestiche, pubblicati sulla rivista belga «Archive de biologie», attirano l’attenzione di Hamburger, che la invita a trascorrere un periodo di ricerca presso la Washington University di St. Louis. Siamo negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. La scienziata accoglie subito l’opportunità di approfondire all’estero le sue indagini. Raggiunge Hamburger a St. Louis, dove vivrà da protagonista la grande avventura della scoperta del NGF. Una volta giunta negli Stati Uniti, concentra la sua attenzione sul processo di crescita e differenziamento delle cellule nervose. In particolare: che tipo di interazione avviene, nello sviluppo del sistema nervoso, fra innervazione periferica e organi? Con i suoi studi Hamburger aveva dimostrato una influenza decisiva dei fattori periferici sul processo di proliferazione e differenziazione delle cellule nervose. Si trattava ora di afferrare il preciso meccanismo attraverso il quale le fibre nervose, nel corso del loro sviluppo, si proiettano e si connettono con i propri rispettivi «organi-bersaglio».A questo scopo, ispirandosi al metodo di Elmer Bueker, un allievo di Hamburger, la scienziata adopera una tecnica che prevede l’innesto sugli embrioni di pollo di tessuti neoplastici (sarcoma 180 e sarcoma 37). Con queste parole, Rita riassumeva in una lettera del 1951 ai familiari il percorso e le prospettive delle sue ricerche: «Voi sapete che sto studiando lo sviluppo del sistema nervoso e in particolare cercando di capire quale forza misteriosa (…) diriga le fibre motrici agli organi di moto, quelle di senso agli organi sensitivi e le viscerali ai loro rispettivi organi. Un anno fa, con trapianti di tumori di topo in embrioni di pollo (…) ho visto che il tumore (un tumore maligno) determina uno sviluppo ipertrofico di alcune ma non tutte le cellule nervose, e viene invaso da un numero grandissimo di queste fibre (…). Il tumore dunque agisce selettivamente su questi centri, ed io ho formulato l’ipotesi (…) che il tumore rilasci in circolo una sostanza x che ho chiamato Growth promoting substance che stimola (press’a poco come un ormone) lo sviluppo di alcuni centri nervosi. Il solo modo di dimostrare la presenza di questa sostanza era il suo effetto per via umorale, e cioè con un trapianto del tumore a distanza dall’embrione, ma connesso a lui per via del circolo sanguigno. Ho trapiantato il tumore nel tuorlo d’uovo (o meglio sulla membrana vascolare che dal tuorlo porta il nutrimento all’embrione) ed ho avuto il risultato che speravo. Non soltanto, ma sono riuscita ad ottenere che organi che normalmente non sono innervati fossero completamente invasi da fibre nervose». [Levi Montalcini, 2000, p. 62] Come lei stessa ha più volte sottolineato, descrivendo la ricerca come un’avventura meravigliosa e stupefacente e facendo notare la centralità del ruolo del caso nelle scoperte, da un problema si era passati, quasi senza soluzione di continuità, ad un altro: dalla questione del differenziamento e della selettività  organizzativa, per così dire, delle fibre nervose, si era giunti all’idea dell’azione di uno specifico fattore trofico. Nel laboratorio americano, infatti, osserva come i due ceppi tumorali impiegati siano in grado di stimolare la crescita di una fitta rete di fibre nervose. Per meglio analizzare tale fenomeno, Rita Levi Montalcini passa ad applicare a questo processo un fattore che, si presume, sia in grado di contrastarlo: il veleno di serpente. Rileva però, inaspettatamente, che il veleno non solo non contrasta la crescita delle fibre, ma addirittura ne stimola la formazione di nuove. In seguito la scienziata sperimenterà altresì con altre sostanze, tratte dalle ghiandole salivari di svariati animali. Anche in questo caso, lo stesso riscontro: non un arresto, bensì un accrescimento della fibra nervosa. I risultati ottenuti negli esperimenti portano dunque Rita a sostenere l’esistenza di un ancora non bene identificato fattore trofico umorale, particolarmente attivo nel promuovere il processo di crescita e differenziazione delle cellule nervose del sistema simpatico: un «nerve growth promoting agent» la cui individuazione biochimica l’avrebbe occupata a lungo.Negli anni Cinquanta ella avvia a questo scopo un intenso lavoro di ricerca in tandem con altri studiosi. Nel 1952, non dimentica della ricca e lunga esperienza accumulata negli anni della collaborazione con Levi, mette a frutto le conoscenze acquisite nel campo della tecnica di coltura dei tessuti, avvalendosi del supporto competente di Hertha Meyer, un’antica collaboratrice del suo maestro, divenuta nel frattempo direttrice dell’Unità di coltura dei tessuti dell’Istituto Biofisico di Rio de Janeiro. Del resto, in seguito, la stessa Rita avrebbe riconosciuto come l’esperienza accumulata nell'analisi delle colture in vitro sarebbe stata fondamentale nella scoperta del NGF.A Saint Louis, contemporaneamente, stringe un solido sodalizio scientifico con il biochimico Stanley Cohen, che riesce a scoprire che la sostanza trofica rilasciata dai tessuti neoplastici consiste in una molecola nucleoproteica presente non solo nei tumori, ma anche nel veleno di serpente e nelle ghiandole salivari dei topi.  Nel 1959 durante il Simposio di Baltimora dedicato a «Le basi chimiche dello sviluppo», la Levi Montalcini e Cohen espongono al pubblico i risultati delle proprie osservazioni sul NGF, riscuotendo un grande interesse. Dopo la partenza di Cohen dall’America, prosegue le sue indagini sul NGF con Pietro Angeletti, medico italiano con eccellenti competenze nel campo della biochimica. Diviene a poco a poco evidente, con il progredire delle ricerche, che il NGF non è prodotto soltanto dalle ghiandole salivari di alcune specie animali, ma dalle cellule nervose stesse. Inoltre, si chiarisce come il Nerve Growth Factor stimoli la crescita di tutte le cellule nervose, e non solo di quelle del sistema simpatico. Insomma, quelle ricerche che Rita Levi Montalcini, nel 1951, scrivendo ai familiari, supponeva potessero interessare solo «un numero relativamente limitato di biologi», essendo strettamente attinenti al campo neuroembriologico, dimostravano invece ricadute molto più ampie. Proprio il chiarimento della funzione del NGF sullo sviluppo di tutto il sistema nervoso, compresa la corteccia cerebrale, consentiva di gettare un ponte fra ricerca neuroembriologica e studio del comportamento. Si aprivano così, a partire da ricerche di biologia sperimentale, nuove frontiere nel campo della ricerca neuropsicologica e psicobiologica. Dopo il premio Nobel nel 1986, i lavori della scienziata si sono indirizzati soprattutto verso altre possibili funzioni del NGF. L’ipotesi seguita in questo caso è che esso non si limiti ad alimentare la crescita delle cellule nervose, ma che rappresenti una sorta di «elemento coordinatore dei tre sistemi: endocrino, nervoso e immunitario». La ricerca si è inoltre sviluppata pure in direzione genetica: si è individuato, in particolare, il gene di codifica del NGF: nella specie umana esso è localizzato sul braccio corto prossimale del cromosoma 1. Oggi la scoperta del NGF rappresenta una pietra miliare nella storia della medicina e delle neuroscienze: da un lato, apre la porta allo studio di nuove prospettive terapeutiche; dall’altro, nell'analisi e nella valutazione dei disturbi del comportamento, rappresenta una valida alternativa alla rigidità e al fatalismo preformista di una visione del cervello e del comportamento di stampo rigorosamente genetista.

 

«Uno dei maggiori protagonisti dei più gloriosi episodi della storia moderna delle neuroscienze». Così A.D. Smith ha definito Rita Levi Montalcini sulla prestigiosa rivista «Neuroscience», in occasione del conferimento alla scienziata del premio Nobel per la medicina. E pensare che , da studentessa, era stata per qualche anno parte di quella schiera di allievi che il maestro, Giuseppe Levi, chiamava gli «impiastri».
Eppure, questa giovane «sensibilissima, fragilissima, resistentissima», avrebbe con gli anni dato prova delle sue doti guadagnando fama mondiale con le sue ricerche. Una «straordinaria carriera di neurobiologa», la sua: una carriera – come avrebbe poi sottolineato Salvador Luria – «che le valse onori e riconoscimenti di ogni sorta, nonché l’appellativo di regina per l’eleganza impeccabile e i modi regali». [Luria, 1984, p.53]
Il riconoscimento maggiore arriva con il Nobel del 1986, ottenuto con Stanley Cohen per le ricerche sul GNF. Nel suo discorso di presentazione presso il Karolinska Institute , Kerstin Hall presenta al pubblico i risultati del lavoro di un duetto di eccellenza: «tutto iniziò» con l’arrivo della scienziata italiana nel laboratorio di St.Louis. A Rita Levi , «grande biologa dello sviluppo», spetta il merito di «aver mostrato il meccanismo di regolazione della crescita dei nervi», mentre a  Stanley Cohen, «brillante biochimico», quello di aver isolato i primi fattori di crescita.
Così, elegantissima, la «dama delle cellule» sarebbe salita sul palco dell’Accademia svedese a ritirare il più prestigioso dei premi: una «piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa». Vero e proprio esempio «di come un abile sperimentatore può creare concetti partendo da un apparente caos».
Alberto Oliverio, suo collaboratore, allievo di Bovet e professore di psicobiologia alla Sapienza di Roma, ce ne fornisce un profilo con queste parole: «Ho incontrato per la prima volta Rita Levi Montalcini nel 1964 quando nell’Istituto Superiore di Sanità lavoravano due premi Nobel, Daniel Bovet  della cui equipe ero appena entrato a far parte, e Boris Chain, premiato per i suoi studi sulle penicilline sintetiche. A quei tempi ero un giovane laureato e restai sorpreso, in occasione del primo incontro per discutere i risultati di una ricerca sul fattore di crescita del sistema nervoso, dall’eleganza e dalla gentilezza di Rita Levi Montalcini, già molto nota per i suoi studi sul sistema nervoso. C’era un forte contrasto tra l’eleganza dei vestiti e del suo bracciale, che ha sempre indossato insieme ad una spilla che appare in ogni sua fotografia, la semplicità del laboratorio situato in un semi-interrato, e la decisione con cui commentava i risultati di un breve esperimento. Da allora gli incontri si sono ripetuti, prima a Saint Louis, poi nei lavoratori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, poi all’EBRI, l’istituto che ha fondato superando le incredibili difficoltà e pastoie della burocrazia italiana. Col passare degli anni l’eleganza di Rita non è mutata e, soprattutto, non è cambiato il suo entusiasmo nei confronti della scienza: sin quando la vista glielo ha consentito ha scrutato nell’oculare del suo microscopio alla ricerca degli effetti dell’NGF e di altri fattori neurotrofici sul sistema nervoso. Con la stessa ostinazione ha letto, attraverso un sistema di lenti di ingrandimento, testi scientifici e articoli generali, in gran parte legati alle ricadute filosofiche e sociali della scienza. Malgrado i nostri interessi si fossero diversificati, Rita era sempre curiosa di ciò che facevo e di ciò che facevano gli altri: e inoltre, aveva sviluppato con gli anni una incredibile capacità lavorativa, interessi, come quelli nei riguardi della diffusione della cultura scientifica in Africa, che la riempivano d’entusiasmo e per cui lavorava intensamente. Ricordo che lamentandosi, non senza un certo vezzo, che i suoi giovani collaboratori dimostrassero una scarsa resistenza e si stancassero facilmente notò che “i giovani sono ancora dei dilettanti della vita, noi che siamo arrivati a questa età siamo invece dei professionisti: non soltanto sappiamo amministrarci ma siamo anche resistenti"».
Enrico Alleva, direttore della sezione di neuroscienze del comportamento dell'Istituto superiore di sanità, ci fornisce con queste parole un ricordo del suo incontro con la scienziata: «Ho conosciuto da adolescente Rita Levi-Montalcini: per i casi (fortuiti o meglio fortunati) della vita, abitando lei nei pressi della casa dei miei genitori, un rapace diurno, un nibbio, che avevo riscattato e curato in quanto ferito, si era infatti posato sul suo balcone. Discutemmo dei comportamenti di gioco dei vertebrati, e delle relative  forme e funzioni dei loro cervelli, argomento del quale ero allora quasi completamente digiuno. Iniziò allora una sottile complicità, una forma di educazione atipica: nella quale Rita, che faceva la pendolare tra gli Stati Uniti e Roma, mi suggeriva letture a carattere soprattutto scientifico (ma anche  Arthur Koestler) che divenivano argomenti dei successivi incontri e discussioni. Mi forniva articoli scientifici, mi invitava regolarmente ai seminari del suo attivissimo laboratorio romano.
Quando, dopo la laurea, mi presentai al concorso per il Perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, lei mi scrisse una calorosa lettera di presentazione (ne erano richieste tre, le altre me le scrissero Giuseppe Montalenti e Daniel Bovet). I nostri colloqui scientifici proseguiranno con regolarità, ma fu solo negli anni ottanta che ci trovammo  a condurre assieme, dietro sua ispirazione, alcuni fortunati esperimenti che dimostrarono come il nerve growth factor (quella molecola al cui studio lei ha dedicato,  e dedica, una vita di approfondimento) esercitasse un ruolo sul comportamento animale e umano, essendo coinvolto in fenomeni di stress.
Nel corso di questi studi conobbi e apprezzai  il suo collaboratore Luigi Aloe, con cui tuttora mi legano amicizia e stima scientifica.
Discutere, ragionare gli esperimenti o scrivere un lavoro scientifico assieme a Rita è un'esperienza tanto peculiare quanto affascinante. Mi considero davvero fortunato per averne avuto la possibilità, e da così tanto giovane. Il suo intuito,  la sua incredibile dedizione totale alla materia, quasi la compenetrano fisicamente nella neurobiologia, disciplina che ha contribuito lei stessa a fondare».

 

Le pubblicazioni scientifiche di Rita Levi Montalcini sono numerosissime.

Qui di seguito si forniscono solo alcune indicazioni. Per un elenco bibliografico completo  si rimanda ai riferimenti che accompagnano la sua Nobel Lecture, reperibile all’indirizzo  nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1986/levi-montalcini-lecture.html

-         Il messaggio nervoso, Milano, Rizzoli, 1975 (in coll. con P. Angeletti e G. Moruzzi)

-   NGF: An Uncharted Route, in F.G. Worden, J.P. Swazey, G. Adelman (edited by), The neuroscience: Path of discovery, The MIT Press, Mass., 1975

-         The Nerve Growth factor, «Science America», 1979 (in coll. Con P. Calissano)

-         Nerve Growth Factor as a paradigm for other polypeptide growth factors, «Trends in Neurosciences», 1986 (in coll. Con P. Calissano)

-         The Nerve Growth Factor: 35 years later, «Science», 1987

-         NGF: apertura di una nuova frontiera nella neurobiologia, Milano, Ed. theoria, 1989

-         Il tuo futuro. I consigli di un premio Nobel ai giovani, Milano, Garzanti, 1993

-         Senz’olio contro vento, Milano, Baldini e Castoldi, 1996

-        The Saga of the Nerve growth Factor. Preliminary studies, discovery, further development, Singapore, Ed. World Scientific, 1997

-         L’asso nella manica a brandelli, Milano, Baldini & Castoldi, 1998

-         La galassia mente, Milano, Baldini & Castoldi, 1999

-         Elogio dell’imperfezione, Milano, Garzanti, 1999

-         Cantico di una vita, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000

-         Un  universo inquieto. Vita e opere di Paola Levi Montalcini, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2001

-         Tempo di mutamenti, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2002

-         Abbi il coraggio di conoscere, Milano, Rizzoli, 2004

-         Tempo di azione Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2004

-         I nuovi magellani nell’era digitale , Milano, Rizzoli, 2006

-         Tempo di revisione , Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2006.

-         Rita Levi montalcini racconta la scuola ai ragazzi , Fabbri, (2007)

- S.E. Luria, Storia di geni e di me, Torino, Boringhieri, 1984 
- A. Oliviero, Rita Levi-Montalcini, in P. Galluzzi, L. Manetti (a cura di), Beautiful Minds. I Nobel italiani, Firenze, Giunti, 2004.
- J.-C. Dupont, Levi-Montalcini et la découverte du facteur de croissance du nerf, in G. Galperin, S.F. Gilbert, B. Hoppe (edited by), Proceedings og the XXth International Congress of History of Science (Liège, 20-26 July 1997) - Vol. III - Fundamental Changes in Cellular Biology in the 20th Century, Brepols, Turnhout, 1999.
- R. Simili, A "Queen" and a "Lion Tamer" at the Sancta Sanctorum of Turin: Rita Levi Montalcini and Giuseppe Levi, in V.P. Babini, R. Simili (edited by), More than Pupils. Italian Women in Science at the Turn of the 20th Century, Firenze, Leo S. Olschki,  2007.

Roberta Passione
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