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mobbing

  1. Le pratiche persecutorie (mobbing) realizzate dal datore di lavoro ai danni del lavoratore, e finalizzate alla sua emarginazione, possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia solo se il rapporto tra i detti soggetti assuma natura para-familiare, se risulti cioè caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita condivise, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di garanzia. (Cass. pen. 13/1/2011 n. 685, Pres. Serpico Rel. Milo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Natalina Folla, 1025)
  2. La fattispecie conosciuta come mobbing gerarchico o verticale o bossing consiste nel complesso di comportamenti di ostracizzazione connotati da violenza, come abusi psicologici, angherie, vessazioni, demansionamento, emarginazione, umiliazioni, maldicenze, etc. perpetrate da parte di superiori, ripetuti per un apprezzabile lasso temporale e lesivi della dignità personale e professionale, nonché eventualmente, della salute psico-fisica del lavoratore, tenuti con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il lavoro. (Trib. Bologna 13/4/2010, Giud. Coco, in Lav. nella giur. 2010, 737)
  3. Per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro nei confronti del dipendente in violazione degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c. e consistente in reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione del lavoratore, correttamente individuati dal giudice di merito in continui insulti e rimproveri con umiliazione e ridicolizzazione davanti ai colleghi di lavoro, e nella frequente adibizione a lavori più gravosi rispetto a quelli svolti in precedenza. (Cass. 26/3/2010 n. 7382, Pres. Roselli Est. D'Agostino, in Orient. giur. lav. 2010 388)
  4. Il mobbing consiste nella condotta datoriale, realizzata attraverso comportamenti materiali e atti giuridici, posta in essere in un ampio arco temporale, idonea a vessare e discriminare il lavoratore e sorretta da nessuna plausibile finalità, se non quella di mortificare, umiliare e punire il dipendente, tanto da indurlo all’allontanamento dalla struttura. (Trib. Modena 18/1/2010, Est. Ponterio, in D&L 2010, con nota di Yara Serafini, “Un caso di mobbing tra condotta datoriale, fondamento normativo e risarcimento del danno”, 523)

  5. La responsabilità per mobbing regge essenzialmente sull’art. 2087 c.c. che obbliga l’imprenditore ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, affinché siano salvaguardate sul luogo di lavoro la dignità e i diritti fondamentali, di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione. (Trib. Modena 18/1/2010, Est. Ponterio, in D&L 2010, con nota di Yara Serafini, “Un caso di mobbing tra condotta datoriale, fondamento normativo e risarcimento del danno”, 523)

  6. Se è innegabile la valenza esistenziale del rapporto di lavoro, vale a dire il diretto coinvolgimento in esso del lavoratore come persona, e se è univocamente dimostrata, in base ai dati istruttori, una condotta datoriale vessatoria e ingiusta, può dirsi senz’altro realizzato un danno esistenziale,  inteso come danno all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine e alla vita di relazione e, più in generale, lesione del diritto del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro, tutelato agli artt. 1 e 2 Cost. (Trib. Modena 18/1/2010, Est. Ponterio, in D&L 2010, con nota di Yara Serafini, “Un caso di mobbing tra condotta datoriale, fondamento normativo e risarcimento del danno”, 523)

  7. La fattispecie del mobbing ricade nell'alveo della responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. Ricade sul lavoratore l'onere di documentare l'inadempimento contrattuale del datore di lavoro, il danno e il nesso di causa tra il primo e il secondo, mentre il datore di lavoro deve provare di aver garantito la protezione legislativamente richiesta ex art. 2087 c.c., direttamente o mediante vigilanza e intervento sull'operato dei propri collaboratori. Non dà luogo a un'ipotesi di mobbing e, come tale, non legittima alcuna pretesa risarcitoria il ricorrere sul luogo di lavoro di difficoltà relazionali, legate alla cattiva predisposizione del lavoratore rispetto all'ambiente di lavoro, se non sussiste alcun intento persecutorio da parte del datore di lavoro o dei colleghi. (Trib. Milano 20/4/2009, d.ssa Cuomo, in Lav. nella giur. 2009, 849)
  8. È correttamente motivata la sentenza di merito che abbia ravvisato il compimento di una complessiva operazione di mobbing nella pretestuosa irrogazione di sanzioni disciplinari a una lavoratrice, sorretta dalla volontà del datore di colpirla, culminante nella comminazione del licenziamento, basato anche sulle sanzioni precedenti. (Cass. 23/3/2009 n. 6907, Pres. Sciarelli Est. Monaci, in Orient. Giur. Lav. 2009, 121)
  9. Per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione e di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità; ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute e della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico e il pregiudizio dell’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio. (Cass. 17/2/2009 n. 3785, Pres. Sciarelli Est. D’Agostino, in Orient. Giur. Lav. 2009, 115)
  10. La caratteristica essenziale per definire come esistente un comportamento di mobbing è che la vessazione psicologica sia attuata in modo sistematico, ripetuto e per un apprezzabile periodo temporale, così da far assumere significatività oggettiva a tali atti, tipici dell'imprenditore o meno, e permettendo di distinguerli dal conflitto puro e semplice. Accanto al profilo strutturale della ripetitività degli atti vessatori, è invece discusso se debba necessariamente ravvisarsi un profilo finalistico, inteso come valutazione della finalità illecita del motivo vessatorio: in proposito, basti osservare come tale valutazione debba essere intesa come idoneità lesiva dei beni della persona, verificabile attraverso la monodirezionalità della condotta, la pretestuosità della stessa e ancora una volta il permanere nel tempo del comportamento vessatorio. (Trib. Milano 24/12/2008, Est. Vitali, in Lav. nella giur. 2009, 420) 
  11. Il mobbing è costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore. Caratterizzano questo comportamento la sua protrazione nel tempo attraverso una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, anche intrinsecamente illegittimi), la volontà che li sorregge (diretta alla persecuzione ed emarginazione del dipendente) e la conseguente lesione attuata sul piano professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico. (Cass. 9/9/2008 n. 22858, Pres. Senese Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Giorgio Mannacio, 1235, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Nicola Ghirardi, "Il mobbing all'esame della Cassazione: alcune importanti osservazioni sulle caratteristiche della fattispecie e sugli obblighi del datore di lavoro", 293)
  12. Tra gli obblighi a carico del datore di lavoro, di cui all'art. 2087 c.c., non rientra quello di intervenire come "mediatore" nei frequenti attriti e antipatie tra i colleghi di lavoro. (Trib. Milano 28/8/2008, Est. Tanara, in Orient. della giur. del lav. 2008, 690)
  13. Viene ribadita nella sentenza la nozione di "mobbing" così come è stata ampiamente elaborata da tempo da parte della giurisprudenza. Con la decisione in esame, la Corte Suprema conferma un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, in base al quale va qualificata come "mobbing" ogni "ipotesi di comportamento materiale o di provvedimento (del datore di lavoro) che sia contraddistinto da finalità persecutorie o di discriminazione, con connotazione emulativa e pretestuosa, indipendentemente dalla violazione (da parte del lavoratore) di specifici obblighi contrattuali". La sentenza affronta poi alcune questioni di natura eminentemente processuale, ritenendo peraltro infondati i motivi prospettati dal ricorrente anche a questo riguardo. (Cass. 1/8/2008 n. 21028, Pres. Sciarelli Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Gianluigi Girardi, 1253)
  14. Il mobbing, inteso come atteggiamento di carattere persecutorio e discriminatorio da parte del datore di lavoro nei confronti di un lavoratore che è frustrato nelle sue aspettative umane e professionali può provocare un danno biologico, morale ed esistenziale. Tali danni vanno separatamente provati e risarciti. Il demansionamento può dare luogo al danno professionale, inteso come concreto depauperamento della professionalità acquisita, il quale può essere riconosciuto solo in presenza di adeguata allegazione. (Trib. Milano 30/7/2008, d.ssa Sala, in Lav. nella giur. 2009, 96)
  15. Va respinta la domanda risarcitoria del danno da mobbing proposta dal pubblico dipendente con rapporto di lavoro non contrattuale, in mancanza di prova dell'intento persecutorio della p.a. datrice di lavoro, che non è evincibile dall'illegittimità di provvedimenti amministrativi i quali non siano impugnati. (Cons. Stato 27/5/2008 n. 2515, Pres. Frascione Est. Poli, in Lav. nelle P.A. 2008, con commento di Luca Ratti, "Mobbing e pubblico impiego non privatizzato", 1075)
  16. Il mobbing è istituto di origine giurisprudenziale, con riferimento al quale si intende la reiterazione, sul luogo di lavoro, di soprusi da parte dei superiori o dei colleghi di lavoro in danno del dipendente attraverso condotte dirette a isolarlo nell'ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, a espellerlo; condotte il cui effetto è di intaccare gravemente l'equilibrio psichico del prestatore di lavoro menomandome la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso creando stati di depressione. (Trib. Benevento 22/4/2008, Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 1282)
  17. Poiché si configuri mobbing non è sufficiente che il superiore gerarchico abbia tenuto, per un breve periodo di tempo, un comportamento aggressivo nei confronti del lavoratore, venendo in questo caso a mancare i caratteri della sistematicità e della reiterazione dei comportamenti vessatori. (Trib. Milano 18/4/2008, Est. Scudieri, in Orient. giur. lav. 2008, 732)
  18. Non può considerarsi idonea a configurare mobbing la mera decisione aziendale di trasferire il lavoratore presso un diverso stabilimento, prevista da un accordo sindacale concluso a seguito della procedura per riduzione del personale, ove non siano state poste in essere vessazioni ripetute e sistematiche rivolte in modo specifico e individuale contro il lavoratore per un apprezzabile periodo di tempo. (Trib. Milano 31/1/208, d.ssa Vitali, in Lav. nella giur. 2008, 1174)
  19. Anche nel pubblico impiego, pur in assenza di una specifica, rigida regolamentazione, il mobbing si caratterizza per la presenza di precisi, essenziali elementi distintivi quali la sistematicità delle condotte mobizzanti, la ripetitività temporale e la loro natura tipicamente persecutoria e discriminatoria. (Corte app. Torino 15/1/2008 n. 19, Pres. Peyron Rel. Sanlorenzo, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Antonio Quagliarella, 927)
  20. Allorquando il datore di lavoro pubblico adibisca il lavoratore a mansioni inferiori, e tale decisione si manifesti come arbitraria e non sorretta da adegiata ponderazione e valutazione della eventuale presenza di altri soggetti idonei allo svolgimento delle stesse mansioni, questa integrerà gli estremi del mobbing che, nel caso specifico è da ritenersi descritto dalla fattispecie penale di cui all'art. 323 c.p. che disciplina l'abuso d'ufficio Cass. 7/11/2007 n. 40891, Pres. Mannino Rel. Martella, in Lav. Nelle P.A. 2008, con commento di Maria Giovanna Murrone, "Mobbing e reato di abuso d'ufficio", 1114)
  21. La condotta di mobbing presuppone una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti convergenti a esprimere ostilità del soggetto attivo verso la vittima e di efficace capacità di mortificare e isolare il dipendente, onde configurare una vera e propria condotta persecutoria nell'ambiente lavorativo. Pur mancando di tale fattispecie una precisa figura incriminatrice penale, la figura di reato più prossima è quella dei maltrattamenti commessi da persona dotata di autorità per l'esercizio di una professione (art. 572 c.p.), per la cui punibilità deve essere verificata la serie complessiva degli episodi lesivi contestati, in ordine alla loro sistematicità e durata dell'azione e nel tempo, le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione della condotta e, per la contestazione dell'aggravante specifica delle procurate lesioni gravi, l'individuazione della conseguenza patologica a essa riconducibile (nel caso in esame la Cassazione non rileva nè carenza nè illogicità nella motivazione della sentenza impugnata, attesa la radicale insufficienza del compendio probatorio e della contestazione dell'accusa, incapace di descrivere i tratti dell'azione censurata). (Cass. 29/8/2007 n. 33624, Pres. Pizzuti Rel. Sandrelli, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Alessia Muratorio, 991)
  22. Il termine mogbbing viene adottato per caratterizzare in modo immediato e sintetico una serie di comportamenti attinenti alle molestie morali e psicofisiche nei luoghi di lavoro. In assenza di una definizione giuridicamente rilevante di tale fenomeno e di una disciplina sanzionatoria del mobbing in quanto tale è necessario fare riferimento alle norme esistenti nell'ordinamento dettate per la tutela delle condizioni di lavoro, quindi, in primis, all'art. 2087 c.c. Per la configurabilità di un'ipotesi di mobbing sono imprescindibili i seguenti elementi: la sistematicità di comportamenti "mobbizzanti", la protrazione di tali comportamenti per un apprezzabile lasso di tempo e il carattere oggettivamente persecutorio e/o discriminatorio di tali comportamenti, associato a una condotta emulativa e pretestuosa. (Trib. Grosseto 22/2/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2007, 1151)
  23. E' riconducibile al fenomeno del mobbing quel comportamento reiterato nel tempo che, secondo i requisiti richiesti dalla psicologia del lavoro internazionale e nazionale, è posto in essere da parte di una o più persone, colleghi (c.d. mobbing orizzontale) o superiori (c.d. mobbing verticale) della vittima, è teso a respingere dal contesto lavorativo il lavoratore mobbizzato il quale, a causa di tale comportamento reiterato in un certo lasso di tempo sufficientemente apprezzabile, subisce un pregiudizio anche di ordine fisico. (Trib. Tivoli 23/1/2007, Est. Giordano, in D&L 2007, 1136)
  24. Posto che ai fini del risarcimento del danno sofferto dal lavoratore non è indispensabile che le condotte costituenti mobbing siano di per sé illecite, il mobbing obbliga il datore di lavoro a risarcire il danno alla salute e alla dequalificazione professionale conseguentemente sofferto dal lavoratore, fermo restando che, qualora il mobbing non abbia dato luogo a una vera e propria invalidità psico-fisica, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno esistenziale da liquidarsi in via equitativa. (Trib. Tivoli 23/1/2007, Est. Giordano, in D&L 2007, 1136)
  25. Dal riconoscimento del diritto della lavoratrice all'indennità sostitutiva del preavviso, in dipendenza delle dimissioni per giusta causa, deriva altresì il suo diritto al risarcimento dei danni (patrimoniali, psicologici e morali) posto che, dalla qualificazione come contrattuale della responsabilità del datore di lavoro per danno da mobbing, derivante da inadempimento dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) deriva che il datore di lavoro non assolve l'onere della prova liberatoria - posta a suo carico - se non allega e dimostra l'adozione di una qualsiasi misura di sicurezza idonea a prevenire il dedotto evento dannoso, non essendo sufficiente a tal fine limitarsi a dedurre una propria iniziativa volta alla repressione e non già alla prevenzione dei fatti "mobbizzanti" (nel caso di specie, la lavoratrice aveva denunciato un comportamento vessatorio attuato nei suoi confronti dal Presidente dell'Associazione da cui dipendeva, a seguito del quale il Presidente era stato tempestivamente deferito al Collegio dei probiviri). (Cass. 25/5/2006 n. 12445, Pres. Ciciretti Rel. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Lucia Valente, "Dimissioni per g.c. e risarcimento dei danni: i conseguenti oneri di allegazione e prova del lavoratore e di prova liberatoria del datore nell'azione risarcitoria per violazione dell'obbligo di sicurezza", 66)
  26. Perchè si possa configurare un risarcimento per danno da mobbing è indispensabile che il lavoratore fornisca la prova della presenza del comportamento vessatorio del datore di lavoro reiterato nel tempo, con episodi successivi e ripetuti, altresì, animati dall'intento esclusivo e mirato di nuocere al lavoratore nei confronti del quale tali condotte vengono attuate e che venga dimostrato, in particolare, che la condotta denunciata sia causalmente collegata alla malattia insorta del lavoratore. (Trib. Milano 6/4/2006, Giud. Peragallo, in ADL 2007, con nota di Mariele Cottone, "Danno da mobbing: nesso di causalità e oneri probatori", 561)
  27. Può esservi condotta molesta e vessatoria o, comunque, mobbing, anche in presenza di atti di per sè legittimi cosicchè non ogni demansionamento così come non ogni altro atto illegittimo dà luogo, a cascata, a mobbing. Affinchè ciò avvenga è necessario che le diverse condotte, alcune o tutte di per sè legittime, si ricompongano in un unicum, essendo complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l'equilibrio psico-fisico del lavoratore. Ciò non toglie che tali condotte, esaminate separatamente e distintamente possano essere illegittime e anche integrare fattispecie di reato. (Cass. sez. VI pen. 8/3/2006 n. 31413, Pres. Legnasi Rel. Rotundo, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Anna Piovesana, 39)
  28. L’illecito del datore di lavoro nei confronti del lavoratore consistente nell’osservanza di una condotta protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente (c.d. mobbing) – che rappresenta una violazione dell’obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall’art. 2087 c.c. – si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimentali dello stesso datore di lavoro indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificatamente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza della violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito impugnata che, con congrua motivazione, si era attenuta a tali criteri escludendo la configurabilità, in capo al datore di lavoro, di un disegno persecutorio realizzato mediante i vari comportamenti indicati dal lavoratore come vessatori). (Cass. 6/3/2006 n. 4774, Pres. Mercurio Rel. Miani Canevari, in Lav. Nella giur. 2006, 818)
  29. Ciò che distingue il mobbing dalle mere situazioni di conflittualità interpersonali che caratterizzano qualsiasi ambiente di lavoro è la sistematicità dei comportamenti vessatori e il reiterarsi nel tempo nonché l’unitaria e intenzionale finalizzazione di tali comportamenti allo svilimento della professionalità del lavoratore e alla mortificazione della sua dignità. (Trib. Milano 4/1/2006, Est. Vitali, in D&L 2006, 486)
  30. Al lavoratore vittima di accertati episodi di mobbing va risarcito il danno biologico individuato nella lesione psico-fisica della persona (nella fattispecie, è stata riconosciuta una inabilità temporanea del 25% e il danno è stato liquidato in base alle tabelle del Tribunale di Milano). (Trib. Milano 4/1/2006, Est. Vitali, in D&L 2006, 486)
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