Il silenzio degli alberi

  • Eduard Márquez
  • Traduzione: Beatrice Parisi
  • Romanzo
  • Keller
  • 2011
  • Articolo di: Marianna Morosin
  • Libri
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Una città in guerra. Il crepitio delle mitragliatrici nelle strade piene di macerie, i proiettili più veloci delle palpebre, il polso che batte all’impazzata, nella mente gli occhi sbarrati di quanti son rimasti lungo le vie. Nel buio delle cantine e in palazzi ormai privi e spogli di tutto -   anche dell’essenziale, i giorni sembrano scorrere infinitamente uguali a se stessi e il tempo sembra fermarsi, immobile in una fissità che si fa tutta interiore e fa volgere e riporta al profondo di sé. Proprio allora, “le ore di solitudine frugano tra le pieghe delle emozioni e le trasformano in un vespaio imprevedibile, difficile da controllare”. E così, quasi per stornare dal cuore e dai pensieri il dolore e la paura presenti, un vecchio liutaio, Ernest Bolsi, organizza ogni giorno visite guidate al Museo della musica. Dal giorno in cui, cercando rifugio dentro il museo per ripararsi da un bombardamento, trovò una bambina rannicchiata nel sottoscala e, abbracciandola, per consolarla le raccontò una storia su “Il flauto magico”. Da allora, ogni giorno Ernest Bolsi organizza le sue visite, e fa risuonare le sale vuote di quel vecchio museo di storie curiose e ricche di fascino: prendersi cura delle persone che lo ascoltano – mentre racconta loro della storia di un violino, o di chi lo suonò - tenerle lontane dalla morte per qualche ora al giorno lo rasserena;  e insieme, gli dà l’impressione di riuscire a sottrarre anche se stesso all’odio e alla paura, e curare il suo stesso dolore. Nella città sotto assedio giunge anche il noto violinista Andreas Hymer, per tenere un concerto e ritrovare Amela Jensens, pianista, un amore interrotto per la paura di amare e di rivoluzionare i propri progetti. Un amore sospeso. Però, mai dimenticato… Il ritorno in città sarà, per Andreas, anche un’occasione per ritrovare il filo dei suoi ricordi di bambino, il ricordo dei genitori ora non più in vita, di una madre persa in giovane età. Più che mai vivo si farà il ricordo delle parole della madre, violinista anch’essa, quando un giorno, aprendo la finestra di casa e indicando il filare di pioppi che limitava il giardino, gli aveva suggerito: “Fatti portare dalla musica. Non ostacolarla. E non nascondere il suono. Lascia che la musica arrivi dove finisce il silenzio degli alberi”...
Una lezione quanto mai viva nella desolazione della guerra. Diversi destini si intrecceranno in una città assediata, e ad unirli sarà il filo dell’amore, e dell’amore per la musica, con la forza terapeutica che essa sa infondere nel dolore, il barlume di luce che sa riaccendere in fondo all’anima. Il silenzio degli alberi è un romanzo ricco di poesia, dallo stile asciutto, denso, mai retorico. Con la mobilità di una macchina da presa che rapidamente cambia di scena, in un continuo indissolubile  intrecciarsi fra presente e passato, fra l’orrore e la desolazione del presente e la forza dei ricordi e dei legami affettivi custoditi in fondo all’anima, ci riporta il tesoro nascosto che in silenzio può riaffiorare, prezioso, quando ci si riscopre nella propria nudità. Quasi che i vuoti causati da una realtà dolorosa potessero dare in dono, ad un cuore ferito ma non indurito dalla sofferenza, di riempire quei vuoti con l’intensità dell’anima. “Adesso che non abbiamo più niente, le più piccole cose possono assumere una dimensione imprevedibile… Lo vedi: ogni cosa nasconde un tesoro. Tutto sommato forse questa è l’unica lezione che potremo trarre da tutto questo”. La crudezza della realtà riempie lo sguardo, accorcia le parole. Ma può restituire ad un abbraccio, ad un gesto d’affetto, in silenzio, la sua profondità. E se lo sguardo fisico può riempirsi di orrore, in una paura paralizzante, può riaffiorare più viva un’interiorità di affetti e di legami, un punto fermo di fronte al soffiare freddo e impetuoso del vento della storia. Ne Il silenzio degli alberi si staglia nitido,  con un tono insieme lieve e intenso, il potere salvifico dei ricordi, degli affetti. E insieme anche della musica, dell’arte: un antidoto contro il dolore e la chiusura in se stessi, la magia dell’arte che riesce a risvegliare le emozioni, a riaprire porte che si credevano chiuse e a volgere verso un oltre, aiutando almeno a liberarsi dalla fissità del dolore, a elevarsi oltre se stessi. È il dolore stesso a  trasformarsi in canto, in musica, in storie da raccontare. Per dare agli altri un filo di luce, e ritrovarla in sé. Dolore e amore, assenza e canto si intrecciano indissolubili in questo libro così lirico e così intenso. Un canto che sa innalzarsi a poesia e spingersi lontano, dove finisce il silenzio degli alberi.

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