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La Divina Commedia: Purgatorio

by Dante Alighieri

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Contents

CANTO I

CANTO II

CANTO III

CANTO IV

CANTO V

CANTO VI

CANTO VII

CANTO VIII

CANTO IX

CANTO X

CANTO XI

CANTO XII

CANTO XIII

CANTO XIV

CANTO XV

CANTO XVI

CANTO XVII

CANTO XVIII

CANTO XIX

CANTO XX

CANTO XXI

CANTO XXII

CANTO XXIII

CANTO XXIV

CANTO XXV

CANTO XXVI

CANTO XXVII

CANTO XXVIII

CANTO XXIX

CANTO XXX

CANTO XXXI

CANTO XXXII

CANTO XXXIII

 

 

CANTO XXX

spacer uando il settentron del primo cielo,
che n occaso mai seppe n orto
n daltra nebbia che di colpa velo,

e che faceva l ciascun accorto
di suo dover, come l pi basso face
qual temon gira per venire a porto,

fermo saffisse: la gente verace,
venuta prima tra l grifone ed esso,
al carro volse s come a sua pace;

e un di loro, quasi da ciel messo,
Veni, sponsa, de Libano cantando
grid tre volte, e tutti li altri appresso.

Quali i beati al novissimo bando
surgeran presti ognun di sua caverna,
la revestita voce alleluiando,

cotali in su la divina basterna
si levar cento, ad vocem tanti senis,
ministri e messaggier di vita etterna.

Tutti dicean: Benedictus qui venis!,
e fior gittando e di sopra e dintorno,
Manibus, oh, date lila plenis!.

Io vidi gi nel cominciar del giorno
la parte orental tutta rosata,
e laltro ciel di bel sereno addorno;

e la faccia del sol nascere ombrata,
s che per temperanza di vapori
locchio la sostenea lunga fata:

cos dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
e ricadeva in gi dentro e di fori,

sovra candido vel cinta duliva
donna mapparve, sotto verde manto
vestita di color di fiamma viva.

E lo spirito mio, che gi cotanto
tempo era stato cha la sua presenza
non era di stupor, tremando, affranto,

sanza de li occhi aver pi conoscenza,
per occulta virt che da lei mosse,
dantico amor sent la gran potenza.

Tosto che ne la vista mi percosse
lalta virt che gi mavea trafitto
prima chio fuor di perizia fosse,

volsimi a la sinistra col respitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli afflitto,

per dicere a Virgilio: Men che dramma
di sangue m rimaso che non tremi:
conosco i segni de lantica fiamma.

Ma Virgilio navea lasciati scemi
di s, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute diemi;

n quantunque perdeo lantica matre,
valse a le guance nette di rugiada,
che, lagrimando, non tornasser atre.

"Dante, perch Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ch pianger ti conven per altra spada".

Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
viene a veder la gente che ministra
per li altri legni, e a ben far lincora;

in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
che di necessit qui si registra,

vidi la donna che pria mappario
velata sotto langelica festa,
drizzar li occhi ver me di qua dal rio.

Tutto che l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
non la lasciasse parer manifesta,

regalmente ne latto ancor proterva
contin come colui che dice
e l pi caldo parlar dietro reserva:

"Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti daccedere al monte?
non sapei tu che qui luom felice?".

Li occhi mi cadder gi nel chiaro fonte;
ma veggendomi in esso, i trassi a lerba,
tanta vergogna mi grav la fronte.

Cos la madre al figlio par superba,
com ella parve a me; perch damaro
sente il sapor de la pietade acerba.

Ella si tacque; e li angeli cantaro
di sbito In te, Domine, speravi;
ma oltre pedes meos non passaro.

S come neve tra le vive travi
per lo dosso dItalia si congela,
soffiata e stretta da li venti schiavi,

poi, liquefatta, in s stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
s che par foco fonder la candela;

cos fui sanza lagrime e sospiri
anzi l cantar di quei che notan sempre
dietro a le note de li etterni giri;

ma poi che ntesi ne le dolci tempre
lor compatire a me, par che se detto
avesser: Donna, perch s lo stempre?,

lo gel che mera intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
de la bocca e de li occhi usc del petto.

Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
volse le sue parole cos poscia:

"Voi vigilate ne letterno die,
s che notte n sonno a voi non fura
passo che faccia il secol per sue vie;

onde la mia risposta con pi cura
che mintenda colui che di l piagne,
perch sia colpa e duol duna misura.

Non pur per ovra de le rote magne,
che drizzan ciascun seme ad alcun fine
secondo che le stelle son compagne,

ma per larghezza di grazie divine,
che s alti vapori hanno a lor piova,
che nostre viste l non van vicine,

questi fu tal ne la sua vita nova
virtalmente, chogne abito destro
fatto averebbe in lui mirabil prova.

Ma tanto pi maligno e pi silvestro
si fa l terren col mal seme e non clto,
quant elli ha pi di buon vigor terrestro.

Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vlto.

S tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.

Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virt cresciuta mera,
fu io a lui men cara e men gradita;

e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.

N limpetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: s poco a lui ne calse!

Tanto gi cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran gi corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.

Per questo visitai luscio di morti,
e a colui che lha qua s condotto,
li prieghi miei, piangendo, furon porti.

Alto fato di Dio sarebbe rotto,
se Let si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto

di pentimento che lagrime spanda".

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