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LA POLEMICA
Cari critici, ho diritto
a una vera stroncatura

di ALESSANDRO BARICCO

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QUESTO un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo. Dunque. La scorsa settimana, su queste pagine, esce un articolo di Pietro Citati. Racconta quanto lo ha deliziato mettersi davanti al televisore e vedere i pattinatori-ballerini delle Olimpiadi. Lo deliziava a tal punto - scrive - che "dimenticavo tutto: le noie, le mediocrit, gli errori della mia vita; dimenticavo perfino "l'Iliade" di Baricco, e la vasta e incomprensibile ottusit dei volti di Roberto Calderoli e di Alfonso Pecoraro Scanio". Io ero l, innocente, che mi leggevo con piacere l'esercizio di stile sull'argomento del giorno e, trac, mi arriva la coltellata. Va be', dico. E, giusto per mite rivalsa, lascio l'articolo e vado a leggermi l'Audisio.

Qualche giorno dopo, per, vedo sull'Unit un lungo articolo di Giulio Ferroni sull'ultimo libro di Vassalli. Bene, mi dico. Perch mi interessa sapere cosa fa Vassalli. Malauguratamente, alcuni dei racconti che ha scritto sono sul rapporto tra gli uomini e l'automobile.

Mentre leggevo la recensione sentivo che finivamo pericolosamente in area "Questa storia" (il mio ultimo romanzo, che parla anche di automobili). Con lo stato d'animo dell'agnello a Pasqua vado avanti temendo il peggio. E infatti, puntuale, quel che mi aspettavo arriva. Al termine di una lunghissima frase in cui si tessono (credo giustamente) elogi a Vassalli, arriva una bella parentesi. Neanche una frase, giusto una parentesi. Dice cos: "Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell'ultimo Baricco!". E voil. Con tanto di punto esclamativo.

Ora, nessuno tenuto a saperlo, ma Citati e Ferroni sono, per il loro curriculum e per altre ragioni per me pi imperscrutabili, due dei pi alti e autorevoli critici letterari del nostro paese. Sono due mandarini della nostra cultura. Per la cronaca, Citati non ha mai recensito la mia "Iliade", e Ferroni non ha mai recensito "Questa storia". Il loro alto contributo critico sui miei due ultimi libri racchiuso nelle due frasette che avete appena letto, seminate a infarcire articoli che non hanno niente a che vedere con me.

un modo di fare che conosco bene, e che piuttosto diffuso, tra i mandarini. Si aggirano nel salotto letterario, incantando il loro uditorio con la raffinatezza delle loro chiacchiere, e poi, con un'aria un po' infastidita, lasciano cadere l che lo champagne che stanno bevendo sa di piedi. Risatine complici dell'uditorio, deliziato. Io sarei lo champagne.

Potrei dire che non me ne frega niente. Ma non vero. Mi ferisce poco la gomitata assestata a tradimento, ma mi offende molto il fatto che sia tutto ci di cui sono capaci. Mi sorprende il loro sistematico sottrarsi al confronto aperto. La critica il loro mestiere, santo iddio, che la facciano. Cosa sono queste battutine trasversali messe l per raccogliere l'applauso ottuso dei fedelissimi? Vi fa schifo che uno adatti l'Iliade per una lettura pubblica e lo faccia in quel modo? Forse il caso di dirlo in maniera un po' pi argomentata e profonda, chiss che ci scappi una riflessione utile sul nostro rapporto con il passato, chiss che non vi balugini l'idea che una nuova civilt sta arrivando, in cui l'uso del passato non avr niente a che fare con il vostro collezionismo raffinato e inutile.

E se trovate cos stucchevole un libro che centinaia di migliaia di italiani si affrettano a leggere, e decine di paesi nel mondo si prendono la briga di tradurre, forse il caso di darsi da fare per spiegare a tutta questa massa di fessi che si stanno sbagliando, e che la letteratura un'altra cosa, e che a forza di dare ascolto a gente come me si finir tutti in un mondo di illetterati dominati dal cinema e dalla televisione, un mondo in cui intelligenze come quelle di Citati e Ferroni faranno fatica a trovare uno stipendio per campare.

Si dir che un diritto dei critici scegliersi i libri di cui scrivere. E che anche il silenzio un giudizio. E' vero. Ma non completamente vero. Lo so che per persone intelligenti e colte come Citati e Ferroni i miei libri stanno alla letteratura come il fast-food alla cucina francese, o come la pornografia all'erotismo. Per usare una frase di Vonnegut che mi fa sempre tanto ridere, mi sa che per loro i miei libri, nel loro piccolo, stanno facendo alla letteratura quello che l'Unione Sovietica ha fatto alla democrazia (non si riferiva a me, Vonnegut, che purtroppo non sa nemmeno che esisto).

Ma quale arroganza intellettuale pu indurre a pensare che non sia utile capire una degenerazione del genere, e magari spiegarla a chi non ha gli strumenti per comprenderla? Come si fa a non intuire che magari i miei libri sono poca cosa, ma l i lettori ci trovano qualcosa che allude a un'idea differente di libro, di narrazione scritta, di emozione della lettura? Perch non provate a pensare che esattamente quello - una nuova, sgradevole, discutibile idea di piacere letterario - il virus che gi in circolo nel sistema sanguigno dei lettori, e che magari molta gente avrebbe bisogno da voi che gli spiegaste cos' questo impensabile che sta arrivando, e questa apparente apocalisse che li sta seducendo?

Non sar per caso che la riflessione nel campo aperto del futuro vi impaurisce, e che preferite raccogliere consensi declinando da maestri mappe di un vecchio mondo che ormai conosciamo a memoria, rifiutandovi di prendere atto che altri mondi sono stati scoperti, e la gente gi ci sta vivendo? Se quei mondi vi fanno ribrezzo, e la migrazione massiccia verso di loro vi scandalizza, non sarebbe esattamente vostro degnissimo compito il dirlo? Ma dirlo con l'intelligenza e la sapienza che la gente vi riconosce, non con quelle battutine, please.

Per quello che ne capisco, i miei libri saranno presto dimenticati, e andr gi bene se rimarr qualche memoria di loro per i film che ci avranno girato su. Cos va il mondo. E comunque, lo so, i grandi scrittori, oggi, sono altri. Ma ho abbastanza libri e lettori alle spalle per poter pretendere dalla critica la semplice osservanza di comportamenti civili. Lo dico nel modo pi semplice e mite possibile: o avete il coraggio e la capacit di occuparvi seriamente dei miei libri o lasciateli perdere e tacete. Le battute da applauso non fanno fare una bella figura a me, ma neanche a voi.
Ecco fatto. Quel che avevo da dire l'ho detto.

Adesso vi dico cosa avrei dovuto fare, secondo il galateo perverso del mio mondo, invece che scrivere questo articolo. Avrei dovuto stare zitto (magari distraendomi un po' ripassando il mio estratto conto, come sempre mi suggerisce, in occasioni come queste, qualche giovane scrittore meno fortunato di me), e lasciar passare un po' di tempo. Poi un giorno, magari facendo un reportage su, che ne so, il Kansas, staccare l una frasetta tipo "questi rettilinei nella pianura, interminabili e pallosi come un articolo di Citati". Il mio pubblico avrebbe gradito. Poi, un mesetto dopo, che so, andavo a vedere la finale di baseball negli Stati Uniti, e avrei sicuramente trovato il modo di chiosare, in margine, che l si beve solo birra analcolica, "triste e inutile come una recensione di Ferroni". Risatine compiacenti. Pari e patta. E' cos che si fa da noi. Pensate che animali siamo, noi intellettuali, e che raffinata lotta per la vita affrontiamo ogni giorno nella dorata giungla delle lettere...

Purtroppo per non andata cos. Il fatto che l'altro giorno ho visto il film su Truman Capote. Si impara sempre qualcosa spiando i veri grandi. Lui in quel film cos orrendo, spregevole, sbagliato, megalomane, imprudente, indifendibile. Mi ha ricordato una cosa, che talvolta insegno perfino a scuola, e che per mi ostino a dimenticare. Che il nostro mestiere , innanzitutto, un fatto di passione, cieca, maleducata, aggressiva e vergognosa. Posa su una autostima delirante, e su un'incondizionata prevalenza del talento sulla ragionevolezza e sulle belle maniere. Se perdi quella prossimit al nocciolo sporco del tuo gesto, hai perso tutto. Scriverai solo cosette buone per una recensione di Ferroni (no, scherzo, davvero, uno scherzo). Scriverai solo cosette che non faranno male a nessuno.

Insomma tutta colpa di quel film su Truman Capote. D'improvviso mi sembrato cos falso starmene l, come una bella statuina, a prendere sberle dal primo che passa. E' una cosa che non c'entra niente col mestiere che il mio. Vedi, se me ne stavo a casa a vedere Lazio-Roma, oggi eravamo tutti pi sereni e tranquilli. E penosi, of course.

(1 marzo 2006)


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