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17:53 - mercoled 26 gennaio 2011
Le voci di dentro
Autore: Eduardo De Filippo
Artisti: Luca De Filippo, Antonella Morea, Anna Moriello, Matteo Salsano, Marco Manchisi, Gigi Savoia, Carolina Rosi, Matteo Mauriello, Chiara De Crescenzo, Giovanni Allocca, Giuseppe Rispoli, Francesco Di Leva, Stefania Guida
Regia: Francesco Rosi
Scene: Enrico Job
Costumi: Enrico Job, Cristiana Lafayette
Luci : Stefano Stacchini
Sede: Milano, Teatro Strehler, fino al 5 aprile. P Palermo, Teatro Biondo, dall'11 al 22 aprile
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Gran nido di vipere, ma anche di dolori, la famiglia secondo Eduardo. Un microcosmo inquieto in cui i sentimenti primordiali come la gelosia, il tradimento, la paura, la delazione, ma anche la dedizione più forte trovano un terreno adatto per crescere. Dove l’apparenza degli affetti può sconfiggere il vero sentimento e dove, amaramente, si può sentirsi soli al mondo. Sullo sfondo la società, anzi la vita di fuori che si insinua e riempie di sé ogni ganglio di quella famiglia intesa come rappresentazione dell’esistenza, che Eduardo osserva con disincanto, con ironia, perfino con ferocia ma mai con distacco o sufficienza.
Succede per esempio in Le voci di dentro, che abbiamo visto al Teatro Strehler con un successo grandissimo nell’interpretazione di Luca De Filippo e con la regia di Francesco Rosi. L’uno e l’altro, dopo il successo di Napoli milionaria! di due anni fa, ripropongono un binomio ormai consolidato con Le voci di dentro in un percorso ideale che va dalla profezia eduardiana su di una società italiana post bellica che aveva bisogno di una grande fatica comune per crescere e affermarsi nella nuova Italia dove i furbi e i mascalzoni erano come sempre dietro l’angolo, alla famiglia, apparentemente forte e stabile ma pronta a dilaniarsi senza chiedersi neppure perché di fronte a un’improvvisa paura, a una paventata catastrofe che non ci sarà. La catastrofe vera, infatti, è la pochezza dei sentimenti che alla fine si rivela con drammatica evidenza.
Scritta nel 1948, con un linguaggio realistico ma un andamento del tutto surreale, Le voci di dentro con l’amarezza e il pessimismo tipici di Eduardo, racconta la vicenda di Alberto Saporito che crede di "sentire le voci", abituato com’è a "parlare" con lo zio approntatore di eventi che ha scelto, in spregio alla gente, di non dialogare più ma di comunicare con i botti, rendendo evidente il proprio rifiuto verso il mondo sputacchiando con disprezzo sulla testa delle persone. Spinto da queste voci che nessun altro sente, incerto se sia sogno o realtà, Saporito denuncia la famiglia Cimmaruta come responsabile di un assassinio. Alla fine poco importa se il delitto non c’è stato: quello che è vero è che ogni membro della "solidale" comunità familiare accusa l’altro e che alla fine tutti sono pronti a uccidere davvero per salvare la propria pelle. Vittima predestinata l’incolpevole ma visionario Alberto Saporito, anche se poi le cose andranno diversamente...
Messa in scena da Francesco Rosi, che riesce a coniugare dentro la scena di Enrico Job, che si espande verso l’alto come una cattedrale della menzogna, il realismo apparente della vicenda all’assurdo degli eventi e alla psicologia surreale dei personaggi, Le voci di dentro trova in Luca De Filippo (affiancato da una compagnia molto affiatata all’interno della quale ricordiamo almeno Carolina Rosi, Antonella Morea, Anna Moriello, Marco Marchisi, Gigi Savoia) il suo interprete ideale. E non tanto e non solo perché erede di suo padre ma anche e soprattutto perché dentro la ferrea costruzione drammaturgica eduardiana, dentro un tessuto di gesti e di situazioni da manuale, inserisce con misura ma anche con estremo rigore la sua personalità.
Non vorrei soffermarmi più di tanto sull’incredibile somiglianza fisica fra Luca De Filippo e il suo grande padre: certo insieme al pubblico ne riconosciamo addirittura il colore della voce, ne ritroviamo la gestualità. Ma quello che colpisce in lui è il suo imporsi attraverso un’originale presenza scenica che si afferma in modo sempre più forte. Perché Luca è in ogni momento se stesso con quella scontrosa ironia che ci ha colpito fin dalle sue prime interpretazioni, con quella fisicità forte ma mai esibita. Forse pochi come lui sanno cosa voglia dire e quanto costi essere figli di un monumento e allo stesso tempo essere orgogliosamente se stessi. Anche di questo, dopo essere andato oltre l’illusione di un Eduardo redivivo, il pubblico lo ringrazia.
di maria grazia gregori
(15:00 - 03 apr 2007)
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