Cuscini con noccioli di ciliegia
Fa freddo e tira vento, cappellini sciarpe e colli non bastano più a tenere a bada la mia cervicale. È arrivato il momento di cucirmi un bel cuscinetto antireumatismi con i noccioli delle ciliegie. Questi semini hanno la proprietà di trattenere il calore e rilasciarlo lentamente, così il cuscino una volta riscaldato sarà utile a massaggiare e tenere calda la nostra cervicale con effetti benefici immediati.
Tirare fuori dal baule i noccioli di ciliegie raccolte in estate mette una certa malinconia. Quel caldo sole di luglio che li ha fatti seccare per benino non lo ricordo quasi più. Ricordo invece quant’è stato faticoso pulirli quei noccioli, prima lasciati a mollo e poi sfregati energicamente per eliminare i residui di polpa.
30 chili di ciliegie hanno prodotto 1 chilo e mezzo scarso di noccioli (lo so, la resa è deprimente). Per fare un piccolo cuscino adatto alla cervicale ne bastano 300 grammi.
I noccioli di ciliegia meglio non bagnarli, soprattutto d’inverno, così se si vuole tenere il cuscino pulito conviene fare una doppia federa. Meglio usare una stoffa resistente al calore e confortevole al tatto, il cotone va benissimo.
Ho cominciato facendo un cartamodello del cuscino, basta ritagliare un rettangolo di carta delle dimensioni che ci interessano (15 per 10 cm circa). Ho ricalcato il perimetro del rettangolo sulla prima stoffa e ho ritagliato due pezzi lasciando 1,5 cm per la cucitura.
Ho cucito assieme i due pezzi di stoffa dal rovescio, poi ho rivoltato il cuscino e inserito i noccioli prima di cucire l’ultimo lato.
Per la misura della seconda federa ho poggiato il cuscino sulla stoffa, ne ho ricalcato il perimetro e ho lasciato il solito centimetro e mezzo per le cuciture, qualcosa in più sul lato dove applicare la cerniera.
Ho fissato la cerniera con gli spilli facendo un piccolo orlo alla stoffa per evitare sfilacciature.
Ho cucito la cerniera con il piedino apposito e ho ripetuto l’operazione con l’altro pezzo di stoffa.
Infine ho cucito gli altri tre lati del cuscino dal rovescio. Non dimenticate di aprire la cerniera prima dell’operazione (cosa che, manco a dirlo, è capitata a me) altrimenti le vostre dita dovranno fare delle contorsioni per rivoltare il cuscino.
Una volta cuciti a mano gli estremi della cerniera il vostro cuscino è finito. Per riscaldarlo basta metterlo nel forno a microonde per 2 minuti alla minima potenza o nel forno normale a 100 gradi per un quarto d’ora. Oppure si può mettere sopra la stufa o il termosifone, in questo caso però il cuscino si raffredderà più velocemente.
Sapone autoprodotto
Cominciare a prodursi il sapone da sé vuol dire fare un grosso passo in avanti nell’ambito dell’autoproduzione. Il sapone autoprodotto ti permette infatti di abbandonare per sempre non solo bagnoschiuma e shampoo – e in parte pure le creme detergenti – ma anche detersivo per piatti e per bucato. Si tratta quindi di una piccola rivoluzione domestica: non avrete più tutti quei flaconi da acquistare e poi buttare, e soprattutto non avrete più tutt’intorno e addosso a voi quei forti odori sintetici di fiori che non esistono. Scoprirete qual è il vero profumo di pulito e le lenzuola della vicina che odorano prepotentemente di Dash e ammorbidente vi metteranno la nausea.
Se siete pronti ad un tale passo sarò ben lieta di introdurvi nel meraviglioso mondo del sapone faidate, dove non si finisce mai di imparare e di sperimentare nuove ricette. Non potrò certo dirvi tutto, ma alla fine di questo post troverete link utili per approfondire l’argomento.
Nei miei post vi parlerò del metodo a freddo, molto più veloce e semplice di quello a caldo che era il metodo utilizzato dalle nonne che cuocevano il sapone per diverse ore in grandi calderoni.
Gli strumenti
Innanzi tutto bisogna procurarsi un po’ di materiale indispensabile per fare il sapone: una pentola capiente di acciaio, un pentolino sempre di acciaio, un cucchiaio, una ciotolina di plastica ed un frullatore ad immersione (ne basta uno da pochi euro, non per forza dovete comprare il moulinex), tutte cose che userete solo ed esclusivamente per fare il sapone. È indispensabile che le pentole siano di acciaio e non di alluminio perché quest’ultimo reagisce con la soda.
Poi serve un termometro digitale (quello utilizzato dai cuochi per controllare la temperatura dell’arrosto), una bilancia digitale, dei contenitori in tetrapak, mascherina, occhiali e guanti.
Non bisogna trascurare la questione sicurezza perché avrete a che fare con la soda caustica che è abbastanza pericolosa. Parlo per esperienza, io che, da perfetta incosciente, le prime volte facevo il sapone senza protezioni. Questo finché una goccia d’acqua e soda non m’è finita sulla palpebra provocandomi una piccola bruciatura. Da quel momento io faccio il sapone conciata così.
Ricordate comunque che la soda diventa cattiva solo a contatto con l’acqua (basta l’umidità delle mani) e che per annullare i suoi effetti corrosivi basta bagnarla con qualcosa di acido. Sarà buona norma quindi tenere accanto a voi mentre fate il sapone una bottiglia di aceto. Se per sbaglio un po’ di soda va a contatto con la vostra pelle bagnatela prima con l’aceto e solo dopo con l’acqua.
La ricetta
Adesso che vi ho terrorizzato abbastanza possiamo passare alla ricetta vera e propria. Partiamo con una ricetta base: il sapone all’olio d’oliva che potete usare per la doccia e per il viso.
Ecco gli ingredienti:
1000 g olio d’oliva
128 g soda caustica
300 g di acqua
Questa ricetta ha uno sconto di soda del 5%, in questo modo una piccola parte di olio (il 5% appunto) non si convertirà in sapone ma resterà libero in modo da rendere il prodotto finale più emolliente.
La soda caustica la trovate nei negozi di ferramenta mentre l’olio d’oliva procuratevelo tra gli scarti e i residui di recipienti di amici e parenti. Non importa se si tratta di olio vecchio anche di anni, ciò che conta è che sia puro olio d’oliva e che sia stato conservato bene.
Procedimento
Dopo aver indossato tutto quello che serve per proteggervi, cominciate col pesare la soda versandola nella ciotola. I grammi devono essere esatti altrimenti otterrete un sapone con uno sconto diverso da quello che vi aspettate.
Pesate poi l’acqua nel pentolino e cominciate ad aggiungervi la soda piano piano mescolando finché l’acqua non tornerà trasparente. Cercate di non respirare i fumi che esalano dal pentolino. Versate sempre la soda nell’acqua e mai il contrario.
L’acqua una volta a contatto con la soda arriverà a toccare i 90 gradi quindi maneggiate con cura il pentolino e tenetelo lontano da cani gatti e bambini.
Mentre aspettate che la soda raffreddi (per accorciare i tempi conviene mettere il pentolino a mollo in una vaschetta d’acqua) pesate l’olio direttamente nella pentola e mettetelo sul fuoco, dovrà riscaldare fino ai 45 gradi. Quando anche la soda sarà a 45 gradi può iniziare la vera e propria saponificazione.
Versate lentamente la soda nell’olio e mescolate con il cucchiaio.
Poi cominciate a frullare con il frullatore a immersione, il sapone comincerà a cambiare colore e a farsi sempre più denso. Quando avrà raggiunto il nastro potete fermarvi. Per capire se il vostro sapone ha raggiunto il nastro basta vedere se il frullatore riesce a tracciare dei disegnini sopra il sapone come nella foto.
Non andate troppo oltre il nastro altrimenti il sapone verrà duro, la consistenza che deve avere prima di metterlo nei contenitori è su per giù quella della crema pasticcera.
Una volta sistemato nei contenitori il vostro sapone deve mantenersi al caldo per minimo un paio di giorni in modo da prendere consistenza. Avvolgetelo quindi in una coperta – prima è meglio mettere i contenitori tetrapak dentro un sacchetto di plastica – e tenetelo in un posto chiuso. Io ad esempio uso una borsa frigo rigida.
Dopo due giorni potete tagliare il vostro sapone. Tiratelo fuori dal tetrapak e con un coltellaccio da cucina fate delle fette spesse quanto desiderate.
Qui finisce il vostro lavoro, al resto ci penserà il tempo; il sapone deve infatti stagionare almeno un mese in un posto fresco e tranquillo, altrimenti utilizzandolo si consumerebbe troppo velocemente. Come il vino anche il sapone più stagione e meglio è, se conservato come si deve ovviamente.
Link utili
La prima è più importante fonte di tutte le mie informazioni sul sapone autoprodotto è www.ilmiosapone.it, qui troverete ricette, consigli utili e tabelle per calcolare la quantità di soda necessaria che varia a seconda del tipo di olio che usate.
Ho anche comprato il libro Il mio sapone scritto dalle due autrici del sito, utile per avere un’infarinatura generale prima di cominciare a produrre saponi.
Un altro sito interessante non solo in materia di sapone ma di auto produzioni in genere è www.lareginadelsapone.it
Marmellata di more
Fare la marmellata di more è impresa per pochi. Non tutti possono essere disposti a spiluccare rovi districandosi tra le spine e riempiendosi comunque le dita di microferitine bruciacchiose.
Ma davanti a tali bellezze chi penserebbe più alla fatica della raccolta?
Queste morediparadiso le ho trovate alla Filiciusa una zona etnea famosa per i funghi e le castagne. Un bosco di querce sopra i mille metri dove si respira un’aria profumatissima. In un simile contesto devo dire che raccogliere more non è affatto drammatico ma addirittura rilassante.
La prossima volta però eviterò di andarci in pantaloncini straziandomi i polpacci e le caviglie.
Una volta portate a casa le more le ho ripulite e messe a macerare con lo zucchero. Mezzo chilo di zucchero per ogni chilo di more. Lo zucchero integrale di canna si sposa bene con il sapore delle more quindi questa volta l’ho usato volentieri.
Dopo qualche ora ho messo la marmellata sul fuoco, l’ho fatta cuocere per circa mezzora1 e, dato che le more non si disfano facilmente, le ho passate con l’ormai per me indispensabile macinino rosso, tanto efficiente quanto impossibile da smontare e pulire.
Una volta macinata la marmellata va rimessa sul fuoco per massimo un quarto d’ora perché addensa subito.
I semi scartati dal macinino non ho avuto il coraggio di rimetterli nella polpa perché avrebbero reso la marmellata troppo rustica per i miei gusti. Buttare la polpa che era rimasta attaccata ai semi sarebbe stato un peccato quindi l’ho diluita con tre litri d’acqua e, dopo qualche ora, è venuta fuori una buonissima bevanda alla mora.
- ho messo a cuocere un chilo e due di more con seicento di zucchero [↩]
Passata di pomodoro
Può sembrare insolito parlare di conserve di pomodoro in questi ultimi (e malinconici) giorni di estate, ma qui a Biancavilla (provincia di Catania) è proprio questo il periodo in cui le famiglie fanno la loro scorta annuale di salsa di pomodoro. Il vantaggio di fare le conserve a fine estate è che si trovano pomodori maturi provenienti da coltivazioni non in serra.
L’idea di imbarcarsi in questa impresa piuttosto faticosa non è stata però frutto di una meditata riflessione ma di un attimo di sgurz. Fino a due settimane fa mai e poi mai mi sarei sognata di mettermi lì a trafficare con calderoni ribollenti e bottiglie da lavare. Poi però un giorno Davide, davanti ad un esubero di pomodori che intasavano il frigo e rischiavano di ammuffire, ha pensato di fare la salsa.
Subito l’odore di pomodori che cuocevano nel tegame ci ha riportati indietro nel tempo, a quando anche le nostre famiglie facevano le conserve di pomodoro. Nonni genitori e zii tutti lì a salsificare quindici, venti cassette di pomodoro. Un’impresa titanica che iniziava la mattina presto e finiva a notte tarda. Per tutto il giorno si bolliva, macinava e imbottigliava in un’atmosfera da fucina infernale.
Giorni stancanti, una faticaccia da evitare accuratamente, pensavo. Poi però ho assaggiato la salsa e in un attimo ho realizzato che non avevo più idea di cosa fosse una vera salsa di pomodoro, che tutti quegli anni passati a comprare mutti cirio valfrutta mi avevano fatto scordare quanto potesse essere piacevole mangiare un semplice piatto di pasta con la salsa.
Ebbene, una volta riconquistata tale evidenza non si poteva più tornare indietro, avremmo fatto anche noi la nostra mini scorta di “buttigghi”1
Innanzi tutto bisognava procurare gli strumenti: riesumare dalla cantina il fornellone e il pentolone che nessuno usava più da secoli, ricomprare il tappabottiglie che nel frattempo s’era arrugginito, munirsi di vasche e vaschette, bottiglie di birra vuote e l’indispensabile macinino-separa-bucce-dalla-polpa.
Poi siamo scesi in paese a procurarci la materia prima: due cassette da 20 chili a soli 9 euro l’una, e sì, a fine estate il pomodoro te lo tirano proprio dietro.
L’indomani di prima mattina è cominciata l’impresa salsificatoria. La prima fase prevede il lavaggio dei pomodori: questi saltellavano da una vaschetta all’altra per finire, dopo un’attenta selezione che scartava le parti marce, tagliati in quattro nel calderone.
Dopodiché è iniziata la cottura: prima di accendere il fuoco abbiamo aggiunto ai pomodori 5 grammi di sale per ogni chilo di pomodori. Durante la cottura bisogna ricordarsi di mescolare ogni tanto per evitare che il pomodoro si attacchi nel fondo, facendo finire poi nella salsa i temibili pezzettini neri galleggianti.
Mentre la futura salsa cuoceva abbiamo cominciato il tormentoso lavaggio delle bottiglie. Orientativamente serve una bottiglia da 66 cl per ogni chilo di pomodoro, quindi bisognava lavare 40 bottiglie di birra, evviva.
Non essendo stati diligenti abbiamo messo da parte le bottiglie di birra senza lavarle prima, cosa assai stolta che non ripeteremo mai più perché con le bottiglie pulite avremmo risparmiato un’ora buona di lavaggio. Così prima abbiamo passato le bottiglie nell’acqua saponata strofinandole con un puliscibottiglie, e poi per disinfettarle le abbiamo riempite di acqua con candeggina facendo una soluzione di un cucchiaino di candeggina per ogni litro d’acqua e lasciandole così per 20 minuti.
Nel frattempo siamo tornati alla salsa. I pomodori erano quasi sfatti, così abbiamo spento il fornellone, aggiunto il basilico e lasciato raffreddare un po’ per evitare le ustioni al momento della macinazione.
Abbiamo poi cominciato a macinare i pomodori ripassando le bucce più e più volte finché non avevano l’aspetto di carta velina.
Una volta ottenuta la salsa l’abbiamo rimessa sul fuoco per renderla più densa e siamo ritornati alle bottiglie, che sono state svuotate2, sciacquate e messe ad asciugare nell’utilissimo e super professionale scolabottiglie: comprato a soli 11,50 euro da un ferramenta, è fatto da più pezzi componibili e può arrivare ad ospitare fino a 80 bottiglie.
Ed è arrivato finalmente il momento dell’imbottigliamento, questa volta senza aspettare che la salsa raffreddi in modo da evitare possibili contaminazioni.
Alla fine per toglierci ogni dubbio abbiamo sterilizzato le bottiglie facendole bollire per venti minuti, mettendole quando l’acqua era già calda e togliendole solo quando si era raffreddata del tutto.
Sei ore ci sono volute in tutto per salsificare 40 chili di pomodori, ottenendo 36 bottiglie di salsa molto densa. La fatica l’ho scordata subito, davanti al piatto della mia pasta col pomodoro.
- i siciliani metonimicamente usano ”bottiglie” per indicare le conserve di passata pomodoro [↩]
- l’acqua e candeggina l’abbiamo messa da parte perché era abbastanza pulita [↩]
Come fare il seitan
Preparo il seitan ormai da qualche anno. Mi piace il suo gusto delicato che ricorda vagamente quello del grano e la sua consistenza “callosa”.
Per chi non lo sapesse il seitan è un surrogato della carne – un po’ come le bistecche di soia – che deriva dalla farina, o per meglio dire dalla parte glutinosa della farina. È un alimento abbastanza proteico che in una dieta vegetariana contribuisce, assieme agli indispensabili legumi, a fornire la giusta quantità di proteine.
Ma mangiare seitan conviene anche ai non vegetariani: fa diminuire il consumo di carne e fa risparmiare1, visto che il prezzo del seitan si riduce a quello della farina acquistata per farlo.
A proposito di farina conviene usarne una molto glutinosa, meglio quindi comprare quella di grano tenero: con la 0 si ha una resa più alta rispetto alla 00, la migliore per questo uso è la Manitoba anche se costa molto di più di una 0 comune.
Con un chilo di farina si ottengono all’incirca seicento grammi di seitan. Il procedimento per ottenerlo è abbastanza semplice. Per cominciare bisogna impastare il chilo di farina con mezzo chilo di acqua e 40 grammi di sale.
Si lascia riposare la palla di farina per qualche ora e poi comincia il risciacquo. Per evitare di consumare migliaia di litri d’acqua vi consiglio di usare delle bacinelle. Ognuno ha il suo modo per sciogliere il seitan, io comincio a schiacciare e impastare la palla di farina dentro l’acqua che diventa sempre più bianca per via dell’amido che si scioglie. Attenzione agli schizzi, ogni goccia che verrà fuori dalla bacinella si trasformerà in una macchia bianca pronta ad imbrattarvi i vestiti e tutto quello che avete attorno (per fortuna l’amido va via facilmente).
Man mano che impastate, cambiando l’acqua della bacinella quando diventa satura di amido, noterete che la vostra palla diventa sempre più giallina e assume la consistenza e l’aspetto di un cervello. L’acqua diventerà sempre meno bianca e gli ultimi grumi di amido saranno ben visibili bianchi in mezzo al giallume.
A questo punto avrete ottenuto il seitan crudo, che però va consumato cotto, molto cotto. Avvolgo quindi quella massa gelatinosa ed informe in una garza che lego stretta in modo da dare forma e consistenza al seitan2.
Preparo un brodo vegetale con quello che mi ritrovo in casa e aggiungo la salsa di soia che toglierà al seitan quel colore malaticcio. Lascio cuocere per mezz’ora in pentola a pressione.
Il seitan adesso è pronto, tagliatelo a fettine o come più vi aggrada e fatene ciò che volete: potete saltarlo in padella co verdure o funghi, impanarlo e friggerlo, grigliarlo, stufarlo coi legumi. Il seitan si presta a tutto. Potete pure congelarlo a fettine e usarlo quando vi serve.
Nella pagina Facebook del sito trovate le foto delle mie ricette preferite col seitan.
Il principale dilemma di chi fa il seitan in casa è cosa fare di tutto l’amido che rimane nelle bacinelle: buttarlo è uno spreco e rischia di intasare gli scarichi dato che è molto colloso.
Su suggerimento di un amico ho provato a seccarlo ed il risultato è stato molto soddisfacente. Basta lasciare depositare l’amido sul fondo di un contenitore, togliere l’acqua in eccesso e metterlo al sole finché non sara completamente secco e riducibile a scaglie.
Se siete stati attenti a non fare andare insettini nell’amido in fase di essiccamento potete polverizzarlo con un macinino e usarlo come se fosse amido comprato, conservatelo ovviamente in barattoli asciutti. Altrimenti potete lasciarlo a scaglie e squagliarne un po’ nell’acqua calda quando dovete lavare i piatti e non avete fatto la pasta.
- Parliamo ovviamente di seitan autoprodotto, quello acquistato nei supermercati biologici costa tanto quanto il miglior filetto di manzo. [↩]
- Ho provato a cuocere il seitan senza garza, ne è venuta fuori una spugna piena d’acqua molto poco invitante [↩]