Il compenso professionale secondo il D.M. 140/2012

Scritto da Dario Banfi il 19 settembre 2012 0 commenti | Letto 1.346 volte

Mentre si discute in Parlamento dell’equo compenso per i giornalisti freelance, una norma che lo stesso ministro del lavoro, Elsa Fornero, ha snobbato senza mezzi termini, vale la pena di ripescare una questione: come calcolare il compenso di un professionista? Aboliti i tariffari da Bersani, sono rientrati [in assenza di parametri per valutare il valore delle prestazioni d'opera] dalla finestra, grazie ad alcune sentenze della Corte di Cassazione.

In aggiunta è arrivato poi il D.M. n. 140 del 20 luglio 2012, ovvero il ”Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia“. Anche in questo caso non si parla di giornalisti freelance (figuriamoci), ma c’è qualche spiraglio interessante sulla questione delle tariffe. Dopo avere affrontato i casi di avvocati, commercialisti, notai e architetti ecc. si arriva all’Articolo 40 del Capo VI “Disposizioni concernenti le altre professioni”, che recita così:

Articolo 40 – Altre professioni
1. Il compenso relativo alle prestazioni riferibili alle altre professioni vigilate dal Ministero della giustizia, non rientranti in quelle di cui ai capi che precedono, è liquidato dall’organo giurisdizionale per analogia alle disposizioni del presente decreto, ferma restando la valutazione del valore e della natura della prestazione, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della prestazione.

Per analogia, si dice. Mancando una tradizione nella quotazione del lavoro professionale dei giornalisti non regolati da contratto nazionale, si ipotizza di poter derivare regole e metodi da situazioni tipiche di altre professioni. Di più, leggendo tra le righe, si dice che il valore di un lavoro, come recita già da anni il Codice Civile, dipende da natura, importanza, pregio e urgenza dell’opera richiesta. E dai vantaggi che il committente ottiene. Questa regola a mio avviso è molto corretta, e non dovrebbero esserci postille o aggiunte.
Si possono fare anche nuove Leggi sull’equità, il problema tuttavia rimano uno solo. Pur esistendo già da tempo norme di questo tipo, in un Codice che chiede appunto di essere civili, la regola di pagare il giusto trova la sistematica disapplicazione da parte di barbari, soggetti che ignorano le più semplici regole di convivenza e di diritto.
Più che regole e promemoria, servono sanzioni. Una parte che il legislatore dimentica sempre, taglia o che stralcia, per interessi di parte. La Legge Biagi ha fatto scuola. Inoltre, ogni Legge sui compensi dovrebbe avere come postilla la storia della sua redazione, e i progressivi cambiamenti apportati in corso d’approvazione, affinchè siano chiari i responsabili di deregulation retributive così devastanti nel segmento del lavoro intellettuale autonomo. Senza mettere in chiaro quali lobby abbiano portato a prendere determinate decisioni regolative, senza sanzioni e senza principi di equità, nessuna regolazione di mercato avrà mai effetto reale e, peggio ancora, non scatenerà neppure la giusta indignazione, quando diventa necessaria.

22-23 settembre, appuntamento ad Alessandria

Scritto da Dario Banfi il 11 settembre 2012 0 commenti | Letto 709 volte

Una delle ultime volte che sono stato ospite (a Bolzano) di un coworking per parlare del mondo dei freelance qualcuno [cfr. vignetta sotto] ha trovato il modo di scherzarci sopra ed è giusto così. Non è mai troppo tardi per imparare da chi ci ha preceduto e conosce il mestiere :-)

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La vita del freelance è complicata, certamente, ed esposta al rischio, ma offre anche spunti di libertà, il piacere di incrociare esperienze diverse e soprattutto una grande e costante voglia di crescere, cambiare e sperimentare, mettendo creatività, quando è possibile, e voglia di divertirsi.

Se però fino a pochi anni fa essere indipendenti significava vivere e “mungere il mercato” da soli, oggi le cose stanno cambiando sia sotto il profilo della rappresentanza politico-sindacale sia nella scelta dei luoghi da frequentare come spazi di condivisione e lavoro.

A distanza di tre-quattro anni dalle prime timide esperienze, il mondo dei coworking inizia ad affermarsi come un’opportunità reale per molti freelance che possono trovare qui spazi di condivisione e cultura professionale, occasioni di confronto e contaminazione dei saperi. spacer La questione coworking è una piccola cartina al tornasole per misurare le trasformazioni che sta vivendo il nostro mondo del lavoro, soprattutto nelle città metropolitane.

Di questo e di molto altro si parlerà ad Alessandria al prossimo Espresso Coworking, un evento speciale, primo nel suo genere, pensato e realizzato dagli amici di Lab121 Coworking, dove ho avuto il piacere di presentare Vita da freelance (Feltrinelli, 2011) e tenere alcune lezioni sul lavoro autonomo. I coworker di Alessandria mi hanno fatto uno dei regali più apprezzati degli ultimi anni, una tessera honoris causa (!) come coworker del loro spazio.

Espresso Coworking non è una conferenza, ma un piccolo raduno. Un incontro molto poco formale, pensato per permettere ai freelance italiani di incontrarsi, ascoltare altre esperienze di coworking e, se possibile, trovare anche occasioni per nuove partnership o amicizie.

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Progettata con molta passione, in via sperimentale, Espresso Coworking è la prima nonConferenza Nazionale dedicata al Coworking. Gli ospiti delle due giornate (22 e 23 settembre) arrivano da tutta Italia! Da Firenze, Milano, Roma, Torino, Brescia. Ci sono tutti i più bravi e le iniziative migliori, posso dirlo senza timore. Da Coworking Project a Toolbox Coworking, da Cowo360 e 22A22 di Firenze a The Hub Rovereto. Alcuni li ho incontrati anche a Berlino, l’anno scorso, altri nei loro spazi in Italia durante il mio nomadismo tra convegni e lavoro. Ci saranno anche Elisa Marras e Sergio Bologna, che porteranno la voce di ACTA. Mi hanno chiesto di partecipare come relatore, ma ho rifiutato: questa volta mi voglio godere l’evento come ospite e soprattutto cronista. Ogni tanto semplicemente ascoltare non è male.

Il programma è molto ricco e comprende anche la formula del “Business Speed Meeting, presentazioni in velocità per accendere feeling professionali“. C’è un concerto, alcuni momenti per pranzare e cenare insieme, una ricca platea di relatori che portano esperienze di coworking e riflessioni intorno a cui discutere apertamente secondo la formula appunto della “non-Conferenza”. In vista dell’evento, per seguirlo a distanza o in seguito consiglio l’hashtag ufficiale su Twitter #expcowo. E di tenere vivi i contatti con il sito ufficiale dell’evento.

Figli permettendo, penso proprio di andarci. Tu ci sei?

Autonomo o subordinato? Novità dalla Cassazione per i giornalisti

Scritto da Dario Banfi il 6 settembre 2012 0 commenti | Letto 885 volte

La giurisprudenza classica, e la recente Legge di Riforma del Lavoro (L. 28 giugno 2012 n. 92), hanno sempre trovato alcuni elementi indiziari quali indici di subordinazione. Stare in un posto, avere un computer, rispondere di comandi (per semplificare). Ne parlammo qui. Fornero ha poi aggiunto che ci deve essere un tetto di reddito e una durata di almeno due anni per presumere la subordinazione. Vabbè. Ha dimenticato, però, (soltanto fretta?) un’intera categoria di lavoratori: gli iscritti agli Albi professionali, volutamente esclusi dalla Riforma, che soffrono di situazioni di irregolarità, ai limiti tra autonomia e subordinazione. Tra questi, i giornalisti.

A sorpresa, però, è arrivata il 21 giugno scorso, un’interessante sentenza delle Corte di Cassazione (Sezione Lavoro n. 10332 del 21 giugno 2012, Pres. Vidiri, Rel. Napoletano) relativa a un contenzioso contro la RAI, che introduce una significativa novità nel Diritto: ”il lavoro giornalistico è subordinato quando comporta lo stabile inserimento della prestazione nell’organizzazione aziendale“!

L’intera vicenda, come descritta dal Legge e Giustizia. » Continua…

ATM, il customer care che torna indietro nel tempo

Scritto da Dario Banfi il 6 luglio 2012 0 commenti | Letto 856 volte

Disabili in difficoltà, servizi ATM che fanno schifo e un customer care che ti prende pure per il culo. In sintesi è questa la vicenda che mi segnala l’amica Scilla, che nella sua vita pendolare tra casa e ufficio si accorge di un disabile su sedia a rotelle che tenta di scendere le scale della metropolitana, alla fermata Villa San Giovanni  (MM1 Rossa), a Milano. Scende da solo, in equilibrio precario e molto rischioso. Procede di spalle, come fanno solitamente i genitori con i passeggini, perché l’eventuale caduta risulterebbe meno pericolosa. Gelo, le si ferma il sangue nelle vene. L’amica interviene e poi prende carta e penna per segnalare all’ATM la mancanza di montascale e il caso drammatico di cui è testimone. L’Azienda dei Trasporti di Milano risponde il giorno dopo: “Non si preoccupi, caro cittadino, nel 2010 installeremo nuove rampe“. Sì, risponde con una lettera preimpostata di due anni fa!

Questa è la corrispondenza in questione:

Buongiorno, sono un’abbonata annuale e questa mattina mi è capitato di vedere uno spettacolo a dir poco vergognoso: un ragazzo disabile su una sedia a rotelle, costretto a scendere dalle scale (normali) della metropolitana letteralmente saltando di gradino in gradino con le ruote della carrozzina, tra l’altro procedendo “in retromarcia”, per poter accedere alla banchina e prendere il treno in direzione Bisceglie. Alla faccia delle barriere architettoniche. Siamo nel 2012, pensate di fare qualcosa? Tra l’altro, tra tre anni ci sarà l’Expo, cosa credete che succederà? Grazie per l’attenzione – Scilla P.

La risposta dell’ATM

Gentile Signora,
Le scriviamo in seguito alla Sua segnalazione, relativa all’accessibilità delle stazioni metropolitane.
Al riguardo, ci preme farLe sapere che ATM ha intrapreso già dal 2008 un piano per il miglioramento dell’accessibilità, per la cui realizzazione ha costituito un gruppo di lavoro, nominando un direttore responsabile dell’applicazione degli interventi in programma, molti dei quali sono in corso di attuazione.

Inoltre, è già stato effettuato un importante piano di investimenti, la quasi totalità in autofinanziamento, dedicati sia all’adeguamento e alla manutenzione dei mezzi e delle infrastrutture, sia all’adozione di dispositivi specifici. In fase preliminare all’avvio del piano, ATM ha realizzato una mappatura completa dei mezzi e delle infrastrutture secondo l’indicatore Full Handicap Compliance (FHC), da cui è emerso un livello di accessibilità, per quanto riguarda le disabilità motorie, pari al 59% per la metropolitana e a circa il 75% per la rete di superficie, valore per cui Milano si colloca, a confronto con le più grandi metropoli del mondo, in posizione intermedia, ma in posizione superiore rispetto a città europee come Londra e Berlino.

In metropolitana l’accessibilità per le persone con disabilità motoria è garantita da 81 impianti montascale e da 76 ascensori; oltre a ciò, nelle stazioni della metropolitana sono installate complessivamente 305 scale mobili. Sono anche aumentati i controlli e l’attività di manutenzione per mantenere efficienti gli impianti ed allo stesso tempo si lavora per incrementare il numero di ascensori: nel 2010 saranno installati gli impianti a Loreto M1/M2 e Cernusco M2. L’obiettivo del piano è di migliorare il livello di fruibilità del trasporto per le persone con disabilità da una parte e, dall’altra, di assicurare un più comodo e facile uso dei mezzi alle persone anziane, alle famiglie che viaggiano con i bambini o a chi si sposta con bagagli.

RinnovandoLe la nostra disponibilità per ulteriori esigenze, Le inviamo cordiali saluti.
ATM SPA – Relazione con i Clienti

Coworking, amministrazioni pubbliche e IRAP

Scritto da Dario Banfi il 25 giugno 2012 0 commenti | Letto 1.090 volte

Coworking. Un fenomeno che seguo da tempo, nella pratica e nella teoria. Una questione aperta, che tempo fa, insieme ad Adriana Nannicini, Sergio Bologna, Nicola Brembilla abbiamo cercato di  portare sul tavolo del Comune di Milano per sensibilizzare la municipalità. Ne parlammo già in campagna elettorale, prima delle elezioni vinte da Pisapia. Tredici mesi dopo il Comune ha deciso, anche su suggerimento di ACTA, di portare avanti l’argomento, convocando i protagonisti delle iniziative in città e qualche ospite straniero.

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Di seguito il mio intervento per esteso (in sala ne ho accennato soltanto in parte), scritto un po’ di corsa, in sostituzione di Sergio Bologna che oggi non è potuto venire a introdurre la giornata. Qualche riflessione generale, contaminata dall’esperienza di Berlino, e in coda alcune riflessioni molto personali su alcuni elementi tecnici legati a IMU e IRAP.

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We are the workforce of the future

The freelance surge is the industrial revolution of our time, l’emergere del mondo dei freelance è la rivoluzione industriale dei nostri tempi, ha scritto su The Atlantic Sara Horowitz, presidente dell’associazione di freelance più grande al mondo. Noi come ACTA, che abbiamo stretto un gemellaggio con la Freeelancers Union, proprio qui a Milano, lo ricordiamo spesso, nelle occasioni in cui ci invitano a parlare, e scritto in un Manifesto del Lavoro autonomo, che andiamo in giro per l’Italia a rappresentare anche attraverso un’opera teatrale. We are the workforce of the future – dice la Horowitz – e non è un caso che i fenomeni paralleli più interessanti che si stanno verificando nel mondo del lavoro professionale autonomo siano da una parte la nascita di nuove forme di rappresentanza dei freelance - in Europa sono raccolte insieme ad ACTA nell’EFIP, associazione di associazioni, che dialoga con l’Unione Europea - e dall’altra l’emergere del mondo dei coworking.

Anni fa, Sergio Bologna scriveva che il postfordismo stava generando una “domesticazione” del lavoro. Portava i knowledge worker nelle loro case, ben attrezzate con PC e modem. Oggi assistiamo al fenomeno inverso, cioè alla necessità di riguadagnare spazio sociale per il lavoro autonomo. La nostalgia del posto fisso - come sostiene qualcuno – non c’entra. Chi va in un coworking non lo trova e neppure lo cerca. It’s not about place, it’s about people, diceva a novembre, a Berlino, Alex Hillman del celebre IndyHall di Filadelfia. Spesso si è costretti a cambiare posto, scrivania, città. Le persone, gli individui sono il cuore del fenomeno. I coworking sono spazi di transito e sosta, senza differenza. Sono luoghi dove lavorare, incontrare persone o clienti, perfino perdere tempo. Consentono di recuperare quell’umanità del lavoro che è fatta di contiguità, tempo condiviso, ozio creativo in collaborazione con altri, opportunità di relazione viva, prossimità. Curiosamente anche produttività, come ha certificato l’ultima ricerca di Deskmag. » Continua…

Get paid not played

Scritto da Dario Banfi il 17 aprile 2012 0 commenti | Letto 1.520 volte

Copyright: Freelancers Union.

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Una vera riforma del lavoro deve sganciare i diritti dalla subordinazione

Scritto da Dario Banfi il 22 marzo 2012 0 commenti | Letto 1.106 volte

Articolo tratto dal sito Quinto Stato e pubblicato oggi anche sul Manifesto.

Una vera riforma del lavoro deve sganciare i diritti dalla subordinazione

di Roberto Ciccarelli

“Quando si parla di professioni ordinistiche e non ordinistiche, di partite Iva o lavoro autonomo – afferma Dario Banfi, membro dell’Associazione dei consulenti del terziario Avanzato (Acta), e autore con Sergio Bologna di Vita da freelance – si pensa solo a persone che pagano le tasse. Quando invece si parla del loro lavoro, allora vengono fatte sparire dal tavolo».

Cosa effettivamente accaduta al tavolo della «verbalizzazione» tra Governo-Confindustria-Sindacati dove mancava all’appello un terzo della forza-lavoro attiva in Italia. Al suo posto c’era il suo fantasma, quello delle «finte partite Iva». «Nessuno nega l’esistenza di questi abusi – continua Banfi – ma così si rischia di non distinguere il lavoro autonomo reale da quello subordinato. I veri consulenti rischiano di perdere il posto dopo sei mesi».

Basterà l’intervento dell’ispettorato del lavoro per risolvere la piaga delle “false partite Iva”?

Non credo. È uno spauracchio che non basterà a far desistere dalle assunzioni irregolari. Il percorso è molto più complesso di una semplice data sul calendario. Intanto mettano più soldi sulle ispezioni. E poi permettano un patrocinio gratuito nei contenziosi, non importa se lo fa un sindacato o un’associazione. La verità è che nessuno ha una risposta, perché il problema non se lo sono nemmeno posti.

Per quale ragione?
L’unico interesse è rimarcare l’esistenza di un’irregolarità, non di sostenere il lavoro indipendente. È un’impostazione molto tradizionale che non intacca la struttura del mercato del lavoro che, a parte la modifica dell’articolo 18, resterà simile a quella attuale.

Qual è l’idea ispiratrice di questa politica?
L’ideal tipo del lavoratore che fa capo al dipendente a tempo indeterminato. Tutto quanto ruota intorno a questa impostazione, anche quando gli si vuole togliere qualcosa. Si modificano gli istituti contrattuali e le forme di protezione del lavoro sempre basandosi sulla tradizione di riforma di questi istituti. Un riformismo reale dovrebbe invece sganciare i diritti dai vincoli della subordinazione. Un lavoratore, in quanto cittadino, dovrebbe avere gli stessi diritti quando esercita una professione, lavora come dipendente o fa l’artigiano. Invece questa riforma millanta un’estensione universale dei diritti.

Alludi all’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi)?
È una furberia. Vuole allargare la platea dei beneficiari di sostegno al reddito ma, allo stesso tempo, abbassa l’importo totale dell’indennità per singola unità e restringe il periodo di erogazione, passando da 18 a 12 mesi. In termini assoluti può sembrare un vantaggio avere un sussidio di 1119 euro lordi al mese, cioè 800 netti, ma non è così. Forse si pensa che, con un sostegno minore, queste persone si daranno da fare a cercarsi un lavoro. Non sempre però esistono soggetti che sanno muoversi sul mercato e hanno bisogno di politiche attive che qui mancano.

Eppure Monti sostiene che questa riforma sia ispirata al modello tedesco…
E con quali mezzi? In Germania, per intenderci, il personale pubblico che si occupa di servizi per l’impiego è circa quattro volte superiore all’Italia. Le persone continueranno a cercare lavoro, ma riceveranno un sostegno sempre più basso. Il governo dirà di avere creato una mobilità sociale. Ma sarà vero sulla carta. Mancherà sempre di più la coesione sociale. In questa situazione si trovano già oggi milioni di persone.

Cosa devono aspettarsi gli autonomi e i parasubordinati?
Devono fare attenzione. Sono quasi certo che nelle commissioni di bilancio si cercherà di alzare la contribuzione dei lavoratori autonomi per pagare gli ammortizzatori sociali delle altre categorie. Per i parasubordinati è quasi certo. Dicono che gli autonomi paghino poco rispetto ad un dipendente. Ma se una partita Iva paga il 27,72 per cento di previdenza, siamo proprio sicuri che in questa cifra non sia già inclusa una componente di costo realmente, e non solo formalmente, equivalente? Come Acta abbiamo dimostrato l’esistenza di un cuneo contributivo fortemente sperequato a svantaggio degli autonomi che, in cambio, non hanno alcuna tutela. L’unica alternativa è rimodulare i costi dell’assistenza e dei servizi sociali associati. Per tutti.

Coworking fa rima con Vita da freelance

Scritto da Dario Banfi il 19 marzo 2012 0 commenti | Letto 1.193 volte

Giovedì 22 marzo e venerd’ 30 sarò a Torino e poi a Bolzano per presentare “Vita da freelance“, il libro scritto insieme a Sergio Bologna. Le due presentazioni hanno un tratto comune: sono organizzate e ospitate in partecipazione con responsabili di servizi di coworking o, come nel caso di Torino, proprio negli uffici di un Cowo, nel caso specifico di Toolbox Coworking.

La ragione di questa vicinanza non si deve soltanto alla breve analisi che nel libro, per primi in Italia, facciamo del fenomeno dei coworking, ma più concretamente al fatto che stiano diventando, in tutto il mondo, luoghi di aggregazione e spazi di socialità per lavoratori indipendenti, start-up e nomad worker.

Come scrive Sergio Bologna (nel suo più recente discorso tenuto sul tema del lavoro culturale) “siamo convinti che in futuro questi spazi potranno essere considerati come un servizio sociale e farlo entrare nella zucca dei nostri Amministratori di enti locali non sarebbe una cattiva idea”. Di questo e di altro, si parlerà nei due incontri. Venite?

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Qui il programma completo dell’evento di Torino del 22 marzo 2012.

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Qui il programma completo e il Comunicato Stampa dell’evento di Bolzano del 30 marzo 2012.

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