**** I poemetti "Sinossi dei licheni" e "Camera di condizionamento" scaricabili anche in versione ePub per tablet, smartphone ecc. ( QUI) e in Pdf **** Ghrasim Luca, La fine del mondo, book-trailer di 19 pag, con estratti, QUI
Gioved, 21 marzo 2013Francesca Del Moro - Gabbiani ipotetici Francesca Del Moro - Gabbiani ipotetici - Cicorivolta Edizioni, 2013
Il gabbiano che attraversa trasvolando con qualche incertezza, qu alche
dubbio e qualche ferita, ma molta determinazione questo libro di Francesca Del Moro
- secondo l'avvertenza di Giorgio Gaber in esergo - l'alter ego, o
meglio ancora il deuteragonista de "l'uomo inserito che attraversa
ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana".
Non sono per separati, anzi "ci si sente come in due". Ovvero, come
titola un testo, "squilibrata e sana", qui e altrove, dentro e "fuori"la
vita.
E' questa bipolarit tra il rasoterra e il volo, io credo, ad essere
creativa, questa coscienza dolorosa e sopportata, nel vero senso del
termine, portata sulle spalle. Se tu ne prendi atto e sei capace di
dargli un nome, di scriverlo, allora il dolore non "sordo", anzi
acquista una voce. Una voce potente.
Qui la voce (poetica) arrabbiata, anzi incazzata. Lo dico pur sapendo
che a Francesca non piace, perch sa di clich, come scrive in suo
testo. Ma so anche, come scriveva Bukowski da qualche parte (cito a
braccio) che la gente matta, e se non matta arrabbiata, e se non
n matta n arrabbiata (vuol dire che) semplicemente stupida. Cosa,
quest'ultima, che credo sia la vera discriminante, poich esclude
implicitamente l'arte.
Se si parte da questo presupposto (o discriminante) perfino parlare di
poesia femminile ha poco senso, e questo mi solleva poich sono convinto
che non sia un genere, esattamente come (appunto) quella "arrabbiata" o
quella "giovane". Direi che tutto dipende dai filtri (anche psichici, e
dall'intelligenza, anche ma non basta) attraverso cui l'esperienza
(magari brutta) subisce la sua metamorfosi in significato, come un
kafkiano insetto mostruoso che torna ad essere Gregorio. Diciamo, per
spiegarla diversamente, che qui, come sosterrebbero altri, c' una forte
correlazione tra l'io analitico, quello
dolorante/corporeo/affettivo/sentimentale e quello etico, o narrante.
Insomma, per un poeta non basta prendere atto di un amore
finito, di un disagio esistenziale o femminile, della morte di un amico
caro, delle ingiustizie, della sconfitta politica e magari farsene una
ragione. Semmai, al contrario, gli interessa fare dell'esperienza
qualcosa di irragionevole. Come forse farebbe un gabbiano.
Tutto naturalmente molto pi "concreto", nei testi, di quanto possa
apparire da questo discorso. La sordit del dolore di cui dicevamo viene
contrastata dal lavoro di scrittura. Qui in effetti la scrittura, anche
con i suoi eventuali "inestetismi", importante perch sonora, ftica.
Diretta, "primaria", spesso tutta d'un fiato ("frenetica" dice Adriana
Soldini nella prefazione), a volte scatologica, apparentemente
spontanea, fondamentalmente priva di trabocchetti metaforici, di roba
da decifrare. Dice quel che deve dire, anche in maniera percussiva, e
tuttavia restituisce, nei testi migliori, una leggerezza antieroica, una
donna che non vuole essere emblematica, semmai vorrebbe essere felice.
La narrazione comportamento vissuto, e quindi etica. Il linguaggio
selezionato su un registro volutamente "naturale", e quindi scelta
ideologica, di non separazione tra il dire e il poetare (e infatti
Francesca, in un testo intitolato "Soancheioscriverecazzateermetiche",
ironizza su certe maniere: "da estenuati ossari / promanano lacerti
d'urlo...")
Certo "Gabbiani ipotetici" ha le sue discontinuit, i suoi momenti alti
e quelli bassi, come naturale. Un esempio per tutti: non facile - non
mai facile - fare una poesia politica o "civile" che sia
anche "bella", che sia qualcosa di pi di una invettiva. Il problema, a
mio avviso, sorge quando in essa, secondo una classica distinzione, i
valori secondari (il principio di realt, la cultura, il sociale, il
politico) prendono il sopravvento su quelli primari (la libido, i sensi,
il "cuore", l'umano, il primordiale). Il difficile sta l, in fondo, in
questo tipo di controllo artistico di s come autore. Eppure in una
poesia come Dimenticare Genova (v. qui sotto), Francesca ci
riesce. E lo fa semplicemente cambiando direzione, precisamente
all'ultima strofa. Il passaggio da un ricordo plurale che svanisce
(avevamo paura...chi se lo ricorda ormai...) a una singola marcatura che
quel ricordo rinfocola avviene bruscamente con la messa a fuoco di un
primo piano, con una singola metafora (il cuore) vecchia come il mondo
ma efficace. Con una specie di passaggio cine tra un campo lungo e il
dettaglio le cose, l'umano, il politico, si conciliano.
Ma a parte queste considerazioni forse marginali, questo libro si
aggiunge alle cose pi interessanti che ho letto ultimamente, quasi
tutte scritte da donne. E se questo smentisce ci che ho appena detto
sul "genere", pazienza.
Continua a leggere "Francesca Del Moro - Gabbiani ipotetici" Mercoled, 13 marzo 2013Caterina Davinio - Aspettando la fine del mondo Caterina Davinio - Aspettando la fine del mondo - Fermenti editrice, 2012
con traduzione a fronte in inglese di Caterina Davinio e David W. Seaman, note di Ermina Passannanti e David W. Seaman
Libro, questo di Caterina Davinio, di due viaggi e - ovviamente - di due ritorni. Si va in Africa per qualche safari, come succede nella prima parte del libro, nel Poema I - Africa e altro, oppure, nella seconda, a Goa in India (Poema II - Sciamani (Goa)), luogo deputato della cultura hippie (e post), della musica, dello sballo in riva all'oceano. Si parte, a volte alla ricerca di qualcosa che non sia una semplice abbronzatura e, se non si dei totali edonisti, si ritorna nella migliore delle ipotesi con qualche riflessione, o - per usare un detto - qualche "presa di coscienza". Intendiamoci, quel qualcosa che si cerca pu essere la natura, il buon selvaggio, l'ancestrale culla della civilt, l'incontaminato, s stessi. L'importante farlo con la consapevolezza che si parte con una buona dose di romanticismo rimbaudiano (o, appunto, posthippie) nel bagaglio, inevitabile. Poi quel che conta, se non si rimane nell'hortus conclusus di un villaggio vacanze, trarre qualche utile insegnamento dalla realt (disillusioni comprese), magari passandolo poi al setaccio fitto del linguaggio poetico, ricordandosi per che se la realt "crudele" deve esserlo anche il linguaggio, almeno nel senso artaudiano della cosa. Lo dico non a caso, ma proprio perch ho gi avuto modo di parlare del lavoro di Caterina, ad esempio a proposito de "Il libro dell'oppio" (v. QUI), in cui la lingua sperimentava una capacit - abbastanza lontana e certo superiore rispetto a questo libro - di "sprofondare" nella realt. Realt che era, in quello ma anche in "Fenomenologie seriali" (v. QUI), non solo intimamente soggettiva, ma anche eminentemente "comune", ovvero civile. Ma il libro ben scritto, ed ha la sua ragion d'essere. Giacch si parte - diciamo cos - "occidentali" e, siamo onesti, senza nemmeno tanti sensi di colpa per ci che l'occidente ha fatto a quei paesi. Con il nostro sistema concettuale, metaforico, ideologico da mettere alla prova, con la nostra ragione, "un'arma contro qualcosa pi forte della ragione", avverte Davinio, "una spada che taglia una piuma", cio uno strumento del tutto inappropriato o ridondante. E si torna occidentali (consapevoli di poter tornare), dopo aver scalfito appena la superficie, perch non possiamo permetterci di andare in fondo, o a fondo davvero, siamo sempre noi e "gli altri", coloro che rimangono l, in una realt non indeterminata che l'osservatore, per quanto benevolo, poetico, politico, empatico non riuscir minimamente a modificare (e dove il Rimbaud di "io un altro" non funziona). Che fare allora? L'artista, anche se ha a che fare con una semplice superficie, riesce a incresparla, fare riecheggiare in s anche semplici frammenti, trovare uno spirito in questo "altrove", cogliere dei segni nei suoi bagliori, segni di una fine che non sta tanto nella constatazione che i tropici, per dirla con Lvi-Strauss, sono diventati "tristi" anche grazie a noi, ma che in realt non possiamo andare, con il nostro bagaglio, a rifugiarci in quei luoghi n fisicamente n come mito, perch forse l' "altrove" che cerchiamo in noi, quasi come un pre-giudizio. Cos, in attesa della fine del mondo (ma quale, davvero) questo "andare verso" diventa speculare (ma molto meno tragico perch consunto, commerciale) all'altro andare, quello in senso contrario, quello dei migranti in fuga da fame e guerra che si affacciano alle nostre coste altrettanto tristi. Come - se posso fare un accostamento (che non vuole essere valoriale) con un'altra opera in cui la direzione rovesciata e l'impatto in qualche modo subto - ne "Il mondo vedovo" di Paola Turroni (v. QUI)
Ma in fondo, per aspettare la fine di questi mondi (il qui, l'altrove, la realt, il mito) un posto vale un altro. (g.c.)
Continua a leggere "Caterina Davinio - Aspettando la fine del mondo" Mercoled, 6 marzo 2013Altre quattro mie poesie tradotte in franceseDopo i testi apparsi su Les Carnets d'Eucharis, tradotti i n francese dal poeta Raymond Farina (v. QUI), quattro altre mie poesie, sempre nella versione francese di Farina, sono apparse sul n.58 (autunno - inverno 2012, dedicato all'artista Grard Titus-Carmel) della rivista di letteratura "Dirse", fondata e diretta da Daniel Martinez. Ringrazio ancora una volta Raymond Farina per la sua empatica attenzione, il suo impegno nonch la sua estrema gentilezza. Continua a leggere "Altre quattro mie poesie tradotte in francese" Domenica, 3 marzo 2013Nasce "floema", nuovo spazio di esplorazione della parola
larte e lepos greco [] continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono, sotto un certo aspetto, una norma e un modello
inarrivabili.
Karl Marx
: Larte greca e la societ moderna
Nella societ in cui viviamo, dove pi facile abbattere un albero per costruire un marciapiedi o un rond, invece che girargli intorno, mantenendo
lerettile architettura, f l o e m a si propone di mostrare ci che la sega, se meglio adoperata, poteva evitare: la sezione di un tronco.
Mercoled, 27 febbraio 2013Marco Bellini - Sotto l'ultima pietra, nota di Rita Pacilio Marco Bellini - Sotto lultima pietra La Vita Felice 2013
La poesia si mette al servizio del concreto diventando il recupero immediato degli attimi del reale quando il poeta riesce a cogliere il senso
dellesistenza con naturalezza, quasi innocente, consacrando la memoria popolare, lappartenenza al mondo. La bont poetica di Marco Bellini in Sotto lultima pietra, LVF 2013, emerge nella spiritualit delle mappe geografiche, nelloggettivit dei vissuti temporali, nel ritmo interno ed
esterno alle cose che trascorrono fino allinconoscibile e inafferrabile mistero della morte. La padronanza del verso libero e dellutilizzo di singoli
segmenti fluidi, apparentemente semplici, costruiti seguendo una metrica sciolta, spesso sincopati, non ci portano verso un destino prestabilito del verso,
ma ci inducono a cercare un istinto di significato stilistico elegante e curatissimo fino al suo dettaglio pi sperimentale/colloquiale/lirico. Bellini
invita i lettori a fare un percorso intuitivo, geografico, geometrico, identitario e, a volte, esorcizzante: un valicare flessibile, paradossalmente
introspettivo, adempiendo una scoperta di ordine mentale nelle realt umane e territoriali alternate da tematiche narrate in immagini e racconti di culture
vicine e lontane che si collegano con lesistenza pi vasta e profonda dellintero universo. I significati arcani dei luoghi, le antiche saggezze delle
donne che si riconoscono in un ruolo di subordinazione, lintolleranza sociale, la morte e i suoi inganni si concentrano in un dire poetico moderno che pu
somigliare, non solo per il variare tematico, alla poesia filosofica perch, abile al canto, capace di educare, e, intenzionalmente, dotata di
complessa autocoscienza con una funzione analogica, fondativa e discorsiva. La poesia si piega, cos, al compito della conoscenza, la
approfondisce, rinnova il suo sguardo su se stessa e si rende disponibile allapprodo dellesperienza dellistante rigenerato. La latitudine
geografico/semantica funzionale alla visione della parola poetica come profondit della realt che accompagna il lettore verso la verticalit del
parossismo dialettico caratterizzato da sguardi affidati sia a fragilit umane innestate nelle culture dei contesti, sia a incursioni di alibi e sottintesi
che possono riformulare le ricognizioni dei paesaggi circostanti dal mutare delle proprie parvenze. Il tempo diventa un incipit, un punto da cui ripartire,
un gioco dinfanzia, una sistemazione ambientale in cui possibile approfondire e denominare, in forma retroattiva, lumanit contaminata dalle azioni
discontinue e intossicate dai comportamenti amorali pregressi. Bellini osserva, narra e ricuce percorrendo localit prossime al fiume Adda: propone con il
suo tracciato letterario-zonale un riattraversamento delle esperienze concrete degli spazi, l dove le vicissitudini umane non vengono visitate come
reliquie, ma come humus intellettualmente utile e sempre fecondo da suggerire come lezione storico/filosofica che pu dettare suggerimenti e moniti.
Bellini scava nel corpo materico dellintero cosmo, fino allultima pietra, rimettendo in circolazione pi realt sopravvissute ai luoghi, pi ideologie,
pi voci per resistere allamplificazione dei codici che traducono lestrema metafora dellignoto che coincide conquellimmobile puntino di luce al centro delluniverso dove ogni cosa si incontra e ogni cosa si interseca verso laltra sponda del fiume (Charles Wright). (rita pacilio) Continua a leggere "Marco Bellini - Sotto l'ultima pietra, nota di Rita Pacilio" Gioved, 21 febbraio 2013Alessandro Assiri - In tempi ormai vicini, nota di Narda Fattori Alessandro Assiri, poeta noto e scafato nel senso di avvertito, che ben conosce la poesia contemporanea oltre a quella letteraria, critico ed edotto di come funzioni la macchina del successo letterario, si presenta con un libro dal titolo ambiguo: i tempi possono essere vicini perch prossimi a venire e perch appena scorsi, tanto che ancora ne recuperiamo oggetti, memorie, scaglie usurate deventi, frammenti didentit, pulsioni , evocazioni, consapevolezze dure come piccole pietre. Le liriche del libro, suddivise in quattro sezioni dai titoli suggestivi, danno ragione dello sguardo strabico del poeta che coglie frammenti di un passato prossimo per rivisitare il presente e compiere anche lazione contraria, dal presente al passato. In questa continua operazione transitoria lio lirico pressoch assente: spia dietro le scelte dello sguardo e si ritaglia il compito del lessico e del metro. C unironia amara che pervade lintero libro, anche le frasi fatte, il raccogliticcio verbale, sono uno strumento affilato di penetrazione dentro una realt attuale che non si ama, cos come non si saputa amare con dura consistenza quella della giovent che travestiva i giorni con un eskimo di sogni. Nessun rimpianto, per, macchia questi rimasugli, n essi sono utilizzati a pretesto per rimpianti o per acrimonie; anche se non ben chiaro perch il tempo abbia spinto in una direzione variata e contraria, la nuova realt ci colpisce su cicatrici ormai chiuse e il dolore ottuso dagli antidolorifici. Ci che si perduto non pu tornare, pu essere rimpiazzato ma lintervento mostra ancora pi chiaramente la il logos e il topos del dolore: (..) Rifatto fino al nome assolvi la vita che hai perduto/ un po da militante e un po da dissociato/ prima sedicente poi compagno che ha sbagliato.. Questa ironia, riscontrabile un po in tutte le poesie, ora leggera ora pungente, riverbera sullautore stesso al quale resta come unarma un po spuntata per dire di s nei tempi , e il suo s corrisponde a quello di tanti suoi coetanei. Assiri poeta non ama stupire n recriminare: appartiene alla quota scarsa delle persone che non si chiamano fuori dal gioco o che colpevolizzano sempre gli altri, il caso,ecc.., per i fallimenti personali e collettivi; la sua denuncia una autodenuncia e, soprattutto, non ha carte a discolpa n le chiede. La sua poesia dimessa. colloquiale, a volte brevissima riuscendo per a sfuggire allaforisma e alla sapienzialit: Sul muretto coi brufoli a parlare fino a tardi/ dellomino coi baffi con sto nome da birra e sta faccia da schiaffi. Chi ha gli anta alle spalle ha vissuto una scena come questa e non saprebbe descriverla meglio: poche parole essenziali, precise, scavate nei meandri della memoria. Qualcuno potrebbe obiettare che cos operando la |