Cateno Tempio
è una faccia di sbronzo

L’inesistente partito degli astenuti

Siamo il partito più grande d’Italia.

Fesserie. Di tante sciocchezze che si sentono in giro, questa è una delle peggiori. Chi la dice, è tronfio, impettito, si crogiola in questa millantata forza del numero: noi siamo tanti, siamo il partito più numeroso, siamo i più forti. Non ci fate arrabbiare perché altrimenti… Altrimenti? Continueremo a non votare.

Siamo il primo partito in Italia, dicono. C’è chi vuol essere primo in tutto, anche nella coglioneria.

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Ora, se proprio vogliamo stare ai termini, gli astenuti non formano alcun partito, perché astenersi è per definizione non prendere partito. Se mi astengo, non prendo parte. Un partito di astenuti esiste come può esistere un coro di muti.

Non bastasse ciò, bisogna considerare di cosa è composto questo grande numero di persone. Io vorrei capire cos’hanno da spartire uno che votava Berlusconi o Lega e che ha deciso di non andare più a votare, un altro che si dice di sinistra ma che non si sente rappresentato dai partiti che si dicono di sinistra, poi c’è quello che dice che sono tutti uguali, quindi l’anarchico (qualunque cosa significhi questa parola), poi ancora quello che non sa cosa votare perché non ha le idee chiare, l’altro che forse voterà ma solo “per Grillo” però alla fine non voterà, chi non ha votato mai e non ha intenzione di farlo nemmeno in futuro… Senza contare una percentuale (che comunque possiamo dire aggirarsi dal 5 al 10%) di astensione normale, fisiologica, comprendente anche chi proprio non può farlo. Di quale forza stiamo parlando? A cosa si riduce il grande numero che ringalluzzisce i fieri sostenitori dell’astensione? I membri di questo grande e confuso calderone hanno in comune solo il fatterello di non recarsi alle urne; le motivazioni sono le più disparate, non si può individuarne una comune, nemmeno la delusione verso la classe politica, né tanto meno la protesta.

E appunto: in cosa consiste la protesta per chi decide di non votare per questo motivo? Davvero qualcuno è convinto che per i politici costituisca un problema l’aumento dell’astensione? Quale effetto produce su un parlamentare il fatto che sia andato a votare il 60, il 40 o anche il 20% degli aventi diritto? Risposta: nessuno. Che voti l’un per cento o il cento per cento degli aventi diritto (non essendoci quorum per le elezioni politiche), per i parlamentari è lo stesso. Chi verrà eletto (ossia, con questa legge, chi verrà scelto dai partiti o dai movimenti che dir si voglia), sarà comunque un parlamentare a tutti gli effetti, indennità comprese.

Le motivazioni che mi fanno ridere di più sono quelle di chi dice: “Tanto il mio voto è inutile”, spesso aggiungendo il fatto che un voto solo non cambia le cose oppure che tanto chiunque venga eletto le cose non miglioreranno mai. Rispetto al primo argomento, chiariamoci una cosa: o il tuo voto singolo è inutile, o l’astensionismo è il partito più grande e forte. Perché è impossibile che la protesta che vuol costituire il partito più numeroso sia anche costituita da singoli voti inutili. Quindi, o l’astensionismo è inutile, o il singolo voto conta qualcosa. E non può essere nemmeno che il singolo voto sia utile e inutile allo stesso tempo; come è impossibile che siano inutili sia andare a votare che il suo contrario non andarci. Se il tuo singolo voto è inutile, paradossalmente anche l’astensionismo è inutile, perché costituito da voti che sarebbero inutili una volta espressi. Senza contare che l’astensionismo non ottiene nessun risultato comunque, quindi a rigore è inutile. L’obiezione che il singolo voto è inutile ma tanti voti sono utili conferma che l’astensionismo non serve a niente e che, al contrario, andare a votare è utile.

“Ma – dice qualcuno – l’inutilità consiste nel fatto che qualunque partito, lista o movimento voti, tanto nessuno farà bene, perché fanno tutti schifo”. Indipendentemente dal mio orientamento personale, non sono per nulla d’accordo con questa obiezione. Per anni si è detto che tra i partiti (o quel che sia) si dovrebbe votare il “meno peggio”. Ora si dice che ci si è stancati anche del meno peggio, perché è impossibile non riuscire mai a trovare qualcosa di buono, da votare con convinzione. Andiamo a vedere da presso cos’è questo “meno peggio”. Io sostengo che tutte le persone a cui siamo affezionati, i nostri migliori amici, i consorti più dolci, le persone più intelligenti siano sempre il meno peggio che abbiamo trovato. In ciascuno di essi si assommano decine di difetti, più o meno sopportabili. E noi siamo il meno peggio che chi ci vuole bene ha trovato. Dobbiamo riconoscerlo con franchezza: il meglio che ci possa capitare è essere il meno peggio per qualcun altro. Mi si dirà che in politica questo ragionamento non funziona, perché lì l’ottica, il punto di vista in base al quale giudicare è il meglio per tutti. D’accordo, ma stiamo parlando di associazioni tra persone: un partito (o quel che sia) è un’associazione, un insieme di persone che cercano di fare qualcosa (più o meno in buona fede, più o meno condivisibile). Anche nella migliore delle ipotesi, ci saranno sempre decine, centinaia di difetti, errori, bocconi amari che nemmeno riusciremo a ingoiare. Come lo so? Ogni volta che ho dovuto fare qualcosa assieme anche solo a un’altra persona, ci sono state cose che non ho condiviso, errori che ho commesso io o che ha commesso l’altro. E quando si è in più di due, come si dice, già è facile che uno dei tre venga considerato cretino, pazzo, eretico dagli altri due. Associarci vuol dire scendere a compromessi: questo ha un significato negativo, di primo acchito; ma ha anche un significato positivo: significa smussare e smussarsi, scrollarsi di dosso ogni delirio di onnipotenza, sbattere il muso contro la dura e spesso ripugnante realtà che sono gli altri esseri umani (e loro lo sbattono contro la realtà ripugnante che siamo noi). Il partito perfetto non esiste. Scegliere il “meno peggio” tra i partiti è, in definitiva, scegliere il migliore. Perché di più non si può fare. Non come progetto o intenzione, perché la spinta, la critica, l’impulso a fare di meglio non dovrebbe mai venire meno; ma non si può fare di più come realtà in atto. Spesso, poi, scordiamo come dietro il “meno peggio” sia nascosta la vita di tante persone; noi che possiamo facciamo i sofisticati, giochiamo a fare gli intellettualoidi che se la tirano, che non partecipano, che si sentono fighi a non andare a votare; e lasciamo vincere ciò che è il peggio, che per noi è solo oggetto di critica e diletto salottiero, ma che per tanti è morire di fame, non avere di che campare, perdere la dignità, essere considerati criminali solo perché si è clandestini, non godere di certi diritti solo perché si è omosessuali; e significa pure destinare allo sfascio la cultura di un intero Stato. Invece di salvare il salvabile, di cercare di migliorare anche di poco quello che c’è, preferiamo sognare la rivoluzione, un ordinamento che non ci sarà mai, lo stato perfetto, la dissoluzione dello stato, la comunità rurale indipendente e quant’altro. E la gente crepa perché a noi non piaciucchia il “meno peggio”.

Ancora una volta sorge un’obiezione: mettiamo che il “meno peggio” sia un partito piccolo, che a mala pena otterrà qualche seggio alla Camera e forse manco uno al Senato; che senso ha votarlo? La domanda è capziosa. Il partito è piccolo perché tu non lo voti; e tu non lo voti perché è un partito piccolo. Geniale. “Ma il mio singolo voto è inutile!”. Ecco, qua mi sento presto per il culo, dopo tutto quello che ho già scritto.

Più in generale, perché dovremmo votare un partito che resterà all’opposizione? In realtà, non capisco il ragionamento che sta alla base di questa domanda. Innanzi tutto perché l’opposizione è parte integrante di un ordinamento democratico (sulla democrazia dirò due paroline più sotto); e non solo in democrazia! Cosa sarebbero stati i popoli sotto un regime senza opposizione nemmeno clandestina? Con quale fierezza potrei pensare agli italiani sotto il fascismo se non ci fossero stati Matteotti, Gramsci, i Rosselli e tanti altri? Che ne sarebbe stato della Resistenza? Senza opposizione probabilmente non sarebbe nemmeno esistita. Ma pensiamo a cosa sarebbe stato il berlusconismo senza quel briciolo di opposizione che si è vista qua e là, più fuori che dentro il parlamento; pensiamo a noi che ci siamo detti sempre contro tutto ciò che ha rappresentato il berlusconismo e lo abbiamo detto dentro e fuori le istituzioni, sui nostri blog, per le strade, sì, persino con il nostro voto (per chi ha votato).

Ma c’è da considerare anche un altro aspetto. Devo votare solo un partito che sicuramente vincerà? Quale sarebbe il senso di ciò? A volte (anzi spesso, almeno per quel che mi riguarda) si vota e si prende parte proprio per opposizione a qualcosa o qualcuno. Poi, spunta un nuovo partito o movimento e non lo si vota perché tanto prenderà pochi voti. Come dovrebbe mai crescere, così un partito? Nella nostro fantasia, appena nato dovrebbe essere già vecchio, magari al 20%!

Concludo dicendo che non sono un fanatico della democrazia. Non credo che esista qualcosa di “assoluto”, almeno non nel senso spicciolo del termine. Dunque non credo nemmeno che esista un sistema politico migliore in assoluto. Il principato di Augusto ha funzionato meglio della nostra attuale democrazia. Così l’impero romano sotto gli imperatori adottivi. Oppure la Russia dei Soviet e dei primi anni della Rivoluzione. Dal punto di vista strutturale e dell’organizzazione nulla regge il confronto con l’oligarchia spartana. È pur vero che se dovessi scegliere un modello penserei all’Atene di Pericle; ma anche questa non era il paradiso che se ne figura l’immaginario collettivo; non lo era per tanti motivi (condizione della donna, schiavitù, processi per empietà, guerre endemiche e imperialismo sfrenato). La realtà mi ripugna e con essa la politica che ne è parte integrante. Ma non mi piace fare lo schizzinoso sulla pelle delle persone. Fino agli anni ’70 l’astensionismo in Italia era poco diffuso. Le cose andavano un pochino meglio. Dipendeva solo dalla “congiuntura” mondiale? Sarà un caso che al precipitare dell’impegno di tante persone le cose hanno cominciato a fare sempre più schifo? A me sembra che quanto più si rinunci a votare e a impegnarsi, tanto più la politica faccia schifo; non viceversa. Di molta gente, qui in Italia, sembra essersi impossessato un fatalismo turco: non faccio nulla, non partecipo perché tanto la situazione è quella che è e come deve andare andrà. Come se non fosse necessario impegnarsi di più proprio quando le cose vanno così male. Siccome la situazione fa schifo, allora non faccio niente. Se invece fosse stata buona, allora avrei partecipato volentieri. Mi sembrano ragionamenti deliranti.

Se vado a votare, ci vado non solo per convinzioni personali circa un particolare schieramento o partito. Ci vado anche per dire come vorrei che fossero trattare le persone in generale, me stesso compreso. Ci vado con tutta la ritrosia di chi sa quante e quali porcherie si combinano ogni giorno, senza alcuna possibilità che vengano eliminate tutte; ma ci vado con l’intenzione che almeno un poco siano arginate. Vado a votare come scrivo anche queste righe: sperando che siano segni che non cadano nel vuoto, anche se so che la probabilità che ciò accada è sempre molto alta. Ma io ho la necessità di tracciare questi segni, il mio personalissimo dovere (scelto e voluto da me, non calato dall’alto) di cercare per quanto mi è possibile, in tutti i modi in cui mi è consentito (non dagli altri, ma dalla realtà), di incidere almeno un poco in ciò che mi circonda, cercando sempre di essere io stesso il meno peggio per quante più persone possibile.

11 febbraio 2013 | Posted in: politica | Tags: astensionismo, democrazia, politica, voto | 2 Commenti »
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