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Gelosia

giugno 27th, 2011 | Category: delirio

Riflettevo. Della e sulla gelosia.

E pensavo. A quanto sia, più che “il termometro dell’amore”, l’esponente periodico di un numero indefinibile di zebedei rotti.

Direttamente proporzionale all’incomprensione tra uomo e donna. Inversamente alla loro affinità sessuale, leggenda narra, vada a trarre le sue origini in quel periodo di sciagure e catastrofi a cavallo tra il Peccato Originale e il Diluvio Universale.

In pratica, è l’inconfutabile prova che Dio c’è. Sa come farci scontare determinate pene. E  lo fa nel più sadico dei modi possibili e/o immaginabili.

Bei tempi quelli delle carestie e delle cavallette.

Bei tempi.

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Còre de ‘sta città

giugno 23rd, 2011 | Category: inside,varie ed eventuali

Riassunto delle puntate precedenti.

Trasferta lampo nel mese di Marzo. La nostra eroina, s’imbatte volontariamente in giUovane ameriGGano nato a Pozzuoli. I due scoprono l’aMMore e decidono di non limitarsi all’accoppiamento. In meno di tre mesi, la Capitale, acquista una nuova cittadina di origini pugliesi.

Quando mio fratello decise che i suoi colori calcistici sarebbero stati quelli della Roma, pensai subito al Colosseo, alla Dolce Vita, ai Paparazzi e alla lupa che allattava Romolo e Remo. Ah sì. Anche alle nozze tra la Blasi e il Pupone.

Poi venne mio padre. Con il ritornello da disco rotto.

“a Roma verresti capita professionalmente. Perché a Roma c’è gente in gamba. Fossi nata a Roma sarebbe tutto diverso.”

Oggi, a Roma, ci vivo. Trovandola stranamente meravigliosa. E dico stranamente perché tutti quelli che me ne parlavano, abitandola, avevano sempre qualcosa di cui lamentarsi. Se non erano i mezzi era il traffico, se non era il traffico erano le aree pedonali e il centro storico, se non era il centro storico erano i turisti.

A me, Roma, piace.

Nei suoi tramonti e nelle albe sonnacchiose. Le bombe delle sei non fanno male. Con i gabbiani che-non so come-arrivano finanche a Ponte Lungo. Con le cineserie di Piazza Vittorio Emanuele e quel vestire così libero e disinvolto qualsiasi pezza trovata nell’armadio prima di uscire.

Perché, Roma, mica se ne preoccupa tanto del tuo abbigliamento. L’unico fashion che conta è l’emozione. E il brivido convenzionale della star con le buste della spesa, incontrata appena girato l’angolo.

Qui, a Roma, sono tutti attori. E se non sono attori sono registi o fotografi. Un set continuo di signore al mercato e vecchietti sceneggiatori. Caleidoscopio di storie, Roma. E di voci. E di un dialetto che è lingua universale. Anche per l’arabo fruttarolo e il cingalese delle borse tarocche.

“fàmo mezzo chilo de zucchine?” “dàmme venti sacchi e sémo amici!”

C’è un cuore che batte, nel cuore di Roma. Ed è bello fargli l’elettrocardiogramma un giorno sì e uno pure. Se gira dritto o gira storto. Non è importante.

Quel che conta è saper dire grazie. Come m’insegnarano le suore. Ora non so cosa mi riservi. Quali saranno le sfide e le guerre. O quanto durerà. Comunque sia.

Grazie, Roma.

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Dimmelo tu

maggio 04th, 2011 | Category: delirio,in love

Quel che mi inquieta non è sentirti russare, la notte.

Mi ci ero già abituata a tal punto che, con il telefono, sapendo di doverti distare per qualche giorno, ti registrai per riuscire a prender sonno senza averti al mio fianco.

Quel che mi inquieta è non riuscire più a farne a meno.

E’ prendere i difetti per pregi e i pregi per difetti. Un po’ come fanno le coppie sposate da secoli. Mentre io e te siamo insieme da 60gg o poco più.

Questo, mi inquieta.

Che, ok, la deviazione del setto nasale. Che, ok, la digestione lenta. Ma se non è amore questo, allora, dimmelo tu cos’è…

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La Felicità.

aprile 20th, 2011 | Category: in love,inside

Citare Baricco è un po’ snob e banale, lo so. Ma è proprio vero…

accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.

Pensavo la mia vita non avesse più domande. O, tantomeno, risposte abbastanza interessanti per coinvolgermi nelle sue discussioni. Le attese erano inutili, i silenzi abitudine, il quotidiano respiro routine…

Un sacco di panno vuoto sotto l’albero nel giorno di Natale, insomma. Immagine abbastanza desolante, credo.

Poi capitano robe. Ti piomba una stella sulla testa all’improvviso, trascinandosi dietro l’Universo intero. E mille mondi. E mille esistenze. E mille intensissime emozioni. Come se, quasi, mai prima di quel giorno avessi aperto gli occhi per guardare il sole diritto nella sua sfera di fuoco.

E’ strano, sì… tipo morire e rinascere, uh.

Assomiglia parecchio a quelle storie della gente uscita dal coma. Quando raccontano del tunnel, delle voci, del torpore, dell’esserci e non esserci, finché d’un tratto ci sei, e basta, non puoi farci niente. Sai solo che il tuo corpo prende piena consapevolezza del suo essere, e muovi il dito di un piede neanche fosse la prima volta in assoluto. Ogni gusto sulle papille assume sapidità inedite  ed ogni fiore sotto le narici profuma di Dio. E il cuore ricomincia a pompare sangue talmente in fretta da non darti il tempo di sentirlo, quel fluido denso e caldo che scorre nelle vene.

E’ strano, sì. E intenso. E così surreale da svilupparsi in una proiezione onirica.

Un Suo sorriso. Una Sua carezza. Un Suo pensiero. Una Sua parola.

Quelli che sperimento, sono i primi trenta giorni della mia nuova vita. Perché la vecchia era bella, ma solo in prestito. Perché questa è mia e mia sola. E si specchia, giorno dopo giorno, nella vita Sua e Sua sola. Come luce rifratta nelle mille sfaccettature di tutti i sogni passati presenti e futuri, rilasciando i colori dell’iride in un semplice e affascinante miracolo quotidiano…

La Felicità.

Nuda. Serena. Splendida. Pura.

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Amore e Alchimia

febbraio 28th, 2011 | Category: delirio,in love,inside
L’alchimia parte dal presupposto che non esiste contraddizione tra “natura fisica” e “natura immateriale”. Perchè la prevalenza di uno dei due aspetti è solo apparente, dipende dai limiti dell’osservatore, che in alcuni casi li ha superati ricorrendo a strumentazioni scientifiche.

Con queste parole, inizio a scrivere un post che parla d’amore.

Molto spesso, descrivendolo, l’Amore, ci troviamo a parlare di “alchimia”. Alchimia di corpi, di cuori, di sensazioni. Se riscoprissimo l’Alchimia, quella dell’Ermete tre volte grande, magari, capire ogni singola emozione risulterebbe più semplice.

Secondo Paracelso, l’Alchimia, è quella cosa che serve a separare il vero dal falso. Cosa avrebbe a che fare con l’Amore, così instabile e incerto?

L’alchimia, oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, implicava un’esperienza di crescita ed un processo di liberazione e di salvezza dell’artefice dell’esperimento. In quest’ottica la scienza alchemica veniva sacralizzata e ricondotta ad un tipo di conoscenza metafisica e filosofica, assumendo connotati mistici e soteriologici, cosicché i processi e i simboli alchemici possiedono sovente un significato interiore relativo allo sviluppo spirituale in connessione con quello prettamente materiale della trasformazione fisica.

Di fatto, parliamo di una scienza. Per quanto improbabile, esatta. Definizione che potremmo benissimo sovrapporre a quella di “amore”.  Una delle tantissime declinazioni etimologiche del termine alchimia, vorrebbe proprio il fondere, l’unire, il creare da due o più materie, l’immateriale. Il ragionamento, ci porta a credere che l’Amore sia, a tutti gli effetti, alchimia.

E viceversa.

Di recente, anche io ho sperimentato. Di fretta. Arronzando simboli e formule. Alambiccandomi tra materia e immateria. Provando quel brivido folle da scienziato alla ricerca della Pietra Filosofale, e del relativo segreto.

Giocare al piccolo alchimista presenta molteplici aspetti da studiare e approfondire.

Il primo è, certamente, la curiosità nella scoperta del cammino iniziatico. Quel percorso mentale apparentemente finalizzato al raggiungimento di una persona o di uno scopo ma, in verità, mirato all’esperienza da testare sul campo.

Il secondo è tangibile, materico, direttamente connesso al primo. Indubbiamente piacevole. Ludicamente indirizzato all’unione di corpi e fluidi ed elementi.

Il terzo è nebuloso. A tratti inutile e dispendioso per tempo e fatica. Parliamo del fine ultimo e, quindi, dell’utopica creazione di una sostanza giusta e perfetta che realizzi le fantasie del genio umano.

L’alchimia, come l’amore, è arte della trasformazione, quella radicale, che richiede una morte ed una rinascita, una sottrazione alla natura umana per recuperare quella divina che spetta all’uomo per diritto di nascita, per essere fatto a somiglianza di Dio.

L’alchimia, come l’amore, è un ritorno a casa da un penoso esilio, all’unità da una condizione di frammentazione. Occorre rimanere con il cuore aperto per permettere al crogiolo alchemico di svolgere il suo compito sottoponendo al fuoco della purificazione  di modificare la coscienza e con essa l’intero essere umano.

Innamorarsi. Gioirne. Soffrirne. Provarne forti coinvolgimenti e schiudersi anche nel pianto liberatorio di chi non raggiunge il proprio scopo, è il gioco/giogo perverso di noi romantici alchimisti. L’atto di Fede che ci spinge a non abbandonare mai la ricerca e il cammino.

È pertanto l’alchimia una casta meretrice, che ha molti amanti, ma tutti delude e a nessuno concede il suo amplesso. Trasforma gli stolti in mentecatti, i ricchi in miserabili, i filosofi in allocchi, e gli ingannati in loquacissimi ingannatori…

…così come ci tramandò Tritemio.

Un santo Graal, aggiungerei, che non sottrae ma illumina, nei giorni spesi a sperimentare, scoprire, vivere.

Chi ama vive. Chi vive amando, dunque, racchiude in sé il segreto dell’immortalità e dell’onniscenza divina. Cancellarne le tracce, bruciare le torri dei testi proibiti, non diffonderne  il Verbo, sarebbe sempre e comunque un delitto imperdonabile.

Meditate. Gente.

Dedico quanto scritto ad una Musa ispiratrice.

Che prima di incarnare il mio ideale di Amore è stato (e sarà imperituro),

l’Uomo di cui mi fido.

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Un cuore nomade.

gennaio 16th, 2011 | Category: autocelebrazione,la nostalgia del passato
Il tuo cuore è nomade, così come il nostro, errante per mari e monti, come una rondine senza nido…

Accadde tutto diversi anni fa. Ero in compagnia di un amico. In realtà  un semi-sconosciuto.

Iniziò a parlarmi di un mistero, ambientato nel sud della Francia.

Era una leggenda affascinante, e lui la raccontava davvero bene. E c’era un prete, in questa narrazione. E una chiesa. E con la chiesa mille e mille simboli ancora. E cartine. E dell’oro. Tanto oro. E c’erano santi. E statue. E un demone.

E c’era una donna, da qualche parte. E dell’amore, magari del sesso. Non ne sarei troppo sicura. Non lo era neanche il semi-sconosciuto.

Quella donna si chiamava Emma. Emma Calvé.

Non saprei spiegarlo meglio, non ora. Ma la donna divenne, da quel momento, parte integrante della mia vita.

Il semi-sconosciuto scomparve, nel buio di una soffitta polverosa (cosa che accade spesso, se t’invaghisci di un bardo incontrato per caso). Ma Lei restò. Con i suoi amanti e quella voce decisa, pronta a conquistare il mondo sulle ali della musica, avvolta nel profumo delle rose che si materializzavano dietro le quinte e costretta dai lacci in quei corsetti, sempre troppo attillati. Da togliere il fiato.

Con una parte da recitare segnata sullo spartito e nell’anima. Da tutti idolatrata. Amata, da nessuno. Forse.

La bellezza senza tempo è in una storia ancora mai cantata.
Il semi-sconosciuto non poteva saperlo, e neanche io.

Un giorno, sarei stata invitata a parlarvi di questa bellezza, e del suo cuore nomade, per svelarne il segreto più grande.

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Pom**ni

gennaio 05th, 2011 | Category: reality

[post ad alto contenuto intellettuale. Astenersi dalla lettura poveri di spirito e privi di uno spessore culturale adeguato]

-io non ho mica capito la meccanica di questa cosa. Come la giri e la volti, io e te, si finisce sempre a parlare di pom**ni. Dai Templari ai pom**ni. Da Krishna ai pom**ni. Da Parsifal ai pom**ni. C’è un passaggio che mi sfugge…-

-accade quando metti insieme due ragazzacci, semplice!-

-ma io sono andata a scuola dalle suore!!!-

-anche io sono andato a scuola dalle suore!!!-

-…ahbe. Ogni dubbio è scomparso all’orizzonte, allora. Possiamo tranquillamente continuare su questa linea… -

-dicevamo?-

-…pom**ni. Se non erro.-

Annotazione al 14/01/2001.

Gli amici di Google Adsense (poveri di spirito e privi di uno spessore culturale adeguato) hanno segnalato questo post (e relativo blog) per il linguaggio grezzo o osceno dei suoi contenuti. Ammonendo la sottoscritta e delicatamente suggerendomi di cambiare registro nell’utilizzo dei toni e delle parole. Mi sono trovata costretta a pecettare l’unico termine incriminato. Un po’ come si faceva negli anni ’80 sui manifesti del cinema Marilon (o del più conosciuto Il Salottino), quando asterischi e rettangolini celavano gioie e grazie delle dive a luci rosse agli occhi dei passanti.

Dopo il periodo nero che ho attraversato, ero ben lieta di sbandierare la spensierata oscenità di un’idea (e un’idea, finché resta un’idea, è soltanto un’astrazione, diceva Gaber) senza minimamente immaginare di poter incorrere negli strali della censura.

Non in un paese, l’Italia, dove di cu*i, fi*he, ca**i, c**iavate, cape**oli, ra**oni, grazie alla pubblicità internazionale del nostro Premier, si era fatto  una sorta di orgoglio nazionale.

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La verità è che non mi piaci abbastanza

gennaio 02nd, 2011 | Category: delirio

Io ed il 2011 abbiamo fatto a cazzotti fin dal primo giorno.

Dopo una perfetta serata, fatta di perfette pietanze e perfetti sorrisi con la mia Mutter perfetta e il di me perfetto fratello. Perché gli ex, a posto loro, non ci sanno stare. E perché, certi dentisti, invece che metter mani in bocca dovrebbero darsi all’origami.

Ma questa è un’altra storia, come scriveva Michael Ende.

Stranamente, per una atroce necessità di robe positive, credo di aver tratto giovamento e insegnamento anche dalla bizzarra e tragicomica notte appena trascorsa. Tra forbici in bocca, pensieri sconnessi, bombe carta, fialette analgesiche e corsie d’ospedale.

La verità è che non mi piace abbastanza. Nessuno. E che ho altre battaglie da combattere, al momento, che non siano disperarsi per amore, piagnucolare per l’imbecille che mi ha piantato in asso o lasciarmi trascinare nel nulla da stupidi miraggi di principi azzurri.

La verità è che non mi fido, abbastanza. No. Non posso fidarmi.

Non di un uomo.

E neanche di una splendida annata. Che, bene o male, è iniziata come doveva. Portandomi sfide infiocchettate e prove da superare.

Ero un codice bianco, al pronto soccorso. Il codice bianco è quell’urgenza che urgenza non è. Per la serie “per noi puoi anche morire”. Finché il dottore non mi si è avvicinato e, visti gli occhioni umidicci e rossastri mi ha chiesto

-perché piangi?-

-mi fa male- è stata la risposta con un broncetto da bambina con il ginocchietto che sanguina

-dài. Vieni. Starai meglio. Adesso ti facciamo la puntura.-

Io, le punture, le ho sempre odiate.  Come, adesso, odio gli uomini. E odio anche i sentimenti improbabili che scaturiscono da questa assurda e fantascientifica voglia di innamorarmi “a qualsiasi costo”.

Un codice bianco, probabilmente, anche questo.  Ma non voglio guarire. Il dolore me lo tengo e ‘fanculo. Come le meteore che hanno tempestato la mia vita di stronzate e imbecilli a breve e lunga scadenza… atterrati nel bel mezzo di un Regno deserto e senza nome.

Tanto, dottorini pronti a farmi la puntura non ce ne sono. E se pure spuntassero dal nulla, sarebbero per lo più ciarlatani o santoni farlocchi.

Insomma, 2011. Guardiamoci negli occhi.

Non mi piaci abbastanza. Come io non piaccio abbastanza a te.

Però, se vuoi, possiamo provare ad essere amici.

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Le zitelle e San Nicola

dicembre 06th, 2010 | Category: delirio,eventi,je so de barr

Zitella. Vacantina.

Single, direbbero gli amanti dello slang trendy (quella cosa che se al posto di merda dici letame, è chic).
La verità è che, dopo 14 anni sono stata abbandonata da quel bravuomo del mio fidanzato. Non starò qui ad analizzare le modalità della cosa. Non mi dilungherò in anateme e giaculatorie narrandovene le dinamiche. Anzi.

Mi auguro solo che quel bastardofetentedisgraziato si innamori perdutamente di una strafiga che gli stracci presto cuore e portafoglio. Con amore. Giuro.

Dato che il fenomeno “ti appartengo se ci tengo se non ci tengo vai a quel paese” spadroneggia e dilaga, lasciando nel panico le ultratrentenni di tutto il mondo, mi è parso giusto condividere con voi un miracoloso e taumaturgico rituale che, proprio nel ridente e soleggiato Capoluogo pugliese, è capace di restituire a numerose pulzelle in età da marito, il sorriso e la speranza (grazie, Pandora, per averla fatta uscire dal Vaso).

Io non sono scaramantica. Non lo sono mai stata. Non ho infilato la mano nella Bocca della Verità, non ho perso soldi lanciando monete in Fontana di Trevi, e passo regolarmente sotto le scale rompendo specchi durante l’attraversamento di gatti neri.

Però, fidatevi, un po’ di sana saggezza popolare da applicare in pratica, quando ci vuole ci vuole.

Anche perché quando arrivi a 33 anni, dopo un luuuuuuuuuungo fidanzamento che bruscamente frena in corsa, il minimo che può accadere è che l’airbag non sia lì a salvarti. Proiettandoti di faccia sull’asfalto senza tanti complimenti. E ciaociao al tuo futuro sentimentale se hai l’anima devastata di cicatrici.

L’ho sempre detto che San Nicola è un grande Santo. Lo spiegavo anche al buon Gigi passeggiando per la città vecchia, l’altro giorno. Ed è talmente grande che non solo i marinai baresi per appropriarsi delle sue ossa commisero un furto da Myra, tra mille peripezie e disavventure… ma fingiamo anche sia frutto del sole di Puglia la spettacolare abbronzatura che lo contraddistingue. Eccerto. Il NOSTRO, San Nicola di Bari.

The original.

La leggenda narra che il santo abbia provveduto alla dote di tre sorelle baresi, gettando nella loro casa un sacchetto per tre sere consecutive; le prime due sere andò tutto bene, ma la terza trovò le finestre chiuse. Dunque, gettò il sacchetto nel camino, dove erano stese le calze ad asciugare.

Per questo motivo, San Nicola è il protettore delle zitelle. Fosse stato San Gennaro sarebbe stata monnezza. Ma stiamo parlando di San Nicola. E nei sacchi c’erano soldi. Tanti soldi.

Perché se sei “vacante” (e quindi single) o hai i soldi, quelli veri, o fossi pure una top model, a 33 anni, non ti sposerà più nessuno.

Dettagli da non sottovalutare.

Tradizione barese vuole che al primissimo mattino del 6 dicembre di ogni anno le donne nubili (altrimenti dette Zitelle) baresi e non si rechino in pellegrinaggio da San Nicola per chiedere la grazia di maritarsi.

Con chi, poi, è relativo. Perché mi pare logico che dopo 14 anni di fidanzamento, convinta che quellolì sarà il padre dei tuoi figli e l’amore della tua vita, sceglierselo, non avrà più senso. Basterà solo che ci sia. Uno che sia uno.
Per non bestemmiare come camioniste all’ennesima partecipazione di matrimonio delle amiche nella cassetta della posta.
Perché loro si. E tu no. Estica. Scusate.

Ancora oggi, il giorno di San Nicola (il 6 dicembre appunto), le zitelle fanno tre giri intorno ad una colonna situata nella chiesa e gli chiedono di aiutarle a trovar marito .
Motivo per cui il santo viene raffigurato con tre palle d’oro, rappresentanti i tre sacchetti e anche per questi doni si consolida l’ormai celebre leggenda che vede la figura di Babbo Natale trarrebbe ispirazione da un santo realmente vissuto, San Nicola di Bari…

E non vi dico la fila. Anzi. Mi tocca scappare se non voglio perdere la priorità acquisita.

Aspettando la grazia.

San Nicola, pensaci tu.

P.S.: la colonna è un arcinoto simbolo fallico. Puro caso, vero?

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Da grande

dicembre 02nd, 2010 | Category: delirio,inside

Ah! Gli amici. Che grande invenzione.
Quasi come le chiacchierate in macchina. Quelle che sei nel traffico e, in qualche modo, il tempo, devi pure farlo passare. Si parlava con Giuseppe del cosa fare “da grandi”. Di “identità” più o meno segrete. Degli eventi che ti cambiano e che fanno cambiare direzione a un mucchio di cose. Di occasioni perse e afferrate. E robe così.

Insomma. Per farla breve.

La morale è che io, cosa voglio fare “da grande”, ancora non l’ho capito. Vedo un sacco di gente sul genere “l’importante è esserne convinti”. Mentre, a me, sinceramente, non convincono per niente.

E’ davvero così importante “esserne convinti” o convincere gli altri? Giornalisti convinti di fare informazione. Opinionisti convinti di fare opinione. Show-girls convinte di fare intrattenimento. Attori convinti di saper recitare. Politici convinti di poter fare il Paese. Scrittrici convinte di saper scrivere.

Convincere: ridurre alcuno con prove inconcusse ad ammettere o riconoscere chicchessia.

C’è stato un tempo in cui, da grande, volevo solo essere famosa. Firmare autografi. Finire sui rotocalchi. Oggi, per dirla con una canzone, l’impresa eccezionale è essere normale. E tanto mi basterebbe.

Senza il brusio antipatico e confuso della marmaglia che alza le palette per decretare quanto ci sono e quanto ci faccio.
Adeguata nelle situazioni pubbliche. Gradevole in quelle private.

E ho ripensato a Gobbolino, il gatto della strega. E a quanto dura sia la strada che separa un micio nero, bravo a far stelline dalle vibrisse, dal focolare domestico.

Allora ho deciso.

Da grande, farò il gatto di casa.

Non provate a fermarmi.

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