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Carmelo Musumeci

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Natale da ergastolani

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     Ogni anno ricevo moltissimi auguri di buone feste da parte di ergastolani sparsi nelle nostre “Patrie Galere”. E quest’anno ho deciso di rendere pubbliche, almeno in parte, tre di queste lettere. C’è chi pensa, infatti,che sia giusto tenere segregato un proprio simile per “correggerlo e redimerlo”. Queste brevi testimonianze dimostrano invece che una pena senza termine condanna il detenuto ad essere considerato, e a considerarsi, maledetto, cattivo e colpevole per sempre. Così, leggendo questi pensieri, è possibile riflettere più concretamente sulle proprie convinzioni ed iniziare a considerare che, forse, si sta sbagliando.
     È vero, molti di noi se la sono cercata. E forse è anche giusto che qualcuno di noi paghi e soffra all’infinito per il male che ha fatto, affinché la nostra sofferenza dia qualche sollievo alle vittime dei nostri reati. Forse è anche giusto il principio biblico: una vita per una vita o occhio per occhio dente per dente. Eppure non riesco a convincermi che ci sia giustizia in una pena che non finisce mai. Piuttosto penso che sia più certa e sicura per la società la “Pena di Morte” che la “Pena di Morte Viva”, cioè l’ergastolo.
In tutti questi anni di carcere mi sono spesso domandato perché la società continua a tenerci in vita se ci considera irrecuperabili e pericolosi fino alla fine dei nostri giorni. Non riesco a capire se lo fa in nome della giustizia, per vendetta o perché non vuole sporcarsi le mani di sangue. Forse, semplicemente, vuole dimostrare che le persone buone non uccidono (nel senso che non tagliano teste) ma preferiscono ipocritamente murare vive persone che ancora non sono morte e senza l’umanità di ammazzarle prima.

 


Caro Melo, come sai è difficile sentirsi vivi se si è ergastolani, perché è quasi impossibile sfuggire al nostro destino. Quale è il senso di una vita così? Ti ci aggrappi, la sopporti insieme a tutte le sue umiliazioni, per nulla. Melo, dobbiamo essere proprio dei folli a continuare a scontare una pena che non finirà mai. Mi raccomando, però: tu che ormai non hai più l’ergastolo ostativo, non ti stancare mai di combattere contro la “Pena di Morte Nascosta” come la chiama Papa Francesco. E continua a lottare anche per me perché io non ce la faccio più e già mi sono arreso perché questo è il trentaduesimo Natale che passo dentro. Ormai fuori non mi è rimasto più nessuno. Sono solo e a volte mi domando che cazzo spero un giorno di uscire, a fare cosa? (Carcere di San Gimignano)


Caro Carmelo, proprio oggi ho avuto la notizia, tra i detenuti, che è morto un vecchio ergastolano. Costui, di origine, era vicino a Napoli. Dico origine, perché quando siamo condannati all’ergastolo non abbiamo più paese e né diritti, siamo di proprietà dell’ergastolo. Questo vecchio aveva quasi 85 anni e si trovava dentro dal 1981. Ha vissuto tutti questi anni senza avere la speranza di morire fuori. E ho pensato che anch’io farò la sua stessa fine. Credo che quello che ti fa andare avanti nella vita sia l’incertezza, perché senza questa la vita diventa piatta. Ma purtroppo molti di noi sono certi che moriranno in carcere. Buon Natale. (Carcere di Porto Azzurro)

 

Caro amico, non mi piace molto perché è sciocco farsi gli auguri in carcere, ma “purtroppo” siamo vivi e la tradizione è questa. Sai, oggi pensavo che la vita di un ergastolano è diversa da quella delle persone normali perché sai quasi con esattezza dove morirai, cioè in carcere. Mentre il resto delle persone può sognare di morire sotto un cielo aperto, o in qualche incidente stradale, o nella propria casa circondato da qualcuno che gli vuole bene, noi invece moriremo chiusi in una cella da soli, come bestie. L’unica consolazione che ci rimane è che non abbiamo paura della morte perché temiamo più la vita. Con il passare degli anni ti sembra di non essere più umano e ti trasformi in una cosa fra le cose. (Carcere di Sulmona)

Carmelo Musumeci

Carcere di Padova Natale 2015

 


Diario dal 10 al 21 Dicembre 

10/12/2015
Dopo la lettera aperta a Roberto Saviano alcune persone mi hanno riempito d’insulti.
In fondo non faccio nulla di male se fra le sbarre continuo a esistere, pensare e scrivere e non capisco perché questo ad alcune persone là fuori dia fastidio.

11/12/2015
Per un ergastolano è difficile pensare a cosa gli accadrà in futuro, perché lo sa già.
E mi sono ricordato che quando mi avevano condannato alla “Pena di Morte Viva” avevo detto al mio cuore che non mi restava altro che la morte.
Lui mi aveva risposto che non era vero perché mi rimaneva ancora la vita.
E aveva ragione.

12/12/2015
Nella mia tesi ho scritto questa dedica:
Ai miei figli e ai miei nipotini.
Fin da subito capii che i posti per il paradiso erano per poche persone mentre l’inferno era aperto per tutti.
Fin da piccolo incominciai a deviare e giurai a me stesso che nella vita avrei lottato con tutte le mie forze per salire in paradiso.

13/12/2015
Per consolare un mio compagno che è stato da poco condannato all’ergastolo gli ho scritto:
Se pensi tutti i giorni e tutte le notti che non uscirai mai, la tua vita diventerà un incubo. Cerca di soffocare e cacciare via dalla tua testa questo pensiero, se non vuoi rischiare d’impazzire. Pensa a qualsiasi cosa per trovare un po’ di sollievo, anche l’ipotesi che un giorno verranno a liberarti gli extraterrestri.

14/12/2015
Durante un incontro con gli studenti nel progetto scuola carcere ho risposto a una ragazza che è difficile odiare il male quando te lo insegnano tutti i giorni.

15/12/2015
Oggi ho ricevuto una lettera da una detenuta, che mi ha raccontato di quando si è suicidato il marito (e padre di suo figlio) in carcere, che mi ha molto commosso.
Le sue parole mi hanno confermato ancora una volta quanto spesso sono disumani gli umani:
(…) Mia madre e mia zia che non vedevo da anni mi vennero a dire che Giampiero si era impiccato in carcere. Tre giorni prima nei sottotitoli del TG3 avevo letto una frase sfuggente, veloce, che mi aveva fatto venire i brividi: “Un altro suicidio in carcere”. Avevo pensato: “Non sarà mai il mio Giampy, fa che non lo sia.” (…)
Mi diedero il permesso d’uscita per gravi motivi familiari con la scorta. Non mi tolsero neanche le manette dai polsi. Non ero mai entrata in un obitorio. Erano dei mostri.
Aprirono uno di quei cazzo di orribili cassettoni frigoriferi davanti a me. Me lo portarono davanti agli occhi ancora chiuso nel sacco nero. Non l’avevano neanche vestito. Aprirono il sacco: era nudo, con i punti dell’autopsia sul torace fino al ventre che deturpavano il suo bellissimo tatuaggio tribale. Non mi tolsero le manette. Ho dovuto accarezzarlo con i ferri ai polsi. Non mi hanno neanche concesso la pietà di salutarlo come avrei voluto. Il suo collo era pieno di lividi. Odiai Dio. Odiai la vita. Odiai me stessa. Odiai la morte. Odiai tutto l’universo. Lo baciai sulle labbra. E gli dissi: “Perdonami. Ti amo.” Poi me ne andai.

16/12/2015
Nell’ora d’aria del pomeriggio un mio compagno, che è da poco in carcere, mi ha chiesto come ho fatto a stare dentro per tutti questi anni.
Gli ho risposto che vivere da uomo ombra, senza la minima speranza di cambiare la tua vita, è spaventoso. E che incredibilmente, grazie al dubbio di non farcela, sono riuscito ad andare avanti.

17/12/2015
Dopo la pubblicazione sul blog di Beppe Grillo della mia lettere aperta a Roberto Saviano continuano ad arrivarmi insulti.
Ho pensato che gli ergastolani più forti (o più deboli, a seconda dei punti di vista) si chiudono in se stessi e si privano di quasi tutti i sentimenti e sensazioni, perché i loro sogni perdono di significato. Altri ancora si trasformano in uomini ombra o in uomini invisibili, io ho preferito, per continuare a esistere, tentare di cambiare le cose scrivendo.
18/12/2015
Oggi ho spedito molti bigliettini di auguri a molti miei compagni in carcere.
Non mi piace molto perché è sciocco farsi gli auguri in carcere, ma “purtroppo” siamo vivi e la tradizione è questa.

19/12/2015
Oggi è il compleanno della mia compagna.
Ho pensato che il carcere nella stragrande maggioranza dei casi ti prosciuga tutto l’amore che avevi prima di entrare dentro.
Ti riduce a pezzi i sentimenti.
Ed io sono proprio fortunato ad essere ancora dentro al suo cuore e lei al mio.

20/12/2015
Ho ricevuto una lettera da uno sconosciuto che non ha avuto il coraggio di firmarsi e mi ha riempito di rimproveri solo perché lotto da tanti anni per l’abolizione dell’ergastolo.
Il suo obiettivo però l’ha raggiunto perché ci sono rimasto male e ho pensato che chi non commette reati in alcuni casi sa essere molto più cattivo di chi li commette.

21/12/2015
Un mio compagno mi ha scritto:
Caro Carmelo, proprio oggi ho avuto la notizia, tra i detenuti, che è morto un vecchio ergastolano. Costui, di origine, era vicino a Napoli. Dico origine, perché quando siamo condannati all’ergastolo non abbiamo più paese e né diritti, siamo di proprietà dell’ergastolo. Questo vecchio aveva quasi 85 anni e si trovava dentro dal 1981. Ha vissuto tutti questi anni senza avere la speranza di morire fuori. E ho pensato che anch’io farò la sua stessa fine. Credo che quello che ti fa andare avanti nella vita sia l’incertezza, perché senza questa la vita diventa piatta. Ma purtroppo molti di noi sono certi che moriranno in carcere. Buon Natale.

 


Lettera aperta di un ergastolano a Eugenio Scalfari 

 

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     Dottor Scalfari, ho letto da qualche parte che ha contribuito a fondare il settimanale “L’Espresso” ed è fondatore del quotidiano “La Repubblica”. Ho letto pure che alcuni suoi articoli hanno dato avvio a battaglie ideologiche-culturali, come quelle che hanno portato al referendum sul divorzio e sull’aborto. L’altra settimana, dalla mia cella, l’ho ascoltata alla televisione con interesse durante la trasmissione “Otto e mezzo” di Lilli Gruber.
     Le confido che sono rimasto molto colpito della sua commozione per la scomparsa del presidente del Partito Comunista Enrico Berlinguer e per il racconto dell’abbraccio con Pietro Ingrao. Questo sia perché con Pietro ho scambiato qualche lettera, sia perché fra gli uomini ombra (come si chiamano fra loro gli ergastolani) lui era molto famoso per avere dichiarato in una intervista “Io sono contro l’ergastolo prima di tutto perché non riesco ad immaginarlo”.
Credo che però, a questo punto, sia il caso di presentarmi: sono un condannato alla pena dell’ergastolo (o alla Pena di Morte Nascosta, come la chiama Papa Francesco), in carcere da ventiquattro anni (il mese scorso sono entrato nel venticinquesimo). Dalla mia cella, ormai da molti anni, sono un attivista della campagna “Mai Dire Mai” per l’abolizione della pena senza fine. Se vuole sapere qualcosa più di me può visitare il sito che porta il mio nome www.carmelomusumeci.com dove fra l’altro c’è una proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo (fra i primi firmatari c’è la compianta Margherita Hack, Umberto Veronesi, Bianca Berlinguer, Maria Agnese Moro, Don Luigi Ciotti, Stefano Rodotà, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, la famosa pianista Alessandra Celletti e tanti altri.).
     Caro Dottor Scalfari, dopo averLa ascoltata alla televisione e avere letto che ha una laurea in giurisprudenza, mi è venuta voglia di scriverLe per farLe alcune domande. Non credo avrà voglia e tempo di rispondermi ma, alla fine, mi sono deciso lo stesso perché penso che a volte le domande siano interessanti quanto le risposte. Sarei curioso di chiederLe cosa ne pensa della pena dell’ergastolo, soprattutto di quello ostativo, quello che se parli esci, se no stai dentro come nel Medioevo. Mi creda, alcuni rifiutano questa “via di fuga” soprattutto per proteggere i loro familiari.
     Dottor Scalfari, credo che la condanna a essere cattivi e colpevoli per sempre sia una pena insensata perché non c’è persona che rimanga la stessa nel tempo. Senza un fine pena certo, all’ergastolano rimane “solo” la vita; ma la vita senza futuro è meno di niente. Mi creda, con la pena dell’ergastolo addosso è come se la vita diventasse piatta perché non puoi più fare progetti per il giorno dopo nè per quello successivo. Il tempo dell’ergastolano è come se fosse scandito da una clessidra: quando la sabbia è scesa, la clessidra viene rigirata…e questo si ripete incessantemente, fino alla fine dei suoi giorni. Imprigionare una persona per sempre è come toglierle tutto e non lasciarle niente. Neppure la sofferenza, la disperazione, il dolore perché, con questa condanna, non si fa più parte degli esseri umani. Purtroppo con l’ergastolo la vita diventa una malattia. Ma la cosa più terribile che è una pena che non ti uccide e, ciò che è peggio, sotto un certo punto di vista, ti fa vergognare di essere un uomo. Alla lunga, infatti, ti fa diventare solo un corpo parlante. La condanna all’ergastolo assomiglia a una morte bevuta a sorsi, nell’oscurità e nel silenzio.
     Dottor Scalfari, un compagno a cui mancano un paio di mesi al fine pena, l’altro giorno si è confidato con me e mi ha detto che i secondi gli stanno sembrando minuti, i minuti ore, le ore giorni ed i mesi anni. Gli ho risposto: “Per fortuna io ho l’ergastolo e non ho bisogno di contare né i giorni, né i mesi, né gli anni, conto solo i capelli bianchi che mi stanno venendo”. Il mio compagno ha annuito. Poi ha amaramente sorriso. E alla fine abbiamo riso insieme, anche se non c’era nulla da ridere perché, con questa pena, la vita diventa peggiore della morte.
     Gli ergastolani più fortunati si creano ogni giorno un mondo interiore costruito sul sale di tutte le loro lacrime, perché spesso è meglio non avere speranza che nutrirne di false. Con la condanna all’ergastolo la vita non vale più nulla perché non ha più presente né futuro, ma solo il passato. È vero che ogni pena uccide almeno un po’, ma la pena dell’ergastolo uccide “di più” perché ammazza anche la speranza. Si potrebbe dire che l’ergastolano non vive, mantiene in vita solo il suo corpo. E ogni giorno in meno è sempre un giorno in più da scontare. Purtroppo, molti non sanno che la pena dell’ergastolo ci lascia la vita, ma ci divora la mente, il cuore e l’anima.
     La maggioranza delle persone è contaria alla pena di morte, ma con la pena capitale il colpevole soffre solo un attimo, con l’ergastolo invece il condannato soffre tutta la vita. Mi chiedo se, forse, questa forma di “vendetta” che nulla ha a che fare con la giustizia, possa soddisfare qualcuno, comprese le vittime dei reati che abbiamo commesso…
     A questo punto, caro Dottor Scalfari, chi è più criminale: chi uccide perché cresciuto in ambienti degradati, per potere, ignoranza, soldi, futili motivi, passioni morbose e malate, o chi lo fa in nome della giustizia o del popolo italiano, murando vive delle persone vive, senza neppure la compassione di ammazzarle?
     Se riterrà opportuno rispondermi, ne sarò felice e La ringrazio anticipatamente. Le auguro buona vita e con simpatia Le invio un sorriso fra le sbarre.

Carmelo Musumeci
Carcere di Padova, Dicembre 2015

 


 

Diario dal 6 al 9 Dicembre 

6/12/2015
Ho diffuso una lettera aperta a Roberto Saviano:
(…) Roberto, lo so che hai tanti nemici, ma se decidi di lottare contro l’esistenza della “Pena di Morte Viva” in Italia, ti avverto, ne avrai ancora di più perché lo Stato perderebbe il suo nemico su cui scaricare tutte le colpe e la mafia perderebbe i suoi affiliati perché, con la speranza di rifarsi una vita, molti uscirebbero dalle loro organizzazioni. Un sorriso fra le sbarre.

7/12/2015
Non sto più nella pelle dalla gioia perché mi hanno concesso un permesso premio di quindici giorni dal 23 dicembre al 6 gennaio da trascorrere a casa.
Non mi sembra vero.
E mi sembra di essere Ulisse che torna a Itaca, solo che lui per tornare a casa ci ha messo “solo” 20 anni.
Forse perché i tempi sono cambiati sic!
Spero che questo possa accadere presto a molti ergastolani.
Adesso devo aspettare che arrivi presto il 23 dicembre, spero che nel frattempo non muoio di ansia.

8/12/2015
Questa notte ho pensato che ho vissuto per così tanti anni senza pensare al futuro che adesso mi sembra strano pensarlo di nuovo.

9/12/2015
Mia figlia, dopo che ha ricevuto la notizia del permesso premio che mi hanno concesso, ha scritto sul suo profilo Facebook:
- Io e te… da sempre una cosa sola contro tutto… invincibili contro la speranza che ci avevano tolto… vincitori perché non ci saremmo mai rassegnati a vivere l’uno senza l’altra. Non importa quali difficoltà la vita ti metta davanti… vietato arrendersi, aspettare e compiangersi… siamo soltanto noi e la nostra determinazione gli artefici della nostra felicità! Divisi da sempre uniti dall’anima…
 


 

Lettera aperta di un ergastolano a Roberto Saviano

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Ho saputo che un altro detenuto s’è suicidato impiccandosi alle sbarre della sua cella. Ed ho pensato che quando sei circondato dalle tenebre, basta dare una spinta allo sgabello, una volta sola, per vedere un po’ di luce. Forse per questo è difficile non approfittarne. (www.carmelomusumeci.com )

Ciao Roberto, un amico, membro di uno dei tavoli degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale in corso in questo periodo, mi ha mandato un tuo articolo dal titolo “Saviano: dentro Poggioreale. Se questo è un carcere” e mi ha dato l’idea di scriverti per chiederti di darmi una mano a fare conoscere le nostre “Patrie Galere”, che i nostri governanti mal governano, perché tu hai più voce e luce di noi.

Prima di leggere l’articolo sinceramente ho pensato “Non gli scrivo, figurati se risponde ad un ergastolano, condannato pure per mafia”. Poi leggendoti ho iniziato a meditare di provarci.
Quando ho finito ho pensato: “Peccato che Roberto non sia un detenuto, perché con la sua intelligenza e coscienza sociale ci avrebbe potuto dare una mano a portare la legalità e l’umanità in questo inferno dantesco”.
Scusa, stavo dimenticando di presentarmi: mi chiamo Carmelo, sono attivo in rete, con un proprio sito personale curato da volontari. Sono dentro da più di ventiquattro anni e in tutti questi anni mi sono sempre impegnato per la legalità costituzionale in carcere, perché tutti abbiano un fine pena e per cercare di essere anche la voce degli altri compagni ergastolani, facendomi spesso promotore di diverse, pacifiche e costruttive, iniziative per l’abolizione dell’ergastolo. Una volta avevo letto in un articolo pubblicato su “La Repubblica” che anche tu eri favorevole all’abolizione della “Pena di Morte Viva” - come chiamo io la pena dell’ergastolo - o “Pena di Morte Nascosta”, come la chiama Papa Francesco.

Roberto, sarebbe importante se potessi tornare sull’argomento. In particolar modo su alcuni ergastolani arrestati giovanissimi, a diciotto, diciannove, venti anni, che hanno passato più anni della loro vita dentro che fuori. Molti di questi ragazzi sono stati usati, consumati e mangiati due volte, prima dai notabili del territorio di dove sono nati e cresciuti e poi dallo Stato centrale. A qualcuno di loro è stata messa in mano una pistola e, forse per paura o per cultura deviata, non hanno saputo dire di no.
Una volta dentro il carcere, sono stati sfruttati dai politici di destra, centro, sinistra e dalla lobby dell’antimafia. I primi per scopi e consensi elettorali, i secondi per motivi finanziari e mediatici.
Molti di questi giovani ergastolani sono nati già colpevoli e sfigati, sono stati usati come carne da cannone da tutti e molti di loro non si sono potuti permettere l’avvocato Buongiorno.

Roberto, io mi chiedo sempre più spesso: perché non dare una seconda possibilità a questi uomini entrati ragazzi, educandoli ad uscire dalla cultura criminale, offrendo loro l’alternativa di una cultura civile, dando loro un fine pena? Una pena senza perdono, senza speranza, senza un fine, una pena disumana come il carcere a vita senza possibilità di liberazione, non potrà mai rieducare nessuno. Se vuoi veramente punire un criminale, perdonalo o dagli una speranza. Se invece lo vuoi fare sentire innocente tienilo dentro e butta via la chiave.
Roberto, lo so che hai tanti nemici, ma se decidi di lottare contro l’esistenza della “Pena di Morte Viva” in Italia, ti avverto, ne avrai ancora di più perché lo Stato perderebbe il suo nemico su cui scaricare tutte le colpe e la mafia perderebbe i suoi affiliati perché, con la speranza di rifarsi una vita, molti uscirebbero dalle loro organizzazioni.
Un sorriso fra le sbarre.


Carmelo Musumeci
Carcere di Padova dicembre 2015

 


 

 Recensione di un ergastolano
al libro “A modo mio” di Francesco Coccia

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Ho pensato alla visita che ci ha fatto ieri l’onorevole Laura Coccia del partito democratico. Sono rimasto colpito dalla sua giovane età e dai suoi problemi di disabilità. E soprattutto della sua sensibilità. Mi ha ascoltato con grande attenzione e a tratti il suo silenzio mi ha trasmesso tanto amore sociale. Ed era da tanto tempo che non sentivo più questa energia affettiva che mi ha riscaldato il cuore e la cella per tutto il giorno. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)

Vivere in pochi metri quadri con delle sbarre dietro e un cancello davanti non è facile. Per fortuna leggo molto. E leggere per me è come vivere perché dentro i libri trovo ancora tutto quello che mi serve per continuare a esistere. Alcuni miei compagni mi prendono anche in giro perché ho sempre un libro in mano anche durante l’ora d’aria.
In questi giorni ho appena finito di leggere un bellissimo libro dal titolo: “A modo mio”. Sottotitolo: “Laura non cammina, corre” (Editore Sempre). L’autore è Francesco Coccia e scrive di sua figlia affetta da tetraparesi spastica per una infezione contratta dopo la nascita. È un libro da divorare con gli occhi e mangiare con il cuore. Nella copertina c’è una bellissima foto di Laura con un’espressione determinata sul viso che emana un’ energia che ti penetra dentro. Dietro la copertina del libro ci sono scritte queste parole:

Te lo aveva detto una volta mamma Luci, mentre aspettavamo che cominciasse lo spettacolo del circo. Vedendo gli altri bambini che correvano lungo le corsie tra le panche, avevi chiesto: “Mamma, correrò pure io come loro?” Recuperando il cuore dall’abisso in cui era sprofondato, mamma Luci ti aveva risposto: “Certo! A modo tuo”.

E Laura ha corso. Ha corso così veloce e tanto che è arrivata più lontano di quello che in pochi avrebbero immaginato “Alle elementari le mie maestre erano spaventate dal mio essere così diversa dagli altri. Il mio equilibrio precario era un pericolo: avrei potuto farmi male quindi dovevo state ferma, immobile, ad osservare la vita dei miei compagni di classe che correva via su un binario parallelo alla mia. Sognavo di correre, di volare per guardare il mondo dall’alto, per cambiare prospettiva e uscire dalla prigione. Non avevo amici perché ero quella diversa e quindi da evitare”.
Laura, alle elezioni politiche del 2013, viene eletta deputata della Camera dei Deputati. L’ho conosciuta, durante una sua visita da parlamentare, dentro l’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) di Padova. Consiglio a tutti di leggere questo bellissimo libro (soprattutto gli avanzi di galera e della società come me) perché è pieno di sentimenti e ti lascia un’ impronta nel cuore che ti farà amare di più l’umanità.

Carmelo Musumeci

Carcere di Padova Dicembre 2015

 


 

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Buon compleanno dagli ergastolani
al Prof. Umberto Veronesi per i suoi novant’anni


La cosa più brutta del carcere che hai tante cose da pensare e niente da fare. (Diario di un ergastolano)

Umberto Veronesi nel libro “Il mestiere di un uomo” (Einaudi, 2014) mi ha dedicato un intero capitolo dal titolo “La pena di morte viva. Storia di un uomo ombra”. Inoltre, insieme a Margherita Hack è uno dei primi firmatari della proposta di iniziativa popolare per l’abolizione della pena dell’ergastolo sul sito www.carmelomusumeci.com.

Anni fa mi aveva scritto questa lettera:
Milano, 5 dicembre 2011 Prot. N. 611/11 -
Caro Musumeci, desidero ringraziarLa per la Sua gentile lettera. Con queste poche parole voglio esprimerLe la mia solidarietà e condivisione alla sofferenza morale che implica la vita da ergastolano ostativo. Una pena terribile, che ogni paese civile vorrebbe abolire, in quanto non è molto diversa dalla pena capitale perché di fatto toglie oltre che la libertà di agire anche la libertà di pensare e di progettare. Sono viceversa convinto che ogni uomo, anche colui che ha commesso la più terribile delle azioni portandosi un enorme fardello sulla coscienza, attraverso un importante percorso interiore possa riscattare la propria esistenza con il ravvedimento. In ragione di questo mio pensiero e dei diritti dell’uomo, ho intenzione di dedicare la futura edizione di Scienze for Peace all’abolizione dell’ergastolo. RingraziandoLa per la Sua testimonianza, mi creda. Umberto Veronesi.

Il 28 novembre 2015 il Professore compie novanta anni ed ho pensato da dentro le mura della mia cella di fargli gli auguri di buon compleanno a nome mio e di tutti gli ergastolani delle nostre “Patrie Galere”.

Caro Professore, ho ancora la Sua lettera attaccata alla parete della mia cella perché ho sempre pensato che mi avrebbe portato fortuna. E incredibilmente così è stato. Da circa un anno da “uomo ombra” sono passato a “uomo penombra”. Grazie a una sentenza della Corte Costituzionale sulla “collaborazione impossibile o irrilevante” dall’ergastolo “ostativo” sono passato a quello normale (che tanto normale non lo è) che mi sta dando la possibilità, dopo oltre ventiquattro anni di carcere, di poter usufruire di brevi permessi da passare con i miei familiari, ma purtroppo nel mio certificato di detenzione continua ad essere scritto che la mia pena finirà nell’anno 9.999. Come è facile prevedere quello sarà un anno che non vedrò mai arrivare.
Caro Professore, Le confido che con il trascorrere degli anni la speranza mi si era assottigliata e avevo imparato a fare il morto perché non mi aspettavo proprio più nulla dagli umani. Nell’arco di questi ventiquattro anni per sopravvivere avevo studiato molte strategie mentali per stare nel mondo delle ombre, ma, anche se adesso la mia personale posizione è cambiata, non potrò mai essere del tutto felice fin quando qualsiasi prigioniero non avrà un fine pena e un calendario in cella.
Caro Professore, dopo di Lei anche Papa Francesco s’è scagliato contro la pena dell’ergastolo definendola “Pena di Morte Nascosta”, ma gli uomini ombra hanno ancora bisogno della Sua voce e della Sua luce per tentare di cancellare nel cuore degli umani e nel nostro ordinamento giuridico la pena più crudele che un uomo possa dare e ricevere: la condanna alla “Pena di Morte Viva”.
Caro Professore, Le invio fra le sbarre un sorriso e tanti auguri di buon compleanno, da me e da tutti gli ergastolani. Buona vita.

Carmelo Musumeci
Carcere di Padova novembre 2015

Da “Il mestiere di uomo” di Umberto Veronesi

Ed. Einaudi 2014

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Da pag. 119: La pena di morte viva. Storia di un uomo ombra  

Buon compleanno amore.
Eccoti anche quest’anno la mia lettera di Buon compleanno.
E con questa sono ventidue.
Lo so!
In tutto questo tempo non è stato facile starmi accanto.
Eppure ci sei riuscita.
E per tutti questi anni sei stata l’energia del mio cuore e dei miei pensieri.

Buon compleanno amore.
Lo so!
È stato difficile amarmi.
E lo hai fatto senza chiedere nulla in cambio.
D’altronde un uomo ombra non può più dare nulla alla compagna che ama.

Buon compleanno amore.
In questi 22 anni mi hai fatto esistere grazie al tuo amore.
E hai sempre sussurrato al mio cuore:
-I sogni a forza di crederli diventano veri.
Dopo tutto il tempo che è passato e con un fine pena nel 9999 è difficile crederlo ancora.
Io non ci credo più, ma il mio cuore continua a crederci ancora.

Buon compleanno amore.
È stato facile amarti.
Ti amavo ancora prima di conoscerti.
Impossibile è stato smetterlo di farlo.
E mai lo farò.

Buon compleanno amore.
Si può imprigionare un uomo per tutta la vita.
E divorargli tutti i suoi sogni.
Non si può però impedirgli di amare.
Ed io ti amo.

Buon compleanno amore.

 

Questa lettera è stata scritta e spedita dal carcere di Padova, il 19 dicembre 2012, da Carmelo Musumeci, uno dei condannati in Italia all’ergastolo ostativo (non ci sono dati ufficiali ma si stima che siano circa mille) cioè alla pena di reclusione senza fine che condanna a morire in prigione.

Non ho mai conosciuto Carmelo di persona. Ho ricevuto la sua prima lettera il 5 ottobre 2011, e da quel giorno me ne sono state recapitate molte altre. Devo confessare che non risposi subito al suo primo messaggio: “Perché mai quest’uomo si rivolge proprio a me per domandare aiuto?” mi chiesi. Non sono un politico né un giurista che può intervenire sulla sua pena, e neppure una star che può diventare un testimonial per far uscire la sua storia dal silenzio di una cella e gridare all’ingiustizia. La lettera rimase per diversi giorni sulla mia scrivania, fra i “sospesi”, qualcosa mi impediva di archiviarla.
In realtà il disagio dei nostri detenuti è un tema che mi sta molto a cuore. Quando nel 2000 ero ministro della Sanità, insieme a Pietro Fassino, allora ministro della Giustizia, mi ero occupato della situazione delle carceri dal punto di vista sanitario e umano. Poi, al termine di quell’incarico durato poco più di un anno, avevo deciso di tornare a occuparmi dei miei malati di cancro e della ricerca scientifica. Perciò fu grande il mio stupore per essere stato contattato da un carcerato dieci anni più tardi. Rileggendo più volte le sue parole, mi resi tuttavia conto che Musumeci non parlava di sé o per sé, ma mi chiedeva di cercare di capire il perché si era fatto portavoce degli “uomini ombra”, come si autodefiniscono questi detenuti speciali.

Sono un uomo ombra, un ergastolano ostativo, senza nessuna possibilità di speranza di uscire dal carcere se non metto un altro in cella al posto mio… L’altro giorno, sul “Corriere della Sera” di lunedì 26 settembre, ho letto un suo sensibile e interessante articolo. E mi hanno colpito queste parole: “È stato ampiamente dimostrato che il cervello si rigenera e si riplasma e dunque la persona che è stata uccisa pochi giorni fa non è la stessa che ha progettato un crimine anni prima”. Anch’io non sono più la persona di vent’anni fa, eppure continuo a scontare la pena di chi ero prima, fino alla fine dei miei giorni, sempre in galera… Ho pensato di chiederle aiuto per fare conoscere che in Italia esiste la “Pena di Morte Viva”, che invece che da morto si sconta da vivo.

L’articolo del “Corriere” a cui si riferiva Musumeci era un mio commento all’esecuzione di una condanna a morte appena venuta negli Stati Uniti. L’opposizione della pena di morte è stata una dei primi punti del programma d’azione del movimento internazionale Scienze for Peace. I venti premi Nobel e tutti gli uomini di scienza e di pensiero aderenti al movimento sono contrari a ogni forma di violenza, soprattutto se istituzionalizzata. Prima fra tutte la pena di morte perché è un omicidio di Stato che legittima l’assassinio: “Se lo Stato uccide, lo posso fare anch’io”, si potrebbe dire.
Per questo l’idea dell’esistenza in Italia di una pena di morte alternativa non può certo lasciarmi indifferente.
Così iniziai a documentarmi. Scoprii che esiste, soltanto in Italia, una forma di ergastolo definito appunto “ostativo” perché osta, cioè vieta, qualsiasi possibilità di modificare la pena indipendentemente dal tempo di reclusione e dai comportamenti della persona. Questa pena è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 1992 per contrastare le stragi di mafia, e in sostanza nega ogni misura alternativa al carcere (come le sanzioni) e ogni beneficio penitenziario (per esempio i premi o le licenze per buona condotta) a chi è stato condannato per gravi reati associativi di stampo mafioso. In pratica un comune cittadino che ha violentato e ucciso donne o bambini ha la possibilità di uscire dal carcere dopo venticinque anni di reclusione -se dimostra di essere riabilitato-, mentre un mafioso che ha ucciso qualcun altro in uno scontro tra mafiosi, potrà uscire soltanto se decide di collaborare con la giustizia, facendo il nome di altri colpevoli. Esce cioè di prigione solo chi fa rinchiudere per sempre un’altra persona al suo posto.
Carmelo Musumeci potrebbe fare non uno ma molti nomi, e uscire a riabbracciare il suo grande amore, che dopo ventidue anni ancora gli ispira poesie, i suoi due figli, Barbara e Mirko, e i due nipotini, Lorenzo e Michael. Ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto durante questi ventidue anni - e tutto fa pensare che mai lo farà- e ha scelto invece di lanciare dalla sua cella-tomba una campagna di sensibilizzazione per l’abolizione dell’ergastolo ostativo. Una battaglia sicuramente impopolare, per i più anche incomprensibile e astrusa (io stesso non conoscevo il significato reale di “ergastolo ostativo”) – e con pochissime possibilità di successo in un paese che sembra essere sordo a qualsiasi grido d’aiuto che provenga dalle carceri.
Tra sovraffollamento e suicidi, le prigioni italiane offrono un quadro drammatico: il numero totale dei detenuti risulta pari a circa 68000 (anche se alcune stime indicano quasi 23000 presenze in più rispetto ai dati ufficiali), a fronte di una capienza regolamentare di circa 45000; negli ultimi tredici anni, ha fatto sapere l’associazione Ristretti Orizzonti, si sono verificate 2235 morti in carcere, di cui 800 suicidi.
Non è questo degrado inumano però che Musumeci vuole denunciare: il suo impegno è dedicato a una giustizia più equa. Ma come può un assassino (anche se si è sempre dichiarato innocente) implicato in questioni di mafia, chiedere una giustizia migliore?
Ho deciso di informarmi sulla sua vita. Carmelo è nato in Sicilia, ad Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania, nel 1955, ma ha lasciato la Sicilia all’età di sei anni quando la famiglia si è trasferita in Toscana, vicino a Viareggio. In Toscana gestiva bische clandestine e traffico di stupefacenti ed era considerato il capo di un clan che era entrato in conflitto con altre bande rivali, innescando una catena di omicidi e vendette. È stato arrestato durante un blitz tra Pisa, Livorno, Pistoia, Lucca, Massa, La Spezia e Montecatini, in cui sono state arrestate altre decine di persone. È entrato in prigione a 35 anni, con una condanna per omicidio e associazione mafiosa.
A quei tempi aveva solo la licenza elementare, ma durante la reclusione all’Asinara ha completato le scuole superiori; nel 2005 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza e nel 2011 la laurea magistrale in Diritto Penitenziario, con una tesi dal titolo La pena di morte viva: ergastolo ostativo e profili di costituzionalità.
Ho capito subito, dalla forza delle sue parole, che era un bravo scrittore e ho iniziato a cercare i suoi testi nei siti e nelle riviste che si occupano di carcere. Nel 2010 ha scritto su un blog:

La mia storia giudiziaria è semplice, lo dice la motivazione di condanna che mi ha condannato per un omicidio alla pena dell’ergastolo, che, nonostante la grande differenza fra verità vera e quella processuale, ha stabilito: “In un regolamento di conti il Musumeci Carmelo è stato colpito da sei pallottole a bruciapelo, salvatosi per miracolo, in seguito si è vendicato e per questo è stato condannato alla pena dell’ergastolo”. In molti casi non ci sono né vittime, né carnefici, né in

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