Paolo VI, l'audacia di un Papa

[photopress:PaoloVIcopertinaSmall.jpg,full,alignleft]Questo è l’intervento che il prof. Andrea Riccardi ha pronunciato in occasione della presentazione della mia biografia di Papa Montini (Paolo VI. L’audacia di un Papa, Mondadori) che si è svolta all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, Palazzo Borromeo, il pomeriggio del 15 settembre 2009. Con Riccardi sono intervenuti il cardinale Attilio Nicora e il sottosegretario Gianni Letta.

[photopress:andrea_riccardiok.jpg,full,alignright]Sono contento di discutere qui questo volume di Andrea Tornelli, in questa bella sede dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede che, per iniziativa dell’ambasciatore Zanardi Landi, che conosco da tanti anni (da quando ritornava dall’Iran), è divenuta anche un polo culturale: ché di cultura, di riflessione storica e di profondità pensosa ha tanto bisogno il nostro tempo agitato e poco concludente. Inoltre le persone con cui discuto questo libro, per il loro vissuto rappresentano due luoghi decisivi per la maturazione di Giovanbattista Montini, Roma, che il dottor Letta conosce e rappresenta dall’interno nella sua complessità, e Milano, da cui viene il card. Nicora, il mondo in cui Montini è pastore. L’altro polo è Brescia, non solo la terra della sua famiglia e dei suoi studi, ma una brescianità che egli porta dentro. Andrea Tornelli è arrivato prima degli storici universitari a scrivere una biografia che mancava. L’ha fatto da storico, non –come diciamo talvolta con un pizzico di superiorità e forse di invidia, noi universitari- da giornalista. Infatti, nonostante le egregie cose fatte dall’Istituto bresciano Paolo VI, la figura di questo papa è poco conosciuta, quasi un vuoto storiografico. Come scriveva una volta il mio amico Alberto Melloni in modo un po’ impenitente, schiacciato dall’enorme Giovanni Paolo II e da Giovanni XXIII. Questa battuta fece dispiacere mons. Macchi, il quale però lamentava con me che non si conoscesse il suo papa. Un pontefice non facile da conoscere in un tempo di terribili semplificatori, perché complesso, articolato, variegato, non grande comunicatore. Non che papa Montini sia stato murato nell’ufficio, ma non era uomo dei gesti televisivi, quanto piuttosto dei simboli: sì, a questi teneva tanto con finezza. Si pensi all’abbraccio a Gerusalemme con Atenagora, patriarca di Costantinopoli, divenuto simbolo di una svolta tra le Chiese d’Oriente e d‘Occidente. O il bacio alla terra di Milano. Oppure lo spogliarsi della tiara papale da parte del papa e via dicendo. Tornielli accetta la complessità, la ricostruisce nelle sue sfaccettature, anche con la ricca documentazione che c’è nel volume, come le carte del card. decano, Tisserant. Il volume è costruito con diciotto capitoli, che sono focalizzati su diversi e successivi periodi della vita di Montini, dalla giovinezza alla fine del pontificato. Si tratta di una ricostruzione che non semplifica o riduce ad alcuni tratti essenziali questa personalità. Ma ne dà conto come di un prete, un italiano, un papa complesso. E’ a mio avviso la scelta giusta, seria, documentata, l’unica che corrisponde alla realtà storica dell’uomo e del suo governo. Il suo –dice Tornelli- è un “percorso atipico”. Lo è fin dal seminario mancato per ragioni di salute, per la forte influenza politico-culturale della famiglia, per il legame con gli oratoriani, come p. Bevilacqua, il senso della cultura. C’è in lui qualcosa di un cattolicesimo liberale manzoniano, pacificato con Roma papale: era invece quello che i suoi avversari in Curia consideravano essere una specie di giansenismo (lo ricordo sulla bocca del card. Palazzini). Quando viene a Roma, giovane sacerdote, non è uno sprovveduto: lo si vede dai giudizi sulla politica, ma anche sull’ambiente ecclesiastico romano, contenuti nelle sue lettere.Non è un prete politicante, tanto che in alcuni momenti si scontra con l’ambiente curiale e il card. Vicario, Marchetti Selvaggiani, un personaggio dal fiero cipiglio, che gli rimprovera liturgismo e protestantesimo nella sua impostazione della FUCI. Ma è un politico, nel senso che ha uno spiccato senso della realtà e del possibile. E’ un Sostituto della Segreteria di Stato d’eccezione (dal 1934 al 1954), a cui ascrivere tante imprese importanti. Una politica di grande rilievo, come l’affermazione della DC di De Gasperi, che non nasce ma diventa partito della Chiesa per opera sua, come scriveva acutamente Pietro Scoppola, il primo che ha indagato su questi complicati rapporti. E Tornielli offre documentazione ulteriore in questo senso: Montini è un riservato cofondatore della DC degasperiana.E’ anche l’uomo accanto a Pio XII che gestisce da vicino la vicenda della guerra, anzi quella dell’ospitalità ad ebrei e ricercati nei luoghi della Chiesa, con quel misto di prudenza e di impazienza che lo caratterizzano. E qui una parola sul suo rapporto con Pio XII, intimo, stretto, fedele, impaziente verso il mondo romano e curiale che circondava il papa. E il tema porta a parlare dell’ ”esilio” da Roma che Tornelli ricostruisce accuratamente, racchiudendo il dolore di Montini in una sua espressione: “purché sia la volontà di Dio procedo ad occhi chiusi”. Sottolineo il purché. Infatti, da anni, il mondo curiale -e si potrebbero citare il card. Ottaviani, il card. Pizzardo, Palazzini, p. Lombardi e tanti altri- avevano individuato nel prelato bresciano un alieno nel proprio ambiente. E’ quello che ho chiamato il “partito romano”, un amalgama all’insegna della tradizione e della continuità, radicata nei dicasteri, italiana, per cui Montini era pericoloso. Mi disse il card. Ottaviani: “era una macchina da lavoro”. Era forte della fiducia del papa e quella fiducia andava incrinata. Molto bene Tornelli ricostruisce la vicenda dell’esilio, dando corpo ad un’ipotesi che, tra i motivi di sfiducia, ci fosse qualche iniziativa non autorizzata verso l’Est comunista. Montini manifestò impazienza verso un atteggiamento negativo verso l’Est, non per filocomunismo, ma per la sua preoccupazione per la condizione dei cattolici. Tuttavia l’esilio –perché così fu vissuto- divenne anche la promozione a Milano nella volontà di Pio XII. La Pira capì il significato prospettico dell’operazione, ma non Montini che era solo abbattuto, come raccontava p. Gabbani. In realtà –lo si vede nel volume- Milano fu una grande esperienza che solidificò quelle che erano le intuizioni maturate in vent’anni di servizio a Roma. Da intellettuale trepido, da abile tessitore del governo centrale della Chiesa, maturò in lui la figura di un “principe riformatore”, quale sarebbe stato poi da papa e con il Concilio. Un Concilio che nella sua vaghezza, all’inizio, lo lasciava perplesso. Tornelli usa l’espressione “vespaio…”Non posso qui percorrere tutte le pagine di questo libro, belle e interessanti. Debbo dire che in Montini si trova la volontà di assumersi in prima persona la responsabilità di governo. Nota uno studioso laico, Alphonse Dupront- “la probità del suo genio tormentato”. Soprattutto c’è un genio tutto italiano del governo della Chiesa: c’è un principio italiano di moderazione, di sintesi, di attenta valutazione della realtà, di equilibrio, senso dell’universalità, che rifulge in un uomo che viene da una tradizione familiare di servizio politico, da una tradizione intellettuale raffinata, da una cultura ecclesiastica italiana aperta alla mondialità. Ho trovato un’interessante definizione del “genio italiano” in un discorso di Michail Gorbačëv al Campidoglio nel 1989, prima della storica visita a Giovanni Paolo II: “…dove sta la fonte della forza magica del principio italiano? Sembra stare nella sua universalità, nella capacità di penetrare tutti i lati dell’esistenza… Sta anche nel pluralismo innato, nell’aspirazione a capire qualsiasi punto di vista, nel rifiuto del dottrinarismo… Ma più di tutto sta nell’umanesimo, dove la misura di tutte le cose, alfa e omega, di tutto l’esistente è l’uomo”. Paolo VI mostra l’esistenza di questo genio italiano, sviluppatosi come capacità di sintesi nel governo di una Chiesa sempre più globalizzata. Questo genio si sposa alla realtà di una Chiesa, come quella cattolica che ha bisogno, per sua natura, di essere governata. Montini credeva nella funzione del governo: pativa sulla scelta dei nomi giusti pe
r le nomine. Aveva il senso –come si vede dalla politica delle sue nomine, una volta papa, ma già da prima con la formazione dei giovani nella FUCI- della creazione di una classe dirigente. I suoi tempi sono lontani. La sua lotta al partito romano e a una Curia che resisteva ad una prospettiva riformatrice, ma –lo storico deve dirlo- aveva una sua personalità. Montini credeva nella Roma dei papi, ma ne voleva una più grande di quella che i romani gestivano. Per lui doveva essere un centro internazionale. Parlando nel 1933-34, in un corso ai giovani diplomatici vaticani, osservava: “la necessità dell’azione diplomatica della Chiesa Romana. Essa è necessaria, non tanto alla sua intima costituzione, quanto alla sua esterna comunicazione con i popoli. Dove la fede… abbisogna di contatti efficaci e pacifici con le nazioni, l’azione diplomatica entra in campo naturalmente. E dove, come nel tempo da noi osservato, necessità sociali fondamentali reclamano la carità della Chiesa e le impongono un intervento a favore proprio e della civiltà, di nuovo abbiamo un’azione diplomatica non solo legittima, ma provvida, ma benefica”.
Il suo era un grande disegno riformatore, che abbracciava la Curia, gli episcopati, la diocesi di Roma, per una Chiesa capace di risalire lo svantaggio della modernità secolarizzante con una nuova capacità di parlare agli uomini di Dio e del Vangelo. La riforma del principe, però, viene travolta dal ’68, dal movimento molecolare di base e di contestazione, irrequieto, soggettivo, utopico e apolitico. Dal 1968 si snodano lunghi anni di impopolarità sulla stampa e anche nella Chiesa… E’ un duro tempo di crisi. Mi disse un intimo di Paolo VI, mons. Manziana: “ci avessero fatto lavorare in pace, avremmo potuto riformare la Chiesa fino in fondo”. Mai una crisi così grande aveva scosso la crisi cattolica, che non fosse provocata dall’esterno negli ultimi secoli…Tornelli cita il famoso discorso del 1972 in cui Montini afferma: “di avere la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di  Dio. C’è il dubbio, c’è l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida della Chiesa… E’ entrato  il dubbio nelle nostre coscineze ed è entrato per le finestre che invece  dovevano essere aperte alla luce… Anche nella Chiesa regna questo stato di incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buoi, di ricerca, di incertezza…”[1].Eppure, nel fondo della grande crisi, Paolo VI coglie segni anche piccoli di vitalità religiosa. Che rappresentavano, ad esempio, i pentecostali cattolici che il card. Suenens (un tempo appassionato di riforme strutturali) conduceva dal papa? Che significava quel fervore popolare per il Giubileo del 1975 che Paolo VI aveva voluto tenere nonostante le forti obiezioni? Dupront osserva come il papa abbia realizzato un grande successo in un Giubileo di intensa comunione: “Il senso spirituale di Paolo VI, la sua penetrazione nelle profondità dell’anima umana, il suo coraggio e la sua romanità, lo slancio delle folle che si infrangono a milioni in una Roma sorpresa, stupita, perfino scossa, hanno testimoniato… che forti e solide radici tengono sempre, innestate nella profondità dell’anima collettiva”. Papa Montini aveva colto, nel cuore della crisi, i segni di un futuro diverso, la forza delle radici, le potenzialità dell’avvenire. La secolarizzazione non avrebbe disperso il cattolicesimo. Ma bisognava badare all’essenziale. Paolo VI aveva creduto nella riforma e nel governo per una più incisiva evangelizzazione. La crisi aveva provato questa certezza. Si tratta di un bel libro, ampio, solido, che mosta la figura di un grande papa, ma anche quella di un italiano di genio.


[1] A.Tornielli, Paolo VI, Milano 2209, p. 560.

Una risposta a Paolo VI, l'audacia di un Papa

  1. spacer Emilia Barozzi Gandini scrive:
    29 aprile 2011 alle 08:15

    Vado immediatamente a cercare questo libro, ritengo che Papa Montini sia stato colui che ha reso possibile l’apertura della Chiesa di oggi, grazie Andrea Tornielli! Milli Gandini