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venerdì 3 febbraio 2012

Capire e far finta di capire

Che la strumentalizzazione in Italia sia ormai moda, anzi costume, collaudato e incrostato, ormai mi è chiaro da tempo. Così come mi è chiaro, che anche l'ignoranza, la stupidità, il qualunquismo e la superficialità, lo sono altrettanto. 
Incrostazioni sociali, difficili da togliere. 
Il caso Monti-monotonia, ne è l'esempio lampante. Beceri soggetti, che sbraitano, scrivono, disegnano, a destra e a sinistra. Con l'istinto, quello che spesso ci salva da situazioni tragiche: ma che altrettanto spesso diventa prosciutto negli occhi della saggezza. Immagine metaforica da attacco di fame metàmattutino, ma che sta a significare, che è quell'istintività nelle reazioni - unita ad un'abbondante dose di pressappochismo - che ci fa esternare spesso a vanvera. Spinti dal mucchio, accodati e contenti. 
Pensate.
E semmai non volete pensare, almeno fermatevi un attimo ad ascoltare. E' più facile e - personalmente, che si dice anche imho - si evitano diverse figuracce...
Ecco cosa ha detto Monti. Dopo quei tre secondi che avete sentito tutti e di cui vi siete accontentati.
"I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso tutta la vita.
Del resto diciamo la verità che monotonia un posto fisso tutta la vita. E' più bello avere delle sfide: purché siano in condizioni accettabili.
E questo vuol dire che bisogna tutelare un po' meno chi oggi è ipertutealto e tutelare un po' di più chi oggi è quasi schiavo del mercato del lavoro, chi proprio non riesce ad entrarci.
[...]
Nella riforma sulla quale il Min. del Lav. Fornero e tutto il Governo è impegnato - nella riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali - la finalità, direi la finalità principale, è quella proprio di ridurre la terribile apartheid -chiamiamo le cose con il loro nome - tra chi per caso, per caso o per età, è già dentro e chi - giovane - non entra o se entra, entra in condizione precaria.
Noi vogliamo ridurre il divario, tra questi due tipi di tutela
"
Il discorso è un po' più ampio, mi pare. O no?!
Certo che uno Stato serio, fatto da cittadini seri, dovrebbe garantire sicurezza e stabilità, allo stesso modo con cui favorisce l'intraprendenza e lo spirito d'impresa. Ma il discorso è diverso, più grande e adesso non mi va di affrontarlo. Di sicuro, il nostro Stato, non garantisce né l'uno né l'altro. 
Il nostro è uno Stato retrogrado e retrogressivo, fermo, immobile anzi, che mira al mero mantenimento di uno status quo. Ancora meglio: di un livello leggermente sotto lo status quo - ci accontentiamo facile, noi.
Detto ciò, uno Stato serio è fatto da cittadini seri, come ho detto: e la serietà si valuta anche sulla volontà e sulla capacità di approfondire, di ascoltare e di capire, di non lasciarsi abbindolare, di smettere di fare il tifo, e via dicendo. Cose che in Italia, per una ragione o per l'altra, restano sempre più latenti.


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mercoledì 1 febbraio 2012

Made in yourself

Spunto dallo spunto datomi - che brutto modo di dire: "datomi" è davvero una brutta parola. Mi fa venire in mente quei completi marroni, abbinati con camicie in tono e cravatte ad improponibili righe. Americani porta-a-porta, tipo -  da Daniele, per scrivere qualcosa di confuso...premessa per dire che questa, semmai, potrebbe essere una bozza. 
Il movimento: Made in yorself. 
Il nome è figo. Nel senso che quel "Made in..." che adesso va tanto di moda - ma anche di modo -, con a fianco quel "yourself" mi piace, parecchio. Non credo che vi interessi sapere perché, quindi vi dico che mi piace e basta: e me ne sbatto se tanti vorrebbero sostituire quel "mi piace" con qualche altro termine o locuzione, perché "basta co'sto facebook....e non facebookkiamo il linguaggio..." e menate varie. "Mi piace" si dice così: quando appunto una cosa ti piace. E' italiano, e io lo uso.
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foto di Matteo Manfredi - dal blog di Daniele
Lascio a voi commenti in merito alla foto. Non conosco personalmente Matteo Manfredi, ho visto parecchie foto sue e devo dire che mi piacciono - sìììì! Continuo ad usarlo - come mi piace questa - adesso ci sto andando a ruota!. Il ferro da stiro, "the iron side" è simpatico, tralascio la canotta giusto perché in fondo il fisico c'è, ma i boxer!? Adesso, io conosco Daniele, quindi so benissimo che dietro quei boxer indossati dal losco figuro soggetto dell'immagine, c'è un mondo...ma vaglielo a spiegare agli altri...Apro parentesi: quando parlo di "un mondo" non intendo quel tipo di mondo che ha fatto di Rocco Siffredi il suo imperatore. Chiusa parentesi, ma era giusto sottolinearlo.
Va be. Noi siamo la generazione "Made in yourself". Almeno, noi due - sto parlando con te, Daniele - lo siamo di sicuro. A noi, gli aiuti (intendo quelli di settore, intendo quelli che spostano, intendo quelli che in altri luoghi chiameremmo magari "raccomandazioni") non ce li ha mandati nessuno. Per noi la sussistenza umanitaria delle nostre famiglie, è stato tutto. La forza, di ferro - o del Ferro, adesso vedi tu. (è un inciso a titolo personale, che non va nemmeno spiegato, perché fondamentalmente è una cazzata. ndEm) -, ce l'hanno data loro. 
Ameicanizzando il tutto, potremmo dire che ci siamo fatti da soli - self made men. E non ci siamo fatti solo. E non ci siamo fatti da soli, come gente ai tempi della "Sala Giochi" - messo tra virgolette, perché questo credo che sia il nome proprio, proprio, del posto che frequentavamo da ragazzetti. 
"Fatti in se stessi". Fatti o facenti. Nel senso che, parlo per me - ma conoscendoti posso anche prendermi il permesso del plurale - noi ci stiamo facendo. E anche se fossimo "fatti", per quel che siamo, non ci fermeremmo di sicuro. Anzi, proporrei - azzardo - che quel "made" venisse sostituito da "making". Hai intenzione di fermarti tu? Non credo, quindi...making è continuo, dinamico, cresce, cambia, si muove, si crea.
Fatti, e non "falsi da sè". Siamo sinceri: in fondo - al di là di qualche puerile accusa contro cui ho lottato soltanto con le risate - siamo gente vera noi. Quello che siamo, quello che abbiamo, quello che ci siamo fatti, insomma quel "fatti" è roba vera. Pesante come l'acciaio. Roba nostra.
Ho detto qualcosa sul chi e sul cosa, sul perché, ho accennato sul dove: completa le cinque W con il quando. Adesso. Nel peggior momento storico che potesse capitarci, forse. La crisi, sai, lacrisi. Oggi è entrato a studio un signore di una sessantina d'anni. Indiano. Faccia da National Geographic Portrait. Mendicante, con una dignità da vendere. La prima cosa che mi ha detto è stata: "C'è la crisi...". Non aggiungo altro. Insomma il peggior momento forse. Perché c'è poco da mangiare, tutto intorno all'osso. Cani randagi e da salotto si azzuffano per quel briciolo di carne e bla bla bla....Ma riflettendoci: questo è davvero il momento peggiore? Secondo me per niente. Tu lo so che mi capisci.  

Interrompo qui. Perché? Perché primo fa figo. Secondo l'opera incompiuta - postuma magari - vi farebbe arricchire ( a te andrebbe la direzione artistica, ma lascia a Dan il resto). Terzo, soprattutto, perché l'avevo detto che erano cose confuse. Che integrerò. E magari finirò anche. Diciamo che all'incompiuta e al postuma, ci penserò tra cento/centodieci - scritto a numero, così è inequivocabile, tipo sugli assegni - anni. 
Ma voglio scendere nel popolare - nella duplice accezione: successo e del popolo - e concludere con quel "fatti non pugnette" che nel caso nostro non è mica tanto vero. Noi molti fatti, va bé, ma anche tante pugnette...








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Quelli di Krasnojarsk

Era un po' di tempo che non mi dedicavo a loro, anzi per meglio dire: era un po' di tempo che non gli dedicavo spazio in questo blog - anche perché in generale al blog, gli sto dedicando poco tempo. 
E poi avevo fatto premesse/promesse, ovviamente non mantenute. Ma adesso ditemi voi: non è difficile mantenerle, se ti trovi davanti dei titoli così?

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da nonleggerlo



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-Altre cose su quegli strani omini verdi
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martedì 24 gennaio 2012

Formalina

CH2O, la più semplice delle Aldeidi: la Formaldeide. Comunemente conosciuta con il nome di Formalina - in realtà è la diluizione della formaldeide, in soluzione acquosa al 37% - è tra i vari usi, utilizzata per le imbalsamazioni. 
Un po' per l'uso, un po' perché nel nome la parola, mentre pensavo alla Forma, mi è venuto in mente 'sta sostanza.
Alla Forma dicevo: imbalsamata, appunto. Per molti di voi acuti e intuitivi, nonché intelligentissimi e colti lettori, tutto quello che verrà dopo, forse è inutile. Basterebbero quelle cinque parole d'inizio capoverso, per dire quello che sto per dire, aprire una serie, seria, di riflessioni e arrivare dove voglio arrivare. Ma come ormai avrete ben capito, sono logorroico, noioso, prolisso: e poi mi piace parlare, e ancora, il giro di parole usato appena tre righe sopra, assomiglia troppo a quel mitico "per andare dove dobbiamo andare, da che parte dobbiamo andare" di incancellabile e insostituibile totopeppiniana memoria.
Dunque è della Forma che voglio parlare. Lo scrivo con la lettera maiuscola, perché è così che mi piace fare  quando parlo di qualcosa che rappresenta un concetto ampio quanto alto di contenuti e significato. Non è giusto farlo, forse, né grammaticalmente né filosoficamente, ma siccome è la simbologia che mi interessa in fondo, e siccome - soprattutto - qui comando io, lo faccio: punto e basta. 
Dunque la Forma, vediamo se ci riesco a cominciare, senza interrompermi oltre modo. La Forma è venuta meno. E' questo il punto della questione. E aggiungo, a me dispiace e molto, in quasi tutte le circostanze. Basta così o approfondisco? Questo è il grande dilemma: se il post finisse qua, prenderebbe subito un'aria futurista, d'avanguardia, che mi renderebbe abbastanza criptico, diretto e ironico. Sarei il perfetto concorrente di un quiz di Gerry Scotti - è così che li cercano, no?!. Allo stesso tempo, però, lascerei molti possibili fraintendimenti e molti concetti intrisi di riflessioni, resterebbero sui miei polpastrelli: meglio! Sarei ancora più criptico, quasi tenebroso, praticamente un perfetto concorrente del Grande Fratello. Uno di quelli che piace a Signorini come alle massaie - ammesso che ci sia differenza - che fa innamorare mamme e bambine, o mamme bambine, e che farebbe strage di cuori e di mutande nella Casa (la maiuscola è di rigore), ma senza poi legarsi con nessuna, perché è il mondo il suo spazio, il sole il suo obbiettivo. Un coglionissimo, insomma, che soprattutto farebbe la fortuna della Gialappa's. Siccome coglione lo sono, ma per altri versi, decido - seduta stante, e sono in bagno, vi avviso - che andrò avanti. Savoia!
Dunque Forma: intesa come parte integrante, indispensabile e sintetica, del contenuto. I più attenti di voi, avranno notato il tenore delle citazioni sopra - per chi non lo ha fatto, e si pensa che la cosa sia solo per simpatia, ve lo sottolineo: così oltre che pensare alla mia ironia, sconfinata, rifletterete anche sul mio acume! - momenti di bassa forma, tutti (salvo Totò e Peppino, che della Forma, per qualche verso, ne sono l'effige). 
Il nostro è un tempo che ha perso la forma. Ahinoi! Te ne accorgi subito: basta vedere i film di una cinquantina di anni fa, senza scavare troppo nel profondo. La forma e la formalità, l'abbiamo perse con il gusto e con la bellezza (espressioni della forma). E ce le siamo giocate, in cambio della comodità. L'ozio è il motore del mondo.
Parlo adesso di cose stupide, emblematiche, sintetiche: la cravatta, le scarpe da ginnastica, i jeans, i tacchi, le gonne, il camino, cucinare in casa roba nostrana, la bicicletta, le scale. Quanto ancora? Tanto, ma non è un elenco. Per la comodità abbiamo sacrificato tutto: molto di bello. Sono aspetti estetici, d'accordo. Ma, a mio modesto parere - che per comodità adesso scriviamo "imho" - racchiudono grandi significati. 
Con la Forma ci siamo fottuti la Formalità. Quella che spesso è un bene che non ci sia, quella che spesso ci fa sentire a disagio, quella che però, certe volte, segna il confine invalicabile del personale. Lo dice una persona introversa - non è un'incoerenza: il fatto che scriva in un post-o dove possono leggermi migliaia di persone, non significa che io sia capace di esternare con leggerezza le mie cose. Anzi, questo è un gioco. Non c'è nessuno davanti a te, è come se parlassi da solo: pratica di cui ne vado fiero, tra l'altro - che quindi potrebbe avere un giudizio fuorviato dalla propria personalità, sulla faccenda. Ma questa continua necessità di esseri informale, francamente, io, non la sento. E lo dico anche riferito ai rapporti più intimi: quelli con gli amici, per esempio, quegli amici che sono praticamente fratelli e con i quali, in certi momenti sarebbe bello ritrovare un po' di formalità. Che non significa darsi del "voi" sia chiaro, che non significa apparecchiare con i sottopiatti d'argento alle cene - quello come dice mia suocera è "giocare alle signore". E che certe volte ci può anche stare, vabbé, basta che se ne sia consapevoli - che non significa più che altro, perdere intimità e affetto. Personalmente trovo la formalità, in questi momenti, come un confine contro l'invadenza. Odiosa invadenza, odiata permissività, odiabile ultraconfidenza, che spesso mette a disagio molto più di ogni genere di formalismo. 
La Forma è rispetto. Rispetto sociale, se esiste. E per me esiste.
E non c'è niente di più falso e di più deplorevole di quel "la confezione non c'entra, con la qualità del prodotto": la confezione è un bel pezzo del prodotto. Perché poi, non c'è limite a quella "confezione" e si perde il romanticismo di tutto e su tutto: si bada solo al pragmatismo, all'utilità, al fine, senza badare al modo. 
Non lo so se riesco ad esprimere bene quello che penso, in fondo un po' di disagio che provo: quello che vorrei è  un mondo in cui le email comincino con "Caro Pinco Pallino, come stai?" e finiscano con qualcosa simile a "cordialità"; un mondo in cui uomini e donne vadano al lavoro vestiti in modo congruo, con un po' di rigore, perché no!?; un mondo in cui si aprano le porte alle signore, in cui si pensi a far passare gli altri prima di passare noi stessi e in cui chi esce da una porta abbia la precedenza su chi entra; un mondo in cui ci si saluti in ascensore; un mondo in cui ci si versi il vino a vicenda; un mondo senza nessuno interrompa qualcuno mentre parla; un mondo in cui ci si ascolta, ci si condivide, ci si capisce (o almeno ci si prova); un mondo in cui si pensi agli altri prima che a se stessi; un mondo in cui non si parli di lavoro a cena, a tavola, il sabato sera; un mondo in cui questioni personali, vengano chieste soltanto se c'è la giusta confidenze e sopratutto la giusta situazione, ma sempre iniziando con un "scusa se mi permetto, ma posso dirti una cosa personale?"; un mondo di b
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