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non sfruttato
della Social Analytics

Il potenziale
non sfruttato
della Social Analytics

di Paolo Magrassi, 07 marzo 2011

La business intelligence è da un decennio uno dei settori a più alta innovazione del software, e destinato a riservarci grandi sorprese. Il fatto che in Italia non stiamo partecipando a questa ondata né come produttori né come utilizzatori, è un grave handicap socioeconomico.

Ad esempio la social network analysis (SNA) o social analytics si sta affacciando da noi solo ora. Siamo terzi al mondo nell’utilizzo dei social network, ma quasi ultimi tra i Paesi progrediti nel saperli sfruttare (esattamente come accade con i telefonini). Eppure il potenziale è enorme, non solo sul terreno commerciale e produttivo ma anche su quello sociale e civile.

Analizzando le basi di dati provenienti dai social network, i software SNA cercano di scoprire relazioni, talenti, opinion leader, flussi di competenza/conoscenza, gangli di expertise, opportunità commerciali, tendenze, problemi, potenziali di sviluppo della clientela. L’analisi è interna quando si studiano le relazioni nei social network aziendali (come Outlook, Sharepoint, Lotus) o al più in quelli dei partner più vicini, come i fornitori; è esterna quando si vanno a considerare i social media aperti, come Twitter, LinkedIn, Facebook o MySpace. Tra le aziende citate più spesso dagli analisti come player del settore (come Jive, IBM, Microsoft, Facebook, LinkedIn, XpertUniverse), non ne vedo di italiane.

Un altro filone in grande fermento è quello della business intelligence basata sull’analisi dei contenuti, detta content analytics o anche e-discovery. Il New York Times ha recentemente ricordato come l’e-discovery abbia trasformato il business legale in America grazie a software capaci di analizzare testi e scoprire nessi, come Blackstone o Clearwell. Ma il fenomeno è ben più ampio.

Ad esempio da anni le aziende sono interessate a “gestire” la propria reputazione online. I social media monitors, come quelli di Clarabridge, SAS o Serendio, guardano alla stampa, ai social network, a eBay, a Craigslist, ad Amazon, alle interazioni che avvengono sui contact center telefonici o email, e ad altre fonti ancora, per scoprire trend dei quali l’azienda dovrebbe essere consapevole. (E’ questo il settore in cui opera l’italiana TSW Strategies, protagonista da qualche settimana di una tamburellante campagna pubblicitaria con About You).

Ci sono anche software più petulanti, come Rapleaf, Flowtown o Visible, che per ogni consumatore uniscono le informazioni tratte dai social media a quelle presenti nei database delle agenzie di credit rating personale. O altri (Autonomy, Nice Systems, Verint) che si sforzano di riconoscere lo stato emotivo di un cliente o di un addetto al call centre, al telefono.

Si tratta di un armamentario intrusivo e invadente perché è stato messo a punto per sostenere iniziative commerciali e orientate al profitto. Però i software di questo genere rappresentano poderose innovazioni la cui “intelligenza” (analisi semantica dei testi, reti neurali, sistemi esperti, algoritmi ad elevata efficienza, online data mining, …) può anche essere messa al servizio della collettività.

Per esempio, in America da tempo  gli economisti usano la SNA per scoprire informazioni econometriche che solitamente si rendono disponibili solo dopo mesi o anni. Il mio amico Erik Brynjolfsson, economista del MIT, ha messo a punto un modello che prevede l’andamento del mercato immobiliare con un’accuratezza quattro volte superiore a quella delle statistiche ufficiali, semplicemente guardando alle ricerche effettuate dalla gente su Google.

Gli strumenti di social analytics e content analytics potrebbero essere utilizzati per un’infinità di utili applicazioni a basso costo di “social intelligence”: per scoprire tendenze e problemi nella cittadinanza, istanze sociali e civili, falle del welfare, iniziative locali virtuose e replicabili, best practice, opportunità politiche. È un vero peccato che noi, tutti presi a trastullarci con iPhone e iPad, non ci si muova ancora su questo terreno.

Paolo Magrassi

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Commenti

  • di Luca 07 novembre 2011

    Mi è piaciuto molto l’ultimo paragrafo perché fa alcuni esempi di utilizzo molto pratici e concreti. Ma allo stesso tempo rileva come da noi queste informazioni sono sommerse da una marea di spazzatura sociale di puro cazzeggio.

    Oggi seguo gli sviluppo del social marketing così come 10 anni fa mi occupavo di business intelligence. Allora come oggi vedo manager incompetenti che sull’onda della moda si affidano a società di consulenza spesso non all’altezza.
    La cosa più allucinante è notare come in Italia mancava e manchi pure la cultura di misurare i risultati (che non è detto siano sempre tangibili ma vanno in qualche modo misurati). Forse perché misurare ha un rischio, per cui meglio dire che il risultato è aver semplicemente portato a termine un progetto su un tema trendy. Dieci anni fa erano i progetti di CRM. Ricordo un sondaggio in cui i manager si dichiaravano soddisfatti dei risultati ottenuti. Peccato che questi risultati erano solo nelle loro menti, passati pochi anni tali progetti si arenarono superati da nuove parole d’ordine. Oggi con Internet dovrebbe esser più facile misurare i risultati. Eppure grandi aziende lanciano campagne adwords o facebook senza curarsi troppo degli esiti, senza testare alternative: l’importante come 10 anni fa è esserci e fare quello che fanno gli altri.
    Luca
    comeinvestirerisparmi.com/

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