Social Business, Adaptive Business

by Stefano Mizzella on February 6, 2012

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Risale a qualche giorno fa la pubblicazione della bella intervista a Brian Solis curata da Maria Petrescu e Jacopo Paoletti per Intervistato.com. Nei giorni precedenti all’intervista ho accettato con piacere l’invito di Maria nel proporre una domanda a Solis e questo è lo spunto di riflessione lanciato:

“Quali sono, a tuo avviso, gli ingredienti fondamentali per passare da una social media strategy a una social business strategy? E quali gli ostacoli che, in base alla tua esperienza, bloccano molte aziende lungo questo percorso?”

La risposta alla mia domanda arriva al minuto 17:51, ma vi consiglio di seguire tutta l’intervista, in particolare per ciò che riguarda i temi della content curation e del rapporto tra social media monitoring e co-creation.

Tornando alla mia sollecitazione, la risposta fornita da Solis si basa su concetti molto importanti che ho provato a trascrivere qui di seguito aggiungendo, in alcuni passaggi, una libera interpretazione:

Dal Media al Business
Attualmente la maggior parte delle aziende che utilizzano i social media possono essere considerate “social brand”. Il presidio dei canali social è affidato, nella quasi totalità dei casi, al Marketing, alla Comunicazione e alle PR. Customer care, Vendite ed HR risultano invece negli ultimi posti tra i reparti sollecitati nella gestione delle piattaforme, senza che i singoli dipartimenti possano realmente coordinarsi tra loro. Di conseguenza, la maggior parte delle aziende si limita a utilizzare piattaforme come Facebook e Twitter per promuovere contest, offerte promozionali o semplici link.

All’opposto, il social business presume che le diverse divisioni di cui si compone l’azienda si parlino tra di loro al fine di garantire al cliente, attraverso i social media, la miglior esperienza possibile, soprattutto in chiave di customer care. Da una parte esiste il servizio clienti tradizionale, dall’altra ci sono i social media. Il più delle volte, il marketing non è in grado di gestire e risolvere tutte le diverse sollecitazioni veicolate dagli utenti attraverso canali come Twitter, limitandosi a fornire un numero di telefono o un indirizzo email a cui segnalare il problema. Altre volte, l’azienda può scegliere di ignorare completamente la richiesta d’aiuto dell’utente, perché le persone preposte alla gestione dei canali non sono qualificate per offrire la risposta corretta.

Il Business del futuro non è solo “social”, ma “adaptive”
Il gap tra il marketing e il customer care dimostra, nella maggior parte dei casi, la mancanza di un’infrastruttura di social business. Tuttavia, più che di social business, immaginando il futuro sembra più corretto parlare di “adaptive business”: il social business presume che venga attribuito molto potere ai social media, quando in realtà questi ultimi sono solo una parte di un’evoluzione più ampia. I social media sono solo canali. Sono canali meravigliosi perché forniscono all’azienda l’accesso diretto a clienti, stakeholder e influencer, ma quel che conta davvero è ciò che viene messo dentro questi canali al fine, ancora una volta, di migliorare l’esperienza del consumatore.

Quello che manca nella maggior parte delle aziende oggi è una infrastruttura adattiva, così come manca una cultura aziendale incentrata sul cliente. Le diverse funzioni aziendali devono necessariamente agire in maniera coordinata, al fine di perseguire un modello di business adattivo attraverso cui riconoscere i trend e le opportunità emergenti e i cambiamenti nel comportamento dei propri clienti.

Interagire con diverse tipologie di consumatori
I social media sono solo una delle modalità con cui rafforzare l’esperienza del consumatore e i processi di collaborazione interni all’azienda. I social media diventano, quindi, quasi un pretesto per comprendere più a fondo il comportamento d’acquisto e decisionale dei clienti e, ancora, le dinamiche attraverso cui il consumatore è influenzato o può a sua volta influenzare altri consumatori. Non possiamo più pensare a un’unica tipologia di consumatore dal momento che esistono diverse classi di consumatori, etichettabili come “connected customer”.

Le aziende possono utilizzare vari modi per raggiungere potenzialmente tutti i consumatori, ma il modo queste nuove tipologie di clienti prendono le loro decisioni d’acquisto è diverso dal modo in cui i nostri genitori o le nostre zie decidevano cosa comprare, per cui un’azienda non dovrebbe tentare di rivolgersi a tutti in maniera indifferenziata.

Il vero obiettivo da raggiungere è il change management
Fino a che punto le nuove tipologie di consumatori riescono ad avere un impatto significativo sui processi di business aziendali? La sfida più difficile, ma anche la più importante, equivale dunque a portare un cambio di paradigma all’interno dell’azienda. Nessun executive sosterrà il cambiamento aziendale solo perché Facebook o Twitter hanno molti utenti registrati.

È fondamentale dimostrare attraverso i dati e i trend fino a che punto tutto questo sta cambiando il modo di fare business e, allo stesso tempo, come attraverso i social media l’azienda possa ridisegnare i propri processi collaborativi e decisionali. Si tratta di una sfida importante che non può essere vinta ricorrendo esclusivamente ai social media senza comprendere a fondo il comportamento dei clienti e, ancor più, senza preparare internamente l’azienda ad affrontare queste nuove forme di interazione.

Le mie considerazioni
Le risposte di Brian Solis hanno il merito di spostare il focus dal canale di comunicazione al cambio di paradigma: le aziende intente unicamente a capire come utilizzare Facebook o Twitter per aumentare il numero di follower o per rilanciare in forma diversa le promozioni sul prodotto stanno commettendo il grave errore di confondere il dito con la luna, prestando attenzione solo ad azioni tattiche senza comprendere il quadro strategico complessivo.

Il vero potenziale dei social media risiede nel costringere le aziende a rimettere in discussione processi consolidati che vanno avanti, quasi immutati, ormai da decenni. L’azienda è costretta a diventare social al proprio interno per poter interagire (e quindi vendere) rispetto a un consumatore che utilizza le piattaforme social per informarsi, per comunicare le proprie decisioni o per condividere la propria esperienza d’acquisto, positiva o negativa che sia.

Sabato scorso ho avuto la possibilità, insieme ad Alessandro Fontana, di soffermarmi su questi concetti in un workshop all’interno del Master in Marketing e Comunicazione Digitale del Sole 24 Ore, mostrando quanto sia importante declinare il processo di ascolto, reazione e coinvolgimento sia dentro che fuori l’azienda, attraverso una visione olistica dell’azienda e del business:

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Ai tanti dirigenti d’azienda che decidono di spostare sul social cifre spesso molto modeste rispetto al budget dell’advertising tradizionale, si potrebbe rispondere che il vero ROI dei social media non risiede unicamente nell’aumento dei fan o del reach. Il ritorno di investimento più importante è legato a un cambiamento a volte radicale della cultura aziendale, più difficile da quantificare solo con i numeri, ma fondamentale per traghettare l’azienda verso il mercato di domani.

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Desk[dot]com e l’evoluzione del Social Support

by Stefano Mizzella on February 1, 2012

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L’evoluzione in chiave social dei processi di customer care è qualcosa di più profondo rispetto a un banale trend del momento. Numerose aziende hanno iniziato a utilizzare piattaforme come Facebook o Twitter per offrire servizi di supporto ai clienti in aggiunta alle ormai scontate azioni di marketing e comunicazione. Solo poche aziende, tra queste, sono riuscite a sfruttare le piattaforme social come pretesto, quasi, per riorganizzare i processi interni definendo nuove azioni, tempistiche, metriche e responsabilità.

Come ripetuto più volte all’interno di questo blog, la tecnologia rappresenta un facilitatore nei confronti di un cambiamento che deve impattare prima di oltre altro aspetto nella cultura dell’azienda, nei suoi processi formali e nelle sue dinamiche informali. Molto difficilmente un’azienda può riuscire a fornire un supporto adeguato ai propri clienti senza aver predisposto una strategia, una policy e una governance a riguardo. Questa esigenza vale ovviamente sia nella gestione quotidiana dei canali che, ancor più, nel tentativo di affrontare situazioni di emergenza come quelle che hanno investito recentemente due brand come Costa Crociere e McDonald’s.

Rispondere alle sollecitazioni dei propri clienti equivale non solo a scongiurare potenziali minacce, ma anche a creare un legame più solido, reale e coinvolgente tra l’azienda e i consumatori. Questa regola dovrebbe valere sempre, in maniera incondizionata, anche quando una richiesta apparentemente assurda arriva da una bambina di 3 anni e mezzo. È la storia della piccola Lily Robinson e della sua lettera spedita alla catena di supermarket Sainsbury’s. Una lettera che molte aziende avrebbero prontamente cestinato ma che, al contrario, ha generato un vero e proprio caso di studio offrendo all’azienda in questione un’opportunità di branding molto elevata: il post apparso su Facebook in cui veniva raccontato l’episodio ha ricevuto più 150.000 like ed è stato rilanciato più di 48.000 volte nelle ultime settimane.

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La pianificazione di un processo di social support trova nel social media triage un’ottima esemplificazione di come un’azienda dovrebbe stabilire persone, ruoli, azioni e tempistiche nella gestione delle sollecitazioni provenienti dall’esterno (per approfondire l’argomento rimando al mio precedente post o all’interessante Social Media Crisis Response Plan). Le meccaniche di una simile pianificazione devono ovviamente appoggiarsi a una piattaforma tecnologica in grado di sostenere le azioni di un “social help desk”. Al momento le soluzioni più indicate per raggiungere tale risultato sono quelle in grado di unire le azioni di social media monitoring a un sistema di ticketing e di task management, ottimizzando il coordinamento tra persone diverse (o reparti diversi) nell’analisi e nella gestione delle problematiche e delle richieste di informazione provenienti dai clienti attraverso i canali social.

È notizia recentissima l’introduzione sul mercato di desk.com, piattaforma in grado di segnare una svolta nel panorama delle soluzioni dedicate al social support. Desk.com rappresenta, pertanto, l’ultima creatura in grado di arricchire ulteriormente l’ecosistema di servizi per la social enterprise sui cui Salesforce sta investendo ormai da anni. È proprio Salesforce, nel suo sito ufficiale, a presentare desk.com come un “mobile help desk”  nelle tasche di ogni dipendente, in grado di offrire all’azienda l’opportunità di fornire supporto ai propri clienti in ogni situazione e in qualsiasi momento. Entriamo nel merito delle caratteristiche della piattaforma per capire quanto questa promessa possa essere mantenuta.

Multi-Channel Support
La prima potenzialità di desk.com è quella di aggregare in un’unica dashboard le richieste provenienti da canali e piattaforme diverse come Twitter, Facebook, il tradizionale call center, le mail e la chat, integrando di fatto il customer care “social” con quello più tradizionale.

Case Management
Le diverse richieste dei clienti necessitano poi di essere processate al fine di valutarne il livello di priorità e le conseguenti azioni interne di gestione e risposta. Desk.com permette in tal senso di impostare dei filtri per organizzare le varie richieste dei clienti a cui i  responsabili dell’azienda potranno poi assegnare le azioni specifiche per coordinarsi e gestire nei tempi previsti le sollecitazioni ricevute.

Support Center
Un ottimo modo per anticipare o ridurre il numero delle richieste è quello di fornire già al cliente una serie di informazioni in grado di risolvere le problematiche più ricorrenti. Anche in questo caso Desk.com rappresenta una buona soluzione per aumentare la knowledge base delle persone deputate al servizio di supporto o, ancora, per integrare sezioni di Q&A e form di contatto all’interno del sito aziendale.

Mobile Agent
Nell’era dei social media, le richieste dei consumatori prescindono dal luogo o dagli orari: sarebbe tutto più semplice se le critiche o le richieste di informazione arrivassero esclusivamente negli orari d’ufficio, quando il personale dell’azienda è a presidio dei canali, ma purtroppo molto spesso le cose vanno diversamente. È per questa ragione che una piattaforma avanzata di social support non può prescindere da una versione mobile in grado di consentire ai dipendenti di gestire le richieste anche in orari e luoghi “non ufficiali”.

Reporting
Le performance del processo di social support dovrebbero essere misurate e valutate con metriche specifiche, capaci di fotografare, ad esempio, tanto il tempo necessario alla risoluzione di un problema, quanto il livello di soddisfazione del cliente una volta conclusa l’interazione con l’azienda. Il sistema di misurazione e di reportistica messo in atto da desk.com va in questa direzione, permettendo una valutazione in tempo reale di come vengono gestiti i singoli casi includendo anche una serie di dati utili a monitorare le performance delle persone incaricate dall’azienda di gestire tali problematiche.

Integration
Altro punto a favore del servizio è quello di integrarsi con altre piattaforme come Salesforce (ovviamente) ma anche con le App di Google o con il sempre più popolare GetSatisfaction, permettendo di fatto all’azienda di creare un ecosistema più vasto e personalizzato in cui veicolare le principali azioni di collaborazione, analisi e risposta.

Pur provando a rimanere neutrale nell’analizzare le caratteristiche del servizio, ammetto di esser rimasto davvero colpito dalle potenzialità della piattaforma. Il mio test personale di desk.com continuerà anche nelle prossime settimane, quando proverò a stressare il servizio sui processi di triage di cui ho già parlato.

Più in generale, considero l’ingresso sul mercato di questo servizio come una forte spinta, per aziende e vendor concorrenti, nel continuare a investire su un processo chiave come quello del social support, capace di garantire il successo di un’azienda non solo nel customer care ma anche nel branding complessivo, come il recente episodio di Sainsbury’s ha ben dimostrato.

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