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Violenza contro le donne, cosa facciamo in concreto?

di Francesca Molfino
09/02/2012
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Una miriade di fatti di cronaca orrendi, un discorso pubblico ad alto impatto emotivo. Ma cosa fare nel quotidiano per contrastare la violenza sulle donne? Quali risorse, quali strutture ci servono? Una lettera da un'operatrice ed esperta dei Centri antiviolenza invita a passare dalla propaganda alla politica

Care amiche, da più di vent’anni mi occupo della “violenza contro le donne” e lavoro con i Centri antiviolenza. Di solito si parla molto di violenza in occasione di uccisioni di donne per mano di uomini violenti, quando per qualche giorno il discorso sulla violenza sale alla ribalta - com'è successo negli ultimi giorni, per il tentato omicidio della compagna e uccisione del figlio per mano di un uomo a Roma, e anche in occasione della sentenza della Corte di Cassazione sullo stupro di gruppo.

Mi piacerebbe che i nostri discorsi intorno alla violenza, soprattutto quelli di rivendicazione politica, riuscissero ad avere uno sguardo profondo, che rispetti il lavoro di tutte le donne e gli uomini che lottano quotidianamente contro la violenza sulle donne e che sappiano dire, e quindi rivendicare, cose sensate e concrete.

Spesso quando si parla di violenza, e quando ne parlano le donne che fanno politica, i toni sono veementi e le affermazioni generiche e a volte anche errate. Questi discorsi hanno il pregio di far conoscere dove può giungere lo svantaggio sociale femminile; mi spingono a partecipare; ma dall’altra non mi fanno capire come si può intervenire, mi rendono immobile davanti all’orrore, oppure mi fanno iniziare da capo, dall’abc, dalle affermazioni più generali.

La propaganda non è una cosa necessariamente brutta, andando a vedere cosa significa propaganda, su Wikipedia, il riferimento più semplice, trovo “l'attività di disseminazione di idee e informazioni con lo scopo di indurre a specifiche attitudini e azioni”... I propagandisti cercano di cambiare il modo in cui la gente comprende una questione o una situazione...Ciò che rende la propaganda differente da altre forme di controllo è la volontà del propagandista di cambiare l'orientamento delle persone, attraverso l'inganno e la confusione, piuttosto che tramite la persuasione e la comprensione".

La propaganda, come diceva uno psicoanalista, è così attraente perché offre significati, soluzioni semplici e sicure, ribalta i pensieri sfiduciati e depressi in euforici, suscita l’entusiasmo di una soluzione, dà una spinta iniziale. Ma poi bisogna reggere le complicazioni e le smentite delle applicazioni di ciò che viene proposto.

Dalla propaganda sono passata alla politica, cercando, anche se è stato arduo, una definizione larga e mi è sembrato che questa potesse andare bene: La politica consiste nella scelta degli obiettivi comuni che un gruppo vuole raggiungere, e nella scelta dei mezzi e dei metodi per raggiungerli.

Senza dubbio la propaganda favorisce la politica in modo benefico. Mi turba però quando l’aspetto propagandistico si ripete nel tempo e sembra non tenere conto dell’usura di quanto va dicendo e del fatto che l’ipersemplificazione dei concetti espressi si afferma a scapito della descrizione dei fatti.

Ritorniamo alla violenza, il rischio è che esista un discorso massimalista e stereotipato, sempre uguale a se stesso che diventa “Il discorso sulla violenza contro le donne” da tirare fuori all’evenienza. Un discorso che impatta la sensibilità delle persone, ma non dà strumenti per agire cambiamenti.

Allo stato attuale, cosa succede oltre l’orrore? Ossia cosa succede alle operatrici che da più di vent’anni contrastano nel quotidiano il fenomeno della violenza contro le donne? Ecco alcuni dati.

Nel 2010, più di 10.000 donne si sono rivolte per la prima volta a un Centro Antiviolenza.

Nell’ 84% dei casi di maltrattamenti, violenze psicologiche, stalking, violenze economiche e sessuali ad agire violenza contro le donne sono i partner o gli ex partner.

Un’indagine del Coordinamento nazionale dei Centri antiviolenza D.i.Re rilieva come più del 60% dei 56 centri, che hanno fornito i dati, vive una cronica mancanza di risorse economiche, che si traduce in una mancanza di servizi: molti centri per esempio sono basati sul lavoro volontario (o semi-volontario) e non riescono a garantire un orario di apertura quotidiano, o una reperibililità telefonica 24 ore su 24.

I Centri antiviolenza non sono un servizio garantito e universale regolato su una scala (numero di abitanti, provincia, regione), ma la loro esistenza dipende o dalla volontà degli enti locali o dalla presenza sul territorio di un’associazione di donne che ne apra uno.

In mancanza di un quadro legislativo nazionale di riferimento e di supporto finanziario ai Centri antiviolenza, la possibilità alloggiativa, la presenza di personale formato e retribuito, e spesso la loro stessa esistenza si affida così alla contrattazione locale fra istituzioni e associazioni, alla loro possibilità di collaborare e di interagire. L'ente pubblico (comune, provincia, regione) è diventato spesso fonte principale di finanziamento, a volte può anche essere secondario rispetto ai contributi di privati, a forme di autofinanziamento e al lavoro volontario. L'8% di questi Centri non dispone di alcun contributo economico pubblico, la loro esistenza è pertanto garantita esclusivamente dall'apporto e dalla capacità di raccolta fondi delle socie.

In 5 regioni italiane non è presente alcun Centro Antiviolenza (Valle d'Aosta, Piemonte, Umbria, Molise e Basilicata); in 4 Regioni e in una provincia autonoma (Marche, Abruzzo, Puglia, Calabria e Provincia autonoma di Trento) i Centri Antiviolenza presenti non hanno la possibilità di alloggiare temporaneamente la donna e i figli/e minori. In altre 5 regioni italiane la situazione appare piuttosto ibrida: 3 Centri antiviolenza sono presenti in Campania (tutti con possibilità di alloggio), 3 Centri in Sicilia (di cui 1 con capacità di alloggio), mentre un Centro antiviolenza con capacità di alloggiare temporaneamente le donne vittime di violenza e i loro figli/e minori è presente in Veneto, in Liguria e in Sardegna. (I dati sono tratti dal sito di D.i.Re)

La ex-ministra Carfagna dopo aver fatto il Piano nazionale antiviolenza, è stata costretta alla fine del suo mandato, poiché la Corte dei Conti aveva approvato il Piano nazionale e per la pressione di D.i.Re, ad utilizzare i soldi che sembravano scomparsi e di cui avevamo già parlato.

Le azioni per il contrasto alla violenza e per il rafforzamento della rete di tutela delle vittime sono state finanziate con oltre 18,6 milioni di euro. E’ stato previsto il finanziamento da parte del Dipartimento per le Pari opportunità per 10 milioni di euro ai Centri antiviolenza che accolgono le donne vittime di abusi. Di questi 10 milioni, 6 saranno destinati a interventi per ampliare il numero di servizi offerti alle vittime a rischio grave, mentre i restanti 4 milioni di euro consentiranno l’apertura di nuovi Centri a carattere residenziale nelle aree dove è maggiore il gap tra la domanda e l’offerta. Il contributo del dipartimento per le Pari opportunità potrà, al massimo, essere pari al 90% del costo totale previsto per la realizzazione della proposta progettuale presentata.

Il Centro, pertanto, dovrà garantire un cofinanziamento pari almeno al 10% del costo totale.

Nei Centri Antiviolenza di molte città non c’è una disponibilità finanziaria per accedere ai finanziamenti; soprattutto quelli, che per anni si sono retti grazie al lavoro volontario, si trovano in grande difficoltà. Quindi si devono rivolgere agli enti pubblici, che a seconda dei loro orientamenti politici, oltre che dei loro bilanci, saranno disponibili ad accollarsi la parte economica e in seguito a finanziare la continuazione delle attività promosse dal finanziamento del dipartimento Pari opportunità.

Successivamente è stato pubblicato l’avviso per la formazione degli operatori sanitari che svolgono attività di prima accoglienza alle vittime di violenza sessuale, domestica e stalking, per il valore di 1,7 milioni di euro. In questo caso il contributo delle Pari opportunità è pari all’80% e il Centro, o chi si propone insieme ad esso, dovrà garantire un cofinanziamento del 20% per i soldi erogati, che non superano i 100.000 euro. Anche in questo caso è stato difficile per molti Centri con scarse risorse di partecipare al finanziamento.

Questi importanti finanziamenti daranno, la possibilità di andare avanti, se si potrà accedere ai fondi, ma servono misure efficaci da parte degli enti locali volte ad assicurare finanziamenti costanti nel tempo per garantire il funzionamento e l’apertura di nuovi centri ed aumentarne così il numero.

Ricordiamo infine che nel Piano nazionale, fatto da Carfagna, veniva affermato un generico “sostegno ai centri antiviolenza”, senza specificare quali fossero i criteri che li definiscono, includendo tra i soggetti individuati per garantire l’incolumità alle donne, generiche “strutture pubbliche e private”, alle quali non viene neppure richiesta un’adeguata formazione del personale.

Ne può derivare, per esempio, la possibilità che i fondi vengano elargiti a non ben identificati soggetti preposti all’accoglienza delle donne, con la conseguenza di uno svilimento e disconoscimento del ruolo peculiare e unico dei Centri antiviolenza. Qui non si tratta di liberalizzare, ma di capitalizzare la grande esperienza (expertise) che i Centri hanno nell’affrontare l’enorme e drammatico problema del maltrattamento e della violenza.

Come trasformiamo quello che dicono i manifesti sulla violenza contro le donne in azioni nel reale? Come si può fare “politica” di donne nel senso di “scelta di obiettivi comuni, dei mezzi e dei metodi per raggiungerli che un gruppo vuole raggiungere” per contrastare la violenza?

Ricominciamo ogni volta da capo, o lavoriamo in continuità con le esperienze che esistono già, favoriamo i Centri Antiviolenza e, se lo facciamo, come pensiamo di dare continuità e stabilità?

Vorrei che si potesse costruire un cammino segnato da domande puntuali e tappe precise, vorrei rintracciare le disponibilità delle donne che lavorano in ogni regione per convogliare tutte le risorse a disposizione, per costruire dei collegamenti, per radicare le collaborazioni tra i diversi attori sociali, senza più divisioni di enti pubblici, di province, regioni, comuni, ecc.

 Vorrei insomma avere delle risposte concrete e insieme “politiche” da chi vuole fare politica.

 

 

 

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Commenti

Carissima Francesca,ho

Inserito da Fiorella Tortora (utente non registrato) il 11/02/2012.

Carissima Francesca,ho postato un tuo commento nel mio gruppo nato per dire basta alle violenza su noi donne.Mi piacerebbe che tu facessi parte per "parlare" ai miei iscritti di quello che devono affrontare qual'ora fossero vittime di violenza sotto tutti i punti di vista.La paura molte volte non aiuta a comprendere ciò che ci capita e rimaniamo inermi senza far nulla per reagire ...Spero che tu voglia fare parte di questo e un'aiuto da te per le iscritte mi piacerebbe averlo...
Grazie di cuore
Fiorella lella Tortora
https://www.facebook.com/pages/Melania-Rea-BASTA-CON-LE-VIOLENZE-SULLA-D...

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facciamo i fatti!

Inserito da francius dal mar (utente non registrato) il 11/02/2012.

Sono pienamente d'accordo: occorre passare dalle parole ai fatti. Qualunque sia l'azione che si intende porre in essere, deve essere perseguita fino alla sua piena realizzazione. Io non ho esperienza in politica, ma posso essere utile per un contributo a livello di studio e di progetto, di elaborazione di idee da portare avanti. Contattatemi, ne sarò felice!
Se vi occorre, posso mandare una breve biografia.
Francesca

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