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Il primato dell’uomo

spacer La visione antropologica e quindi etica che ha dato forma all’umanesimo europeo,  è quella personalista e comunitaria, vale a dire l’uomo è sì un individuo – anche una pietra o un albero sono individui – ma è un individuo personale; e questo non è un attributo pleonastico, ma lo differenzia dal resto del mondo. Infatti l’uomo  non è riducibile ad un grumo di materia, supera se stesso, la propria materialità, ad esempio grazie alla conoscenza che gli permette di vivere in faccia all’universo intero. Come scrive San Tommaso, gli permette di diventare, sul piano logico, tutto ciò che conosce. Ma la sua irriducibilità alla materia si rende visibile anche nell’esperienza dell’amore, della fedeltà che è, come affermava G. Marcel, una “cifra” di Dio stesso perché avvicina l’uomo all’eternità, cioè al per sempre. Ciò che di più profondo è l’uomo si rivela, potremmo dire si tocca, anche nel vedere che siamo capaci di vivere come un dono, uscendo cioè da noi stessi, dal nostro perimetro, per andare incontro ed accogliere l’altro mettendoci radicalmente in gioco. Tutto questo, ed altro ancora, ci attesta che l’uomo non può essere costretto al tempo e alla materia, ma è un paradosso posto su una zona di confine, fra terra e cielo, fra tempo ed eternità, tra finito e infinito, fra il nulla e il tutto.

La persona è un soggetto con alta densità relazionale, ed è vivendo il suo essere relazione che realizza se stesso. Ma relazione con chi? Con le cose materiali certamente, ma anche con gli altri per condividere e camminare insieme, per trovare quel completamento che, prima di essere funzionale (cioè necessario alla vita pratica) è di ordine spirituale e morale. Ma ciò non basta ancora, l’uomo ha bisogno di vivere in relazione con l’Assoluto, con la Trascendenza, con Dio: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 78). Il problema del fondamento di tutto ciò che esiste è ineludibile sul piano non solo teoretico, ma anche pratico: ciò che è fragile e relativo rimanda ad un fondamento assoluto che lo precede e lo giustifica nell’esserci, ma che anche dona direzione e senso.

Per queste ragioni l’uomo e il suo vero bene hanno un primato anche nell’attività economica come, più ampiamente, nell’organizzazione sociale e nella vita politica: “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare – scrive Benedetto XVI – è l’uomo, la persona, nella sua integrità (…) Dio è il garante del vero sviluppo dell’uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad ‘essere di più’ (…) Se l’uomo fosse solo frutto o del caso  o della necessità, oppure se dovesse ridurre le sue aspirazioni all’orizzonte ristretto delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l’uomo non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione, ma non di sviluppo (…) la questione sociale è diventata questione radicalmente antropologica” (Benedetto XVI, Enc .cit.  n.25, 29,75). La questione antropologica ci pone di fronte a quell’insieme di valori fondativi e irrinunciabili che costituiscono la cosiddetta “etica della vita” e che sono la vita dal concepimento fino al tramonto naturale, la famiglia formata da un uomo e una donna fondata sul matrimonio, la libertà di religione e di educazione. Tale complesso valoriale è come una radice che non può essere tagliata senza uccidere l’albero, e per questo non si possono negoziare. Nello stesso tempo, sono un ceppo sempre vivo che germoglia quei valori che costituiscono l’etica sociale nei suoi diversi aspetti. 

Card. Angelo Bagnasco – Londra, 29 febbraio 2012

Questo articolo è stato pubblicato Giovedì, 1 Marzo 2012 alle 10:41 e classificato in Bagnasco, fede e società, nel mondo, questione antropologica. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. Puoi inviare un commento, o fare un trackback dal tuo sito.

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