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TAR Veneto: solo reddito personale per la compartecipazione alla spesa


La sentenza TAR Veneto, sez. III 3 febbraio 2012, n. 132 costituisce l’ultimo capitolo giurisprudenziale, in ordine di tempo, dell’annosa saga della compartecipazione al costo da parte dell’Utenza per i servizi a domanda individuale da essa fruiti, con particolare riferimento alle Persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti.

Nel caso di specie alcune Persone agivano contro il Comune di Verona, con l'intervento ad adiuvandum di altre Persone, per l'annullamento di una determinazione dirigenziale del dirigente Centro responsabilità servizi sociali Comune di Verona, del “Regolamento comunale per l’erogazione di interventi economici integrativi per il ricovero di anziani presso strutture protette” e di un sollecito di pagamento.

Il fatto fu il seguente: una Persona, nata nel 1912, vissuta nel Comune di Verona fino al 2008, si vide in quella data riconosciuta invalida al cento per cento e bisognosa di assistenza continuativa, e conseguentemente inserita presso una Casa di riposo.

Contestualmente al ricovero la figlia sottoscrisse un impegno al pagamento delle rette; data l’insufficienza della pensione di reversibilità goduta dalla ricoverata, i di lei figli integrarono la retta mensile, per la differenza.

Nel 2010 uno dei due figli comunicò al Comune di voler sospendere il pagamento dell’integrazione della retta, diffidandolo contestualmente ad assumersi i relativi (integrali) obblighi.

Il Comune di Verona oppose il fatto che il proprio Regolamento comunale stabiliva che al pagamento delle rette era tenuta la persona inserita nella struttura con tutto il proprio patrimonio, ed eventualmente, in caso di insufficienza delle risorse personali disponibili, i parenti tenuti agli alimenti ai sensi dell’art. 433 c.c. e che solo laddove si fossero ravvisate condizioni di impossibilità a provvedere da parte del contesto familiare, poteva ammettersi l’intervento suppletivo del Comune.

 

L’atto fu dunque impugnato per le classiche (solite) censure:

I) violazione degli artt. 6, comma 4, 22 e 25 della l. n. 328/2000; del d.P.C.M. 14 febbraio 2001; della l.r. n. 5/1996; dell’art. 38 della Costituzione (perché il regolamento esentava il Comune dall’integrazione economica cui si doveva ritenere tenuto per Legge);

II) violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 109/1998 e dell’art. 24 della l. n. 328/2000 (perché nulla poteva essere preteso ai figli che da anni avevano costituito un autonomo nucleo familiare e perché la situazione economica da valutare era solo quella della ricoverata);

III) eccessività della richiesta economica a carico della ricoverata ed errata computazione, nella retta, di oneri sanitari che dovevano essere posti a carico della Regione;

IV) violazione dell’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998 (mancata valorizzazione ed utilizzo della capacità economica del singolo fruitore della prestazione);

V) violazione dell’art. 2 co. 6 del d.lgs. n. 109/1998 e dell’art. 433 c.c. (per l’improprio richiamo, contenuto nel Regolamento, all’istituto degli alimenti disciplinato dagli artt. 433 e ss. c.c.);

VI) violazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 109/1998 (per l’introduzione regolamentare di una nozione di “nucleo familiare collegato”, sconosciuto alla normativa di cui al medesimo d.lgs. n. 109/1998, al fine di aumentare il numero di soggetti obbligati);

VII) violazione del d.P.C.M. 29 novembre 2001, e varia normativa sanitaria (per l’improprio richiamo, al fine di sottrarre il Comune dagli obblighi concernenti l’integrazione economica, all’avvenuta sottoscrizione di un impegno di natura contrattuale di integrazione della retta, cui era peraltro condizionato il ricovero).

 

Sorvolando sulle vicende processuali medio tempore intervenute, con le quali si è proceduto a contestare l’obbligo di presentare una domanda su un apposito modulo, e presentare le certificazioni ISEE di altre persone (figli compresi), per valutare tutti i redditi disponibili, val la pena di concentrarsi subito su quanto ha statuito, nel merito, il Giudice amministrativo veneziano, il quale ha ritenuto fondato il ricorso.

Il Collegio è stato indirizzato nella decisione da un proprio recente precedente (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 7 giugno 2011, n. 950) che si era a sua volta richiamato, condividendolo, all’orientamento più recente espresso dal Consiglio di Stato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5185; id. 16 marzo 2011, n. 1607; 26 gennaio 2011, n. 551).

E qui già si chiariscono le idee in capo a chi ha voluto, frettolosamente e superficialmente, evidenziare impropriamente il coinvolgimento familiare nella pronuncia Cons. St. n. 551/2011.

Richiamata in particolare la deroga di cui all’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998, che sappiamo valorizzare la capacità economica del singolo fruitore la prestazione, nel caso di prestazioni sociali agevolate assicurate nell'ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, il Giudice ha evidenziato l’immediata applicabilità del medesimo (a prescindere dall’emanazione del d.P.C.M. colà citato, sulla scorta di quanto ripetutamente affermato dal Consiglio di Stato).

Ecco allora la rilevanza di un principio idoneo a costituire uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, dunque non derogabile in alcun modo dalle Amministrazioni locali, e quindi non derogabile dalla Regione, dalla Provincia, dal Comune.

Di qui il dubbio di costituzionalità, in quest’ottica, di certe Legislazioni regionali (v. l.r. 66/2008 della Toscana, attualmente al vaglio, sul punto, della Corte costituzionale, e la l.r. dell’Emilia Romagna n. 2/2003, così come modificata nel dicembre 2009), che introducendo la compartecipazione dei parenti in linea retta entro il primo grado integrano, molto probabilmente, una violazione dell’art. 117 co. 2 lett. m) della Costituzione.

Per tali ragioni il Collegio veneziano ha annullato il Regolamento comunale, limitatamente alla parte in cui, relativamente ai soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti, non tiene conto della situazione economica del solo assistito.

Nulla è stato statuito, viceversa, riguardo alle pretese restitutorie proposte dai parenti nei confronti dell’Istituto assistenza anziani, inammissibili per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo: nel pensiero del Collegio veneziano, per discutere della legittimità dell’atto d’impegno siglato dal parente ovvero dell’atto spontaneo con il quale il terzo si accolla (rectius: dichiara di accollarsi) parte della retta per il ricovero del parente, se ne deve discutere avanti il Giudice ordinario.

Identicamente, in punto di giurisdizione, per quanto concerne la domanda di risarcimento da fatto illecito proposta dai parenti nei confronti del Comune.

 

Quali conclusione trarre?

La sentenza apre, per l’Ente locale, spiragli inquietanti, perché concreta un temuto squarcio, l’applicazione dell’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998, e quindi la valorizzazione della capacità economica della singola Persona ricoverata, con riferimento a un Servizio, quello di RSA, che si riteneva immune da “problemi” di questo tipo.

Ma, a ben vedere, solo la miopia di pochi interpreti non aveva colto che proprio nell’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998 la Persone con grave disabilità erano “parificate” alle persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti; di conseguenza era chiaro che, prima o poi, e comunque non è la prima pronuncia di questo tipo, si sarebbe giunti a discutere anche di ricoveri in RSA e relativa suddivisione dei costi.

Per quanto riguarda l’Utenza, trattasi “semplicemente” dell’ultimo esempio di quel (assolutamente prevalente) filone interpretativo giurisprudenziale, che ha sancito l’immediata applicabilità dell’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998 e, quindi, la rilevanza dei contenuti soggettivi e oggettivi in esso individuati.

E ciò con buona pace dei falsi miti della rilevanza dei c.d. “tenuti agli alimenti” ovvero degli “obbligati per Legge”, che animano le Legislazioni e le Regolamentazioni erroneamente ritenute più evolute (ogni riferimento non è puramente casuale…).

A ciò aggiungasi, ed è fattore tutt’altro che irrilevante, che l'efficacia dell’annullamento giudiziale di un atto a natura regolamentare si estende a tutti i possibili destinatari, sebbene non siano stati parti del giudizio, perché gli effetti della sentenza si estendono al di là delle parti che sono intervenute nel singolo giudizio, dato che l'annullamento di un atto amministrativo a contenuto normativo ha efficacia erga omnes per la sua ontologica indivisibilità (Cfr. Cons. St., sez. VI, sent. 24 novembre 2011, n. 6212; id., sent. 06 settembre 2010, n. 6473).

 

Quali i futuri immediati scenari?

Ritengo che le questioni possa essere ricondotte alla seguente considerazione: se il Governo dovesse metter mano all’ISEE, come effettivamente è precisa intenzione di fare, visto quanto previsto nell’art. 5 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, e dovesse veramente novellare (espungere? abrogare? modificare?) l’art. 3 co. 2-ter del d.lgs. n. 109/1998, e il principio in esso contenuto, prevedendo una quantificazione compartecipativa modulata, in modo tutt’altro che prevedibile, allo stato, sulla “ricchezza” familiare, o dei “parenti in linea retta entro il primo grado”, per gli Enti Locali l’impegno economico potrebbe anche non essere particolarmente significativo e, dunque, sostenibile, pur dovendosi prevedere la definizione di nuove regolamentazioni locali in materia.

Se, viceversa, i tempi di riforma del sistema nel suo complesso non dovessero essere così rapidi, ovvero la riforma dovesse essere insoddisfacente per tutti gli attori del sistema, ecco che non solo si aprirebbe un nuovo fronte di aspro contenzioso tra i Cittadini e gli Enti Locali (con esiti tutt’altro che scontati, giusto considerato, ad esempio, la biasimevole querelle tra il filone giurisprudenziale amministrativo bresciano e quello milanese sul punto), ma si giungerebbe all’ennesima regolamentazione a macchia di leopardo, in cui si potrebbero rinvenire realtà locali che rispettano la Legge e altre, anche di chiara immeritata fama, che ciò non fanno.

Cui prodest?

In tempi di grande ristrettezza, da che parte tirare la coperta?

Ma poi, vien da chiedersi, le risorse non ci sono o son più “semplicemente” da riallocare?

Personalmente son più convinto della seconda opzione, ma far opera di una seria razionalizzazione, non punitiva nei confronti di nessun Attore del sistema, è attività normativa e regolamentare che esige dal ceto politico uno sforzo non indifferente quanto carico di virtuosità e buona volontà.

Al Legislatore, Nazionale o Regionale che sia, chiederei: “quale delle due affermazioni Ti si attaglia di più: “Sono vivo e vegeto” oppure “Sono vivo. E vegeto”?

 

8 febbraio 2012

di Massimiliano Gioncada

 

Consulta:

  • Sentenza TAR Veneto 3 febbraio 2012, n. 132
  • Commento sulla medesima Sentenza di Francesco Trebeschi in Superando.it

 

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