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In Primo Piano

Il tempo della lotta
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Domenica 11 Marzo 2012
Salvatore Borsellino
spacer Troppe volte è stata negata la Giustizia, troppi macigni hanno continuato ad essere disseminati sulla strada della Verità.

Non possiamo più sopportare i depistaggi, la negazione delle prove, anche se fotografiche, le sentenze di condanna annullate dai sodali di chi, dopo avere annullato centinaia di sentenze di processi di mafia, costate anni di lavoro e spesso sangue di servitori dello Stato, arrivava anche a schernire Paolo Borsellino e Giovanni Falcone dopo che erano stati già uccisi.

Non possiamo accettare che venga negato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, definendolo come un reato che non esiste nel codice penale, quando è stato configurato in innumerevoli sentenze passate in giudicato, ipotizzato per prima dal pool di Falcone e Borsellino, quando ... Leggi tutto...
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Ven

16

Mar

2012

Servizio Pubblico 15 marzo 2012 - 17a puntata 'La Verità' spacer spacer spacer
Scritto da Servizio Pubblico   

 

Gio

15

Mar

2012

Da Subranni a Ciancimino : ''Molti fervidi auguri''. Altri misteri ancora irrisolti di Via D'Amelio spacer spacer spacer
Scritto da Nicola Biondo   
spacer Una relazione di servizio riesumata dopo vent’anni. Una testimonianza di un poliziotto dall’inferno di Via D’Amelio. E’ questa l’ultima traccia dimenticata finita nella nuova inchiesta della Procura di Caltanissetta sulla strage che uccise Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta.

Una traccia che porta dritti al cuore nero dei misteri di quell’eccidio. Riccardo [nome di fantasia] è un giovane agente che poco dopo le 17 del 19 luglio 1992 arriva a bordo della volante 32 a pochi metri dal cratere. Vede un uomo tra i 45 e i 50 anni, con un completo spezzato in giacca scura che si aggira a pochi centimetri dalle macchine in fiamme, tra pezzi di cadaveri e le urla dei feriti. Riccardo fa parte della seconda volante, la strage è stata appena commessa e quella figura che si muove con sicurezza non può non notarla. “Perché si trova qui?”- domanda. La risposta è secca: “Servizi”.

Poche ore dopo la testimonianza dell’agente finisce in una relazione di servizio, con la descrizione di quel sedicente 007. Una traccia che fino ad oggi non è mai stata vagliata. Lo ha fatto a distanza di vent’anni la Procura nissena che ha raccolto, come fosse un puzzle, migliaia di fotogrammi e decine di ore di video girati sul luogo della strage per appurare o escludere presenze sospette o anomale. E così è partita la caccia, alla ricerca in questo puzzle di quell’uomo qualificatosi sul luogo del delitto come “servizi”. Il primo passo compiuto dagli investigatori è stato quello di chiedere agli apparati di sicurezza se quel giorno sia transitato da via D’Amelio qualche 007. Ufficialmente si contano sulle dita di una mano ma quello che ha sorpreso gli investigatori è che le relazioni di servizio che attestano quelle presenza sono state redatte solo dietro richiesta dei magistrati in tempi recentissimi.  Nessuna memoria di quel giorno sembra rimasta negli archivi degli apparati. La testimonianza di quel poliziotto oggi sul tavolo degli investigatori conferma così un dato: che le indagini sul luogo della strage nelle ore subito successive furono approssimative e sciatte, furono trascurate, dolosamente o colpevolmente, tracce importanti. E in questo contesto che sparì dalla borsa del giudice la sua agenda rossa, il diario di bordo di quelle ultime settimane di vita dopo la strage di Capaci.

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Gio

15

Mar

2012

Dopo Dell'Utri la Cassazione allunga le mani sulla trattativa spacer spacer spacer
Scritto da Nicola Biondo   
 

spacer La Cassazione ha chiesto ufficialmente alla Procura nissena le carte sull’inchiesta riguardante la trattativa Stato-mafia. L’iniziativa è stata presa dall’ufficio del Pg della suprema corte titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Una richiesta che potrebbe far definitivamente deflagrare, dopo la sentenza Dell’Utri e le polemiche che ne sono seguite, una vera e propria guerra nel mondo politico e all’interno delle stesse toghe.

Dietro la mossa senza precedenti della Cassazione si intravedono due possibili letture: o una sorta di “volontà ispettiva” sull’ultima inchiesta riguardante la strage di via D’Amelio all’interno della quale la Procura nissena ha affrontato la questione della trattativa. O un raffronto tra le posizioni della Procura diretta da Sergio Lari e quella di Palermo che sulla trattativa ha già iscritto nel registro degli indagati uomini di stato e ha messo sotto processo il generale dei Carabinieri Mario Mori.   Sarebbe proprio il file sulla trattativa che interessa maggiormente l’ufficio del Procuratore Generale.
E’ in un capitolo della richiesta di misura cautelari per cinque nuovi indagati per l’uccisione del giudice Paolo Borsellino che i magistrati di Caltanissetta mettono nero su bianco una serie di giudizi molto duri nei confronti di alcuni esponenti politici e dell’amministrazione dello Stato.
“Un’ingloriosa stagione dello stato italiano” così la Procura nissena definisce il periodo in cui si è svolta la trattativa Stato-mafia, dalla strage di Capaci alle bombe di Milano, Firenze e Roma dell’estate 1993. Tra i protagonisti di quella stagione i magistrati annoverano l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino e quelli della Giustizia Giovanni Conso e Claudio Martelli, insieme all’ufficiale dei Carabinieri Mario Mori e al capo della Polizia Roberto Parisi, i massimi dirigenti dell’amministrazione penitenziaria fino ad un Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Secondo l’inchiesta nissena già dopo l’estate del 1992 “il governo – era quello di Giuliano Amato con i voti democristiani e socialisti - aveva elementi di conoscenza da cui desumere che le stragi sarebbero continuate, e che non sarebbero avvenute in Sicilia. Così come era a conoscenza, in alcuni suoi esponenti, di una “trattativa divenuta poi un ricatto alle istituzioni”. Come per il rapimento di Aldo Moro, sostengono i magistrati – vi fu un partito della fermezza e uno della trattativa, sia nel governo Amato che in quello seguente di Carlo Azeglio Ciampi. Vinsero i trattativisti e “senza clamore” venne tolto per oltre 400 mafiosi il 41bis: Ecco il “motivo – accusa la Procura nissena - di tante amnesie da parte di uomini di stato” nella piena ricostruzione di quei tragici mesi.

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Gio

15

Mar

2012

Caso Manca, la magistratura riapre l’inchiesta Indagato uomo di spicco di un clan siciliano spacer spacer spacer
Scritto da Daniele Camilli e Roberto Pomi   

Si tratta dell'urologo morto nel 2004 per un'overdose. Avrebbe operato a Marsiglia il boss Bernardo Provenzano e per questo, secondo i genitori, sarebbe stato ucciso. Ora, la svolta degli inquirenti che mette nel mirino sei persone di Barcellona Pozzo di Gotto

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Il dottor Attilio Manca è morto nel suo appartamento di Viterbo il 12 febbraio del 2004. In via Monteverdi 10. Da allora la sua morte “per overdose”, si legge in una perizia medico-legale, è divenuta un mistero che si “lega” al nome del boss Bernardo Provenzano. Uno dei capi di Cosa Nostra. Siciliano di Barcellona Pozzo di Gotto, Attilio aveva 35 anni. Laureato e specializzato in urologia con il massimo dei voti, dal 2002 lavorava presso l’ospedale viterbese del Belcolle. Uno dei pochissimi in Italia a saper operare il tumore alla prostata in laparoscopia.

Dall’istante della sua morte, sono passati quasi 3mila giorni senza alcun processo. Ma con tre richieste di archiviazione, tutte e tre respinte. L’ultima, poche settimane fa. Il gip della Procura della Repubblica di Viterbo, Salvatore Fanti, ha deciso di riaprire le indagini. Sei gli indagati. Tra questi c’è uno degli uomini di spicco del clan mafioso dei Barcellonesi, Angelo Porcino, 55 anni. Gli altri sono: Salvatore Fugazzotto, Ugo Manca, Renzo Mondello, Andrea Pirri, tutti oringinari Barcellona Pozzo di Gotto e, infine, una donna romana, Monica Mileti. Il gruppo avrebbe fornito la droga al medico che poi lo ha ucciso. Per gli inquirenti viterbesi la morte è dovuta quindi a un’overdose. Tuttavia chi lo conosceva ha sempre negato che Attilio avesse fatto uso di sostanze stupefacenti. Per i genitori del medico, invece, il loro figlio sarebbe stato costretto ad accompagnare per una delicata operazione in Francia, in una clinica di Marsiglia, Bernardo Provenzano. E poi di lì ucciso.

Quali sono i punti sospetti a suffragare la tesi che l’urologo sia stato “suicidato”? Prima di tutto i “buchi” da siringa erano sul braccio sinistro. Fatto decisamente insolito, perché lo specialista era un mancino puro. Non solo. Il suo cadavere presentava il setto nasale rotto e le ecchimosi sui polsi. Dove abitava e nell’armadietto del Belcolle non si riuscì a trovare nulla. Né il portafogli, né un documento. Inoltre i genitori Angela e Gino dovettero risarcire la proprietaria della casa viterbese per i danni causati da una lesione sul parquet, in un punto di fronte alla porta del bagno. Ingresso del bagno dove venne ritrovata una siringa da insulina, evidentemente usata, cui era stato riposizionato il tappo salva-ago. Un danno che dava l’impressione di essere causato da un colpo violento dovuto a un oggetto rotondo.
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Gio

15

Mar

2012

Massimo Ciancimino si fa da parte per lasciare spazio a Borsellino ed Ingroia spacer spacer spacer
Scritto da Angelo Garavaglia Fragetta   
spacer Invitato a Servizio Pubblico, l'onorevole Cicchitto aveva in un primo momento accettato l'invito a partecipare alla trasmissione, ma, appena saputo della presenza di Massimo Ciancimino, ha colto l'occasione per farsi da parte. Ricordiamo di nuovo le sue parole:
"Nei giorni scorsi avevo aderito all'invito di Michele Santoro per partecipare alla trasmissione 'Servizio pubblicò.
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