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Comunicati NPSitalia: Lo Stigma: discriminazioni socialmente trasmissibili Documenti NPS
Postato il Mercoled, 30 novembre ore 15,11 di redazione
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COMUNICATO STAMPA


Progetto di ricerca “Lo Stigma: discriminazioni socialmente trasmissibili”


Definizione e misura degli indicatori di Stigma in riferimento alla realtà HIV su territorio nazionale

Nell’ambito dei progetti di ricerca individuati dalla Consulta delle Associazioni per la lotta all’Aids e finanziati dal Ministero, è stato realizzato il progetto “Lo Stigma: discriminazioni socialmente trasmissibili” svolto dal Dipartimento di Psicologia Applicata dell’Università di Padova e da NPS Italia Onlus in collaborazione altre associazioni facenti parte della Consulta.
Il progetto, offre una fotografia della realtà “Stigma” in riferimento all’HIV in Italia, ottenuta per la prima volta attraverso la definizione e la misura di indicatori scientifici.



La ricerca è partita dalla constatazione che i dati epidemiologici evidenziano un continuo aumento percentuale delle infezioni contratte attraverso “rapporti eterosessuali” non protetti. Nonostante ciò, la trasmissione del virus e le modalità di contagio vengono ancora descritte unicamente in relazione ai cosiddetti “comportamenti a rischio” quali omosessualità e tossicodipendenza. Aspetto culturale che mina fortemente l’efficacia delle informazioni sulla prevenzione, impedendogli di incidere in modo significativo sulle condotte che espongono qualsiasi cittadino alla possibilità di contagio. Oltre a rendere difficile, per chi è portatore del virus, sentirsi pienamente parte della comunità.

Il progetto di ricerca parte quindi dal considerare lo “stigma” come una realtà costruita socialmente a partire da come la comunità parla della condizione sanitaria dell’HIV. Si è proceduto quindi a produrre indicatori scientifici che consentissero il monitoraggio del livello di “Stigma” che viene veicolato, nonché la valutazione dell’efficacia di tutto quanto si può predisporre operativamente per contrastarlo.

Questi parametri hanno permesso di descrivere la costruzione discorsiva della “realtà Stigma” oltre a offrirne una misura del livello, una volta collocati lungo un continuum teorico che vede ad un estremo “massima presenza di stigma”, quando la persona con HiV finisce per “pensarsi” e produrre racconti su di sé e sugli altri solo ruotando intorno all’argomento contrazione del virus e conseguente patologia. E all’altro estremo “assenza di stigma”, quando la patologia è solo uno degli aspetti rispetto ai quali la persona con HIV può raccontarsi ed essere raccontata, contemplando più scenari possibili.

La ricerca, durata un anno e mezzo, è stata condotta attraverso l’analisi di testi raccolti con interviste fatte in una prima fase a 375 persone con HIV e a 142 loro familiari/amici/partner, e in una seconda fase a 510 persone definite come “gente comune” e a 240 operatori dell’ambito socio-sanitario, per un totale di 1.267 rispondenti.

Un dato significativo della ricerca: dai risultati emerge che i due indicatori che si posizionano più vicini allo “stigma” sono il modo in cui le persone si vedono proiettandosi nel futuro e il modo in cui ritengono di poter gestire le discriminazioni in cui incorrono. In una scala che vada 1 (assenza di stigma) a 10 (massima presenza di stigma) tali indicatori si posizionano rispettivamente a 7,6 e 7,4.  È infatti emersa l’impossibilità di individuare delle modalità di gestione della discriminazione in quanto si stabilisce a priori che la  discriminazione sia così pervasiva e trasversale ai contesti di vita da non poter fare altro che accettarla o denunciarla.

Un altro dato importante: i dati evidenziano che i rispondenti che concorrono in maggior misura a mantenere lo “stigma” in riferimento all’HIV sono gli operatori dell’ambito socio-sanitario che si posizionano complessivamente a 7,4, seguiti dalla gente comune (7,2), dai familiari/partner (7,1)  e infine dalle persone con HIV (7). I dati mettono quindi in evidenza come le informazioni date ad oggi sulle modalità di trasmissione del virus, non sono state sufficienti a modificare una situazione in cui dunque vi è ancora “stigma” e discriminazione. Dalla misurazione ottenuta risulta infatti che coloro che per profilo professionale detengono le informazioni relative alle modalità di trasmissione del virus, contribuiscono  a mantenere la situazione che la ricerca ha fotografato. Rispetto agli operatori è da sottolineare che tale contributo non è in termini di giudizio morale negativo nei confronti delle persone con HIV, ma è relativo al considerare l’HIV come causa di altre difficoltà, ad esempio sul piano psicologico e sociale. Ciò può implicare infatti  che anche le persone con HIV si attribuiscano tali difficoltà e possano raccontarsi solo in riferimento alla patologia (così come messo in luce dai dati della ricerca).
Da questi risultati nasce quindi l’esigenza di offrire agli operatori sociali e sanitari che intervengono rispetto alla “realtà HIV” strumenti e linee guida che si fondino su presupposti diversi da quelli della diffusione di informazione. Il modo più efficace infatti per non cadere nello “Stigma” sia da parte dei portatori del virus sia da parte della comunità in cui queste persone vivono, e quindi l’aiuto che possono offrire gli operatori in tal senso, è quello di far diventare promotori della salute coloro che hanno contratto il virus. Cioè proprio a fronte della loro condizione sanitaria, tali persone possono divenire fautori di istanze di gestione delle traiettorie biografiche di se stessi così come delle persone con le quali interagiscono, siano essi membri del nucleo affettivo o come interagenti casuali, incrementando in tal modo la dialogicità della comunità stessa.


 


 
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